Alessandra Pratesi
Visto al Teatro dell'Opera di Roma

Angeli e demoni

Emma Dante torna a Roma e firma la regia dell' "Angelo di fuoco" di Prokof'ev. Opera perturbante, lontana ed estranea eppure familiare. La regista asseconda ed accentua i tratti astratti e lugubri con un ingranaggio teatrale di alto livello tecnico e stilistico

Oltre due ore di spettacolo surreale al Teatro dell’Opera con L’angelo di fuoco di Sergej Prokof’ev. E la regia di Emma Dante aderisce allo spirito dell’opera. Merito anche del Sovrintendente Carlo Fuortes, su invito del quale la regista palermitana torna a Roma.

L’angelo di fuoco, rappresentato per la prima volta a Chicago nel 1921, viene accolto dal fallimento, per essere poi riproposto nel 1954 sotto forma di concerto a Parigi e nel 1955 in forma scenica alla Fenice con Strehler. Il pubblico americano probabilmente non era pronto ad affrontare la complessità musicale, drammaturgica e simbolica dell’opera. Opera di gusto stregonesco e alchimistico, sui cui personaggi aleggia impalpabile un istinto di autodistruzione: per Renata è la sua attrazione ostinata verso l’angelo di fuoco, Madiel, mentre Ruprecht è ossessionato da Renata e, per esteso, dalle sue manie. La storia, come la scena (a cura di Carmine Maringola), è ambientata in un non luogo, uno spazio mentale che assume le forme di una cripta di pietra. Ricorda ora le vicende del Dottor Faust, ora il Maestro e Margherita di Bulgakov, ora il fantasma dell’Opera di Leroux, ora i Carmina Burana: è una summa di tutti i grandi maghi, scienziati, filosofi e umanisti che si sono cimentati nella ricerca del Bene e del Male. Più del secondo.

La macchina teatrale messa in piedi da Emma Dante non delude. Il cast di cantanti e di mimi è ben amalgamato: ognuno dà un’alta prova di tecnica e virtuosismo, dai movimenti corali alla simulazione di marionette. Tra le sorprese della regia, la scelta di un ballerino di break dance, Alis Biancaper interpretare l’angelo. Dove ci si aspetterebbe leggerezza, si trova la gravità. L’angelo non è attratto verso l’alto, bensì verso la terra. Non è veramente una creatura celeste: è il prototipo dell’angelo caduto e dannato. È l’angelo portatore del fuoco infernale, è l’angelo portatore di luce per antonomasia: è Lucifero. L’asprezza della partitura e l’ostacolo naturale rappresentato del libretto in russo cooperano nella creazione di un’atmosfera tesa, così come è teso lo spettatore e ascoltatore nel tentativo di comprendere un’opera dai tanti e sfuggenti livelli di lettura. La musica di Prokof’ev, che è funzionale a un testo più recitato che cantato, è affidata alla rispettosa interpretazione del direttore d’orchestra, Alejo Pérez: sottolinea o anticipa tensione e inquietudine di una musica che non trascina, né coinvolge, ma ottiene il necessario effetto perturbante.

Spettacolo visto il 1° giugno.

Ph. Yasuko Kageyama.

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