Nicola Fano
A proposito di "Romanzo in bianco e nero"

Romanzo & Storia

Dal fascismo agli Anni di piombo, Delia Morea racconta la parabola di un amore che la grande storia ha costretto a perdere purezza. Una lezione che ancora non abbiamo accettato fino in fondo

C’è molto cinema nel nuovo libro di Delia Morea (Romanzo in bianco e nero, Avagliano editore, 270 pagine, 17 Euro). Non solo perché molti dei protagonisti sono legati tra loro dalla passione (o dal mestiere) del cinema, ma anche perché è costruito mediante un efficace sistema di montaggio parallelo. Siamo a Roma e i medesimi personaggi vengono narrati sia da giovani (negli anni tra l’esplosione rabbiosa e razzista del peggior fascismo e la Seconda guerra mondiale) sia da adulti (alla metà degli anni Settanta dello scorso secolo). I “giovani” sono tre: Marcello, Carlo e Rachele. I due ragazzi si contendono l’amore di Rachele, eterea e vitale adolescente ebrea che le leggi razziali distruggeranno. Carlo, che avrà la meglio nella sfida con l’amico, andrà però subito in guerra, rimanendone tragicamente perduto. Marcello, invece, dopo essersi nascosto per evitare la leva obbligatoria, finirà nelle file dalla Resistenza dove, verremo a sapere, riesce a fare la sua buona parte. Fatto sta che l’amore di Marcello per la giovane amica ebrea si consuma nel tentativo di evitarle di entrare nel girone infernale della discriminazione, della miseria e della conseguente autodistruzione. Non gli riuscirà di aiutarla fino in fondo, anche se, scopriremo alla fine, il loro legame produrrà comunque qualche fondamentale scintilla.

Marcello e Rachele li ritroviamo adulti, scorticati dalla vita (qualche tratto lo ricostruiremo grazie ai rispettivi, avari ricordi), soli e dolenti, rimessi in collegamento da una ragazza bella e vitale (figlioccia di Rachele) che sarà allieva di Marcello, ormai affermato professore universitario di storia del cinema. Ma le due vicende che qui si sono abbozzate rapidamente, nel romanzo ovviamente procedono seguendo un avvincente ritmo sincopato, grazie a quel montaggio parallelo di cui si diceva, disvelando la storia pubblica e privata lentamente, poco alla volta. Sì, perché in questo romanzo di Delia Morea (non a caso definito nel titolo “in bianco e nero”) la Storia è alla fin fine la vera protagonista: è lei a prima a distruggere le persone e i loro sentimenti, poi a metterli alla prova illudendoli: il fascismo, la guerra e i primi Anni di piombo non restano solo sullo sfondo ma si ergono a manovratori dei destini dei personaggi, qualcosa contro cui la loro volontà va a cozzare senza mai riuscire a ragione di sé. Il conflitto tra volontà e destino, anzi, è il vero tema del romanzo. E un inatteso colpo di scena finale lo dimostrerà ulteriormente.

Ma è proprio il cinema a riallacciare i fili, ossia a mettere d’accordo caso e ragione: la giovane allieva di Marcello cercherà di confezionare una tesi di laurea su Le porte del cielo di Vittorio De Sica, il film al quale Marcello e Rachele avevano (quasi) lavorato come comparse, proprio mentre Roma abdicava alla sua umanità profonda, in quel tragicamente celebre 16 ottobre 1943 quando nazisti e fascisti insieme affondarono le proprie unghie infette sulla città con la deportazione degli ebrei del ghetto. Operazione nella quale Rachele, ovviamente, perde ogni definitivo contatto con la vita e i propri affetti.

Insomma, la narrazione di Delia Morea procede spedita al cuore di una umanità difficile da riaccendere: la ferita non può essere rimarginata, sembra dirci l’autrice. E, del resto, la lacerazione dell’Olocausto resta uno spartiacque dell’umanità, dopo di che ogni orrore è parso giustificabile e nessun sentimento ha più riconquistato purezza. Proprio come l’amore mancato tra Marcello e Rachele, nella primavera della Roma del 1938 che era solo il tramonto della Storia.

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