Nike Gagliardi
Diritti civili

Donne d’Argentina

Due milioni di donne e uomini d'Argentina in piazza per reclamare la depenalizzazione dell'aborto: è una misura chiesta anche dal presidente Mauricio Macri, ma bocciata dal parlamento

Lo scorso 19 febbraio due milioni di argentini sono scesi in piazza in più di un centinaio di città, scandendo lo slogan: «Educazione sessuale per decidere, anticoncezionali per non abortire, aborto legale per non morire». L’Argentina, infatti, uno dei primi Paesi dell’America Latina ad approvare il matrimonio omosessuale, ha una legislazione ancora arretrata per quanto riguarda il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza: una legge che risale al 1921 e che prevede la detenzione per le donne che decidano di abortire e per il personale medico che pratichi tale intervento, a meno che la gravidanza non implichi rischi di salute per la gestante o che non sia conseguenza di uno stupro. L’anno scorso, su richiesta del presidente Mauricio Macri, per la prima volta, è stato presentato un progetto di legge volto a legalizzare l’aborto libero sino alla quattordicesima settimana di gravidanza, iniziativa approvata dalla Camera dei Deputati ma bocciata dal Senato: a causa dei 38 voti contrari su 31 favorevoli, la legge non ha potuto tradursi in realtà.

Ma le donne argentine non si arrendono e rilanciano il dibattito. Dopo la vasta campagna mediatica sui social contraddistinta dall’ashtag #AbortoLegalYa, la Campaña a favor del aborto legal, seguro y gratuito, che riunisce oltre 700 organizzazioni, chiede che il dialogo politico in materia non si esaurisca e che gli obiettivi della protesta portata avanti restino una priorità nell’agenda del Congresso. È probabile che l’apertura nei confronti di un disegno di legge più al passo coi tempi si costituisca come uno dei punti chiave tra quelli che condizioneranno le decisioni dell’elettorato nel surriscaldato clima che precede le presidenziali.

Nel mondo attuale solo una sessantina di stati permette l’accesso libero e legale all’aborto (gran parte in Europa): questo significa che, nella maggioranza dei paesi che costituiscono la mappa geopolitica mondiale, le donne incinte che decidono di interrompere la gestazione, nel momento in cui la loro scelta non sia “giustificata” da avvenuta violenza carnale o da un rischio per la salute, subiscono conseguenze penali, venendo private del basilare diritto di scegliere se divenire madri o no. Eppure su una presa di coscienza tanto complessa e delicata, l’ultima parola dovrebbe spettare sempre e soltanto alle interessate.

La conseguenza dell’illegittimità dell’aborto se non in casi eccezionali è che la maggioranza degli interventi vengono praticati al di fuori della legalità, spesso in condizioni sanitarie insufficienti. Secondo El País, ogni anno, solo in Argentina, circa 50.000 donne vengono curate nelle strutture ospedaliere a causa delle complicazioni derivanti da aborti clandestini e, in media, circa mezzo centinaio va incontro alla morte. Un epilogo ingiusto per chi, semplicemente, chiede di poter essere padrona del proprio corpo e del proprio futuro.

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