Asia Vitullo
Visto al Teatro Sanzio di Urbino

Don Chisciotte sogna

Alessio Boni rinnova il mito di Don Chisciotte trasformandolo in un cavaliere sognatore che decide di andare - finalmente - incontro alla vita prima di lasciasi rapire dalla morte. Ne è nato uno spettacolo di grande suggestione

Buio. Sul palcoscenico si distinguono figure in abiti funebri con lumini accesi tra le mani. Nella lieve luce emanata da quelle candele si scorge un uomo al centro della scena, adagiato su di un letto. La languida voce di un personaggio con le sue preghiere estreme risuona in tutto il teatro, avvolgendolo nel terrore e nella morte. Ma non può essere questa la fine degna di un eroe. Alessio Boni, nei panni del coraggioso cavaliere errante, rompe la quarta parete facendosi largo nella platea e rivendicando la sua voglia di sognare. Don Chisciotte, il romanzo secentesco di Miguel de Cervantes Saavedra, nell’adattamento di Francesco Niccolini, riprende così vita al Teatro Sanzio di Urbino con la regia di Alessio Boni, Roberto Aldorasi e Marcello Prayer.

Ma chi è, realmente, Don Chisciotte? Quello dell’attore e regista Boni è un nobile hidalgo che ha paura di morire e che, prima di concedersi al sonno eterno, vuole vivere i suoi ultimi istanti da vero combattente. Decide allora di partire – in un sogno? – e cercare l’avventura assieme al suo destriero Ronzinante, realizzato, nella pièce, da un cavallo meccanico che prende forma grazie alla straordinaria versatilità del giovane attore Nicolò Diana, posizionato al suo interno.

A condividere la fantasia di Alonso Chisciano è un contadino, un po’ goffo e stravagante, dai lucenti capelli blu. Serra Ylmaz, con la sua cadenza straniera e il suo asinello di stoffa, rende perfetto il contrasto tra un Sancho Panza, pratico e legato ai bisogni terreni, e il cavaliere desideroso di viaggiare nei luoghi dei suoi più intimi sogni. A questo proposito, in un articolo apparso sul Corriere della Sera qualche anno fa, Cesare Segre scrisse: «Don Chisciotte si è poi preso come scudiero un contadino ignorante e sentenzioso, Sancho, che in linea di principio smonta con il buon senso le fantasticherie del padrone, ma lentamente è attratto nel gioco e diventa una caricatura dello stesso Don Chisciotte».

L’adattamento di Niccolini rende giustizia al romanzo di Cervantes, attribuendo agli altri quattro personaggi ruoli diversificati: dalla moglie di Sancho con spiccato accento calabrese, al duca e alla duchessa che si beffano crudelmente dei due protagonisti. La scenografia, scintillante, riesce a ricreare la magia delle straordinarie avventure dell’eroe, facendo sì che tutti gli spettatori diventino dei Don Chisciotte in grado di vedere anche cose che non ci sono, accettando e partecipando al viaggio intrapreso dai due compagni. Si riscopre una forte “artigianalità” del teatro grazie a minimali ma efficaci oggetti di scena che richiamano le parti più significative dell’opera. La grande pala di un mulino a vento fuoriesce dalla quinta, mentre in sottofondo si odono le urla dell’hidalgo, steso a terra e sconfitto dai suoi «giganti».

Le accuratezze registiche riportano tutto alla fanciullezza, all’essere bambini, senza troppe percezioni o proiezioni articolate. Un esempio è la scena in cui Don Chisciotte viene calato da Sancho nel pozzo entro il quale si accede, attraverso sagome fluorescenti mosse da attori vestiti di nero, nel mondo onirico e incantato del cavaliere errante. Gli autori hanno voluto precisare così questa loro volontà e decisione: «Quello è un bosco, anche se c’è una pianta sola. Non c’è bisogno di effetti speciali. Niente. Due uccellini ed ecco il bosco. Ma perché? Perché è l’immaginazione che avete tutti dentro che è meravigliosa. È l’energia dei sogni della giovinezza che ci rende ancora vivi: non dimenticatela. Senza l’immaginazione l’uomo si spegne…».

Il vuoto in scena riesce a plasmare il miracolo della visione; è un vuoto riempito di segni che compaiono e scompaiono, come una pagina bianca che si colora e si cancella. Ironia, incantesimo e poesia. Don Chisciotte dimostra un credo radicato e la spasmodica ossessione nei confronti di un possibile miglioramento della sua esistenza. Visionario che lotta per gli altri e per l’amore della sua Dulcinea del Toboso, egli è essenzialmente uomo nato sano, ma rovinato dagli eventi. «Mi sveglio in forma e mi deformo attraverso gli altri», per citare Alda Merini.

A opera del denaro, dei compromessi, della vigliaccheria, della codardia si può imboccare nel tragitto della vita una strada strana: quando però si riesce a scorgere un uomo che scommette tutto per l’amore e per i sogni, la corruzione e i beni materiali non esistono più. Questo spettacolo, dunque, sulla scorta del capolavoro cervantesiano, racchiude in sé una morale forte e, forse, dimenticata. Don Chisciotte è un eroe perdente, ma sarà vincente alla fine: Alonso Chisciano morirà in scena, ma lui vive e vivrà per sempre tra noi.

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Foto di Lucia De Luise

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