Giulia Martini
Il Ceppo in tre parole /4

Rime Liste Rimasugli

Finalista al Premio Selezione Ceppo Poesia Under 35 con “Coppie minime”, Giulia Martini spiega come la sua raccolta sia anche una dichiarazione programmatica della sua poetica e dei suoi elementi fondanti: il ritorno, la magia e la percezione del vuoto, la memoria…

Rime – Le rime fanno tornare le cose: “tornare” sia nel senso di “convincere”, creando un cortocircuito tra senso e suono che spesso si propone come un’interpretazione ordinata e fulminea del mondo, sia nel senso di “riportare indietro”: a un certo punto, nel testo, si lancia un suono (un suffisso, una desinenza) e nel giro di pochi versi quel suono ritorna. In questo gesto, che non differisce dalle dinamiche dei boomerang, c’è tutto quello che la poesia imita della vita: il desiderio che qualcuno o qualcosa torni indietro, l’azzardo folle di lasciarlo andare, la fiducia. Coppie minime (Interno Poesia, 2018) si pone anche come una riflessione (programmatica) sulla procedura rimica. Per esempio, nel sonetto “Guido, io vorrei che tu e Lapo e io” a un certo punto si dice: «e Tutankamon e Marilyn Monroe / ed Edgar Allan e il giovane eroe». Chi legge “Monroe” e subito dopo legge “Edgar Allan” è naturalmente portato a pensare “Poe”, che costituirebbe con “Monroe” una rima perfetta. Ma quel “Poe” non arriva e in fine verso c’è “eroe”. La rima “Monroe/eroe” è quella che tecnicamente si chiama “rima per gli occhi”: quando due terminazioni si scrivono nello stesso modo ma si pronunciano diversamente. E il desiderio di “Poe”, quella rima che sarebbe stata perfetta, rimane inesaudito nella mente di chi legge.
Questo esempio, secondo me, rende bene il fatto che anche nella vita le cose tornano – ma non è detto che tornino “proprio come” uno le vorrebbe o se le sarebbe aspettate. La letteratura, in questo senso, ci risarcisce di una mancanza: «Se rima per ora mi basta». Ecco allora che il “tu”, il perduto referente amoroso, per tornare a esistere ha bisogno di essere inserito (o meglio, “incatenato”) in un preciso contesto rimico: «Incatenata cosa sulla nona / (ABA – BCB – CDC – D e / TE – TE – TE con consonante nonchalance) / ti semina dovunque l’Indoeuropa.

Liste – Uno dei motivi più ricorrenti di Coppie minime sono le liste: di deserti («Indiano, Patagonico, Siriano / e grande sete e Sabbie nere, Gila»); di nomi («e Kennedy e Roland e Winston C.»); di colori («Isabella, ottone antico, blu cobalto, / rosa mountbatten, denim, international»); di fiori («Poche peonie paradoxali / dieci genziane amarogentine»); di dinastie («ittiti, galli, garamanti, dauni, / messeni, medi, lapponi, mirmidoni, / etei etei etei, tirreni danai»); di verbi, per accumulazione («Così fiorisci pulluli prolifichi / e protovangelizzi sciogli prognosi / fiocchi moltiplichi accorri riempi»). Il senso di inserire tutta queste congerie di liste in una raccolta di poesie è che non esiste una gerarchia del reale: le domande di senso (sull’amore, sulla morte, sulla natura) possono passare e generarsi in qualsiasi contesto, non c’è una corsia preferenziale. Per esempio: «Segnale. Scuolabus. Poi verde ufficio. / Poi terra d’ombra bruciata. Tenné. / Te ne sarei grata, se mi rivelassi / la piccola scienza dietro la grata // dove rinasci dalle tue ceneri / e sopravvivi alla muta delle penne». Anche le liste hanno un valore programmatico. Un altro esempio: la prima poesia di Coppie minime è banalmente una lista dei nomi dei più grandi deserti del mondo. C’è una cifra di formularità non scevra di valore propiziatorio, che ricalca il tono cantilenante e ipnotico delle invocazioni e delle formule magiche – ma allo stesso tempo c’è anche la necessità di creare un “vuoto” (e il deserto è l’emblema del vuoto per eccellenza), che è precisamente quel vuoto su cui poi verrà edificata la raccolta.

Rimasugli – Se una delle istanze del gesto poetico, qui rappresentata dalle rime, è far sì che qualcosa torni, l’altro grande polo è la memoria, vale a dire l’attività di registrazione di qualcosa che c’è stato (e non c’è più), ma che rimane: ecco i rimasugli. Da un lato, quindi, il desiderio; dall’altro, la storia. Il “tu” vive tra desiderio e storia, li riappacifica, li “mescola”: «Faceva colazione con i versi / […] E mescolava rime a rimasugli». Ecco allora che il gesto poetico diventa un’operazione storiografica che ha valore contrastivo rispetto allo scorrere del tempo: «Il letto già rifatto per metà, / nella tua metà non più sfacibile. // Meno stoviglie da lavare, questo è certo – / poi ho sempre detestato fare i piatti. // Molte più rime e meno rimasugli / sugli scartafacci, sui divani. // Guarda che mani vergini, che faccia – / come non fosse mai stata scartata. // Te ne se andata col tuo ombrello rotto, / che non lo devo neanche buttar via. // Che singolarità, che pulizia! / Ah che bello, non mi vedrai invecchiare». In molti componimenti di Coppie minime mi sembra che ci sia un sentimento “post-evento”, un sentimento di “day after”, per cui chi scrive tenta di ricercare (e di rifunzionalizzare) tutti i relitti del passaggio del “tu”: un asciugamano («Mi asciugo il viso nell’asciugamano / dove hai lasciato la congiuntivite»), il nome («Lasci il tuo nome / nel frigo insieme agli Smarties»), dei pezzi («Sopravvivono / a dozzine le mie parti di te // nelle nove parti del discorso»). Come se il “tu” fosse un «refuso saltuario» della vita e della grammatica. Ecco allora che, mentre il “tu” è una preda imprendibilmente erratica («Ovunque sali / e da ogni parte parti»), chi dice “io” ha soltanto due direzioni possibili: quello che rima e quello che rimane: «Io rime, tu rimedi. // Tu vai verso quello che credi, / io verso quello che rimane».

(Nella foto Giulia Martini)

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