Lidia Lombardi
“La vita in un attimo”, San Valentino al cinema

Sliding doors 2.0

I casi del destino nel nuovo film di Dan Fogelman, dove si intrecciano le storie di quattro coppie tutte diverse tra loro, un po’ nello stile del celebre film del 1998 con Gwyneth Paltrow. Il cast prestigioso e la sceneggiatura virtuosistica sono una promessa, ma non del tutto riuscita

Dei film nelle sale il giorno di San Valentino La vita in un attimo è quello più articolato e il meno imbrigliato nella narrativa di una obsoleta qualsivoglia storia d’amore. È un film Usa dal budget elevato, dal cast prestigioso, dalla sceneggiatura virtuosistica, visto che i suoi protagonisti si spalmano su tre generazioni e su due continenti, gli States e l’Europa, ossia Manhattan e la campagna spagnola. Il regista Dan Fogelman, abituato a sbrogliare matasse esistenziali dalla sua fortunata serie televisiva This is us, lavora su quattro coppie differenti per età, collocazione sociale, sviluppo psicologico. E va alla ricerca di comunissimi eroi, come anticipa la voce fuori campo nelle prime sequenze, indecisa se raccontare la storia di un gay che ha appena mollato il compagno o di una palestrata. Alla fine restringe l’obiettivo su Will, quarantenne newyorkese che si imbottisce di antidepressivi e nonostante tutto va sopra le righe quando entra in un bar cantando a squarciagola una canzone di Bob Dylan.

È l’avvio vero e proprio della pellicola, che promette bene. Perché seguiamo Will nelle sedute dalla psicoanalista, a liberarsi del peso di una traumatica separazione dalla giovane moglie, avvenuta mentre lei gli rivela che è una bambina l’essere che porta in grembo. I flashback ritagliano la liaison di Will e Abby, che si sono conosciuti nel college universitario, mentre lei sta preparando la tesi in letteratura. Con un tema: l’inaffidabilità dei romanzieri, perché ciò che raccontano deriva dal loro arbitrio, che plasma gli avvenimenti vissuti dai personaggi inventati. Epperò, si spinge più oltre Abby: la realtà dipana snodi tanto imprevisti da apparire, o essere, essa stessa ingannatrice. Insomma, il caso è un demone che mischia allegria e tragedia, amore e rabbia, che smonta progetti di vita apparentemente granitici, sconvolge il futuro di padri, figli, nipoti a seconda, per esempio, che uno di loro decida di attraversare o meno una strada.

Una ventina di anni fa Sliding doors con una convincente Gwyneth Paltrow, affrontò con piglio serrato il tema del caso-burattinaio e ottenne, a ragione, un grande successo. Fogelman, dopo l’incipit intrigante, imbocca pian piano la via del melodramma legando il padre di Will, Irvin, e la figlia Dylan, ventenne ribelle che vira in hard rock le canzoni del “Nobel menestrello” amate da mamma e papà. E intreccia altri fili al primo della trama, raccontando di Saccione, un ricco latifondista italo-spagnolo che coltiva olivi, del suo fattore Javier, dalla schiena troppo dritta che alla fine molla davanti agli accidenti della vita da affrontare con la moglie Isabel e il figlio Rodrigo. E spargendo “indizi” – per esempio un dipinto con un “memento mori” nell’anticamera della camera da letto della sfortunata Isabel – sulla piega che prenderà il destino. Questo film – ha avvertito Fogelman – «parla della vita e di quanto sia confusa, tra amore e tragedie. Esplora trionfi, perdite e fallimenti. Il pubblico resterà sorpreso rendendosi conto che si sta raccontando una storia piuttosto che un’altra». Ecco, proprio la diluizione del plot sfibra alla lunga il movie. Al punto che l’epilogo, con il pistolotto dell’ultima protagonista della saga, risulta prolisso. E, al contrario di quando si propone Fogelman, prevedibile.

Peccato, perché tutto il resto, dai movimenti di macchina alla fotografia, dall’ambientazione tra Manhattan e i campi di Siviglia alla colonna sonora ispirata al leggendario album Time Out of Mind di Bob Dylan, è di buon livello. E funzionano gli interpreti: Oscar Isaac e Olivia Wilde – innamorati, complici, ma anche svagati, come consapevoli del fato – sono Will e Abby; Olivia Cooke è una Dylan persa nella notte disperata; Antonio Banderas è Saccione, malinconico hidalgo contemporaneo; Sergio Peris-Mencheta e Laia Costa il contadino orgoglioso e la sua sposa mite ma determinata; Alex Monner e Mandy Patikin un Rodrigo dai giovanili entusiasmi e un Irvin dalla senile dolente saggezza; Annette Bening una riflessiva psicoanalista che mai si sarebbe aspettata di suscitare la più tragica reazione nel suo paziente. Già, la realtà è inaffidabile.

Facebooktwitterlinkedin