Alessandro Fragalà
Narrazioni del carcere/2

1780… sono ancora vivo

«Sì, io lavoravo in questa nave ma non ho rubato un bel niente, sono solo scappato quando ho capito che mi stavano accusando...». I racconti nati dal corso di Andrea Carraro

Non voglio raccontarmi,
conosco ogni angolo di me e citarlo anche solo nei miei pensieri fa emergere dal profondo il buio che ho dentro, le mie paure, le mie incertezze e tutto ciò che voglio nascondere a me stesso sperando che non esca mai dal dimenticatoio dove ho riposto ogni cosa.

Non c’è molto da fare qui.

Le visite, i controlli medici si effettuano solo di mattina.

Sono le 16:00, preferisco riposare un po’ nel silenzio più assoluto, quel silenzio assordante che rimbalza da parete a parete come fosse un eco, nella piccola stanza d’ospedale dove sono costretto da ieri. Vuoto nel corpo e nella mente mi lascio cullare dalla volontà di evadere dalla realtà,
pian piano mi addormenterò…

“Eih tu…mozzo, vieni un momento qui.”

“Non sono il mozzo, e tu sai che non posso parlarti.”

“Perché mai? Volevo solo chiederti se…”

“Non ricordi nulla vero? Hai già dimenticato cos’hai combinato ieri l’altro?”

“Ieri l’altro?…Combinato?…di cosa stai parlando? Dimmi quanto tempo è che sono qui legato all’albero maestro?”

“Allora veramente non ricordi nulla straniero.”

“No…no amico non ricordo. Perché mi chiami straniero?”

“Ssssccc…sta arrivando il comandante. Ci vediamo dopo.”

“Dunque ti sei svegliato straniero…bene. Spero che ora vorrai dirmi chi sei e da dove vieni, almeno saprò chi sto per mettere ai ferri,…giù nella prigione.”

“Signore io credo che voi stiate commettendo un errore, mi trovo qui legato, ora parlate di mettermi ai ferri… posso garantirvi che non vi sto mentendo, non so quale sia il mio niome né da dove vengo, non so nemmeno perché mi trovo qui… legato.”

“Quindi dici di non ricordare. Non ricordi neanche perché ti ho fatto legare all’albero maestro? Bene… ti rinfrescherò la memoria lurido ladro. Sei stato trovato nella cambusa da un mio marinaio che era sceso a prendere farina e fagioli, e tu…tu te ne stavi nascosto a mangiare e bere il mio vino… ricordi ora?”

Con rabbia e disprezzo la sferza del comandante mi raggiunse nel torace coperto solo dalle corde che mi tenevano legato stretto…

“Aaahh…fermo…davvero signore non ricordo nulla, lo giuro, nulla di tutto questo che mi dite, ho solo un gran male alla nuca, ma…”

“Lo credo bene! Abbiamo dovuto dartele di santa ragione per fermarti, stavi distruggendo la cambusa. Ma ora dimmi stupido straniero, chi sei? Da dove vieni?.”

“Ve l’ho già detto signore, non ricordo nulla, niente di ciò che dite, né il mio nome, né perché mi trovo qui…cielo aiutatemi!”

“Capitano faccia sbattere quest’uomo nella prigione della stiva, può darsi che li gli torni la memoria prima che glie la facciamo tornare noi.”

“Che fate?…Comandante vi state sbagliando…lasciatemi…lasciatemi…oohhh…”

“Ecco ora dormirai un altro po’. Ok marinaio ora puoi togliergli la catene ai piedi, ma lasciagli quelle ai polsi.”

“Oh buongiorno signorino, ben svegliato.”

“Voi…voi chi siete?”

“Puoi darmi del tu amico. Chi sono? Mi chiamo Huwanka e sono qui da molto tempo ormai. Tu come ti chiami? Perché ti hanno messo in questa topaia?”

“Non lo so…non si perché sono qui, non so…come mi chiamo…non ricordo nulla. Dove ci troviamo?”

“Ah…non te ne eri accorto? Bene, siamo nella stiva della Continental, una nave che trasporta mercanzia e quanto di più losco possa esserci su e giù per gli oceani e se non hai ancora conosciuto il padrone di questa bagnarola, è quel porco di un Irlandese…Wallant. Qui comanda lui!”

“Si ricordo… ricordo uno sul ponte della nave che si faceva chiamare comandante e poi…”

“Ecco quello…ha..ha..ha..ha!”

“Tu che ci fai qui incatenato?”

“E’ una storia lunga amico senza nome…non vorresti per caso un nome?”

“Come vuoi, prima o poi spero di poter ricordare qualcosa di me.”

“Uuummm…io non vorrei ricordare proprio niente di me te lo assicuro. “Indio”, si ti chiamerò Indio.”

“Indio? Perché mai? Ho forse l’aspetto di un indiano o di un indigeno?”

“Eih…eih, non scaldarti, non ricordi nulla di te però parli,…e anche troppo con quel tono…”INDIO” lo dicevo per via di quel tatuaggio che hai sul braccio…chi te lo ha fatto?”

“…Non ricordo…ah..ah..ah..ah..ok “Uanca” o come diavolo ti chiami. Che ci fai qui incatenato?”

“Beh…Wallant dice che ho rubato qualcosa di sua proprietà quando eravamo al porto di Tangeri e ha deciso di tenermi in catene fino a quando non mi consegnerà alla polizia Irlandese,…è li che siamo diretti.”

“Cosa gli hai rubato per essere così in collera da volerti consegnare alla polizia? Del pane? Del formaggio come ha detto che ho fatto io?…Ma allora consegnerà anche me alla polizia…”

“Calmati Indio, non ho idea di cosa ne farà di te , né perché ti ha buttato qui sotto in catene, del resto se non lo sai tu…quanto me…beh Wallant mi accusa di aver rubato una sacca dalla sua cabina approfittando del fatto che eravamo fermi a Tangeri a caricare merci ed io…”

“Allora tu eri già in questa nave?”

“Se mi fai parlare ti dico…Indio! Sì, io lavoravo in questa nave ma non ho rubato un bel niente, sono solo scappato quando ho capito che mi stavano accusando e mentre alcune persone cercavano di fermarmi uno dei suoi scagnozzi si è accasciato a terra colpito da una pugnalata e…questa è la mia storia.”

“Questa è la tua storia? Cioè tu …tu hai ucciso un uomo per una sacca che non era neanche sua?”

“Ti ho già detto che scappavo per non esserne incolpato, ma io non ho ucciso nessuno, né rubato niente.”

“E la sacca è stata ritrovata?”

“Purtroppo no, questo è il problema:”

“No…no, il problema è che un uomo è morto, questo è il problema!”

“Beh Wallant non la pensa così. Per lui ciò che conta è il contenuto della sacca, il morto…

ormai è morto.”

Si alzò di scatto, credo per sgranchirsi le gambe,, davanti a me si presentò una montagna di muscoli color ebano che io, con i miei novanta chili, al confronto sembravo un fuscello.

“Sai che giorno è oggi Indio?”

“Non sfottere Uanca, ti ho già detto che non ricordo nulla, figurati se posso sapere che giorno è oggi,…poi per quanto me ne importa.”

“Dovrebbe invece. Se ho tenuto bene i conti dovrebbe essere domenica…oggi avremo un buon pranzo:”

“Come fai a sapere che oggi è domenica?”

“Beh siamo ripartiti dal porto di Tangeri venerdì, e non può essere passato più di un paio di giorni…almeno credo. E’ strano che Wallant non ti abbia venduto li al porto, da li partono sempre delle carovane che poi rivendono ogni cosa al mercato della capitale, a Fas c’è il mercato più grande di tutto il Marocco, ma forse non ti ha voluto nessuno o forse non c’erano carovane quel giorno né compratori:”

“Venduto?…Ma che venduto Uanca, che sei impazzito? Dimmi piuttosto dove si trova questa Tangeri.”

“Te l’ho già detto Indio…Marocco.”

“Allora io potrei essere stato imbarcato li a Tangeri, sarò uno del Marocco o forse…”

“Che stai farneticando Indio, tu parli la lingua Inglese come me, e dai tuoi connotati non mi sembra proprio che tu possa avere origini marocchine.”

“Era solo per cercare di ricordare.”

“Vedrai che prima o poi ricorderai. Ma ora non rompere le palle…si mangia!”

Uno spiraglio di luce assolata penetrò dalla botola in cima alle scale, capimmo subito che qualcuno stava per scendere nella stiva. Qualche secondo e la figura di due uomini si presentò davanti a noi, uno di loro teneva nelle mani una piccola cesta e un boccale.

“Ecco qua selvaggio…oggi dovrai dividere il tuo pasto con l’altro ospite.”

“DIVIDERE?”

“Non preoccuparti Uanca, io non ho fame.”

Non appena andarono via i due uomini, Huwanka divise il cibo e mangiammo quel poco che c’era nella cesta. L’acqua contenuta nel boccale era ferruginosa e maleodorante, ne bevvi solo un poco per bagnarmi le labbra.

Subito dopo Uanca si sdraiò su un giaciglio che fece con la paglia e si addormentò.

Con la testa che ancora mi doleva cercai anche io di riposarmi un poco, anche se il fetore che c’era impediva perfino di respirare

“Come può lui dormire così profondamente, mi sta venendo anche il mal di mare dalla nausea, con tutta questa sporcizia neanche i topi si fanno vedere…tanto è lurido qui. Già i topi, di solito ho sentito dire che ce ne sono nelle stive delle navi…come diavolo sono finito qui?…Cosa mi è successo?”

Sentii aprirsi di nuovo la botola in alto alle scale, chissà cosa vogliono ora pensai, mentre spontaneamente feci scorrere la mano sulla mia testa ancora dolorante.

Dopo un attimo vidi scendere una della guardie che avevo già visto sul ponte della nave, era in compagnia di una donna.

“Una donna qui? Che ci fa una donna qui pensai”….

“Vieni cara ti mostrerò dove teniamo la dispensa, con voi passeggeri è sempre un problema, vedrai con i tuoi occhi che siamo provvisti di tutto…proprio di tutto.”

“Voi marinai non dite mai il vero…soprattutto alle signore.”

“Ecco qua Madamoiselle…contenta?”

“Lo sarei di più se…se mi dessi un poco di quel vino…marinaio.”

“Non sono marinaio. Vieni qui bella signora, ora ti darò tutto quello che vuoi.”

I due iniziarono a scambiarsi baci e effusioni stringendo i loro corpi l’uno contro l’altro fino a che non iniziarono a denudarsi. Le rotondità della bella signora si mostrarono nude e perfette alla mia vista e i seni prepotenti e impertinenti mi sembrarono così vicini da poterli perfino toccare.

Sbigottito ed eccitato allo stesso tempo cercai di chiamare Uanca…

“Eih Uanca…Uanca svegliati…svegliati….svegliati…”

“Sveglia Alessandro…svegliati ragazzo mio. Oggi è giorno di visite mediche, sai che devi fare tutti gli accertamenti clinici…la tua salute ricordi?”

Ancora assonnato e frastornato dal risveglio improvviso che aveva interrotto un’altra mia dimensione in cui ero certo che stavo veramente vivendo, risposi…

“Oh scusatemi dottoressa, ricordo ogni cosa…certo, la mia salute, le visite…”

Non mi sono mai piaciuti gli ospedali, con il loro silenzio, le pareti bianche e quei camici…quei camici indossati dai medici e infermieri così canditi, che ti girano intorno per tutto il giorno e la paura nascosta che si possano trasformare improvvisamente ( come in un vero film Western ) in avvoltoi che attendono la loro preda.

Un paradosso…si certo, ma che per uno come me che ha il terrore di tutto ciò è del verosimilmente simile.

Spero davvero che dopo tutte queste visite e accertamenti clinici, possa tornare alla normalità di una vita vera, tra la confusione e le giornate caotiche, assolate o uggiose, tra pianti e risate, ma comunque giornate che appartengono alla vita reale e non solo ai sogni.

Mi guardo intorno e…sono ancora vivo.

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Sono Alessandro Fragalà, sono nato in Sicilia nella città di Catania 61 anni fa. Ho intrapreso la passione per la scrittura molti anni iniziando a scrivere poesie prima e poi dei brevi racconti per continuare fino a oggi a scrivere racconti di mia fantasia. Se oggi riesco ad essere più preciso e incisivo nella scrittura è anche grazie ad Andrea Carraro, che oltre ad essere uno scrittore che sa distinguersi con i suoi racconti, è anche un caro amico per me. Un amico nato in carcere che sembra io abbia conosciuto da sempre. Spero di poter essere un giorno all’altezza della sua conoscenza narrativa e comunque rimane la mia ambizione e a lui ancora una volta mando i miei ringraziamenti.

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