Roberto Verrastro
Un giallo da rileggere

Premio Montalban

"Il premio", inquietante romanzo di Manuel Vázquez Montalbán ambientato nella buona borghesia letteraria di Barcellona, torna di stretta attualità, con i suoi intrecci di denaro e potere nel mondo dell'editoria

È il premio letterario più ricco dell’anno. L’autore del miglior romanzo inedito in lingua italiana che il 15 aprile si aggiudicherà a Milano il DeA Planeta 2019, intascherà, infatti, 150mila euro come anticipo sulla cessione dei diritti di sfruttamento dell’opera da parte della casa editrice DeA Planeta Libri. Il prossimo 28 febbraio scade il termine di consegna delle opere che, dal 25 settembre 2018, potevano essere inviate per concorrere alla prima edizione italiana del premio Planeta, creato nel 1952 dal fondatore dell’omonima casa editrice, José Manuel Lara Hernández, per promuovere opere inedite di autori spagnoli. Tra gli scrittori più celebri che lo vinsero fu Manuel Vázquez Montalbán (1939-2003), che ispirò il cognome del commissario Montalbano di Andrea Camilleri e cedette alla tentazione di trasfigurare la sua esperienza in un romanzo del 1996, intitolato per l’appunto Il premio (Feltrinelli, 256 pag., 8 euro).

In una scintillante Madrid popolata da un milione di nuovi ricchi, si assegna l’ancor più sostanzioso premio Venice-Fondazione Lázaro Conesal: cento milioni di pesetas (circa 620mila euro odierni), in grado di scatenare molti appetiti e meschinità. All’hotel Venice, «un tempio greco color rosa» con trenta piani e quattro ascensori che scorrono in torri cilindriche, protagonista della serata non è certo la letteratura, visto che la giuria del premio è stata chiusa a chiave in una stanza priva di libri, dove «sei uomini adulti guardavano un film spagnolo degli anni cinquanta in cui l’inquilino del quinto piano di un palazzo si finge culattone per ottenere un lavoro». L’esilarante premessa lascia svettare fin dalle prime pagine la figura del proprietario dell’hotel, Lázaro Conesal, un cinquantenne che in soli dieci anni ha accumulato, con affari raramente puliti, una fortuna che ne fa il finanziere più ricco e mitizzato ma anche più odiato di Spagna, che ora ambisce al ruolo rassicurante di mecenate.

Sono giunte minacce anonime e, per rinforzare il servizio di sicurezza, il figlio di Lázaro Conesal, Álvaro, non può che ingaggiare Pepe Carvalho, il famoso detective privato di Barcellona. A Conesal senior i nemici non mancano. La bionda Beba Leclercq, una delle sue numerose amanti, è la moglie di un vinattiere di buona famiglia andalusa legata all’Opus Dei, con i cui esponenti Lázaro non è in ottimi rapporti, proprio quando «dopo vent’anni di pausa storica seguiti alla morte di Franco, il loro gran ruffiano, tornano alla carica». Il governo socialista di Felipe González teme Lázaro Conesal per tutto quello che sa delle finanze interne del PSOE, il Partido Socialista Obrero Español. E sua moglie, la cinquantenne Milagros Jiménez Fresno, confida al figlio Álvaro che non sa se presentarsi alla serata che riunirà 500 invitati del mondo della cultura, della politica e dell’imprenditoria perché, come accade facilmente agli straricchi, «tuo padre è sempre circondato da fascisti, sfruttatori e puttane».

Il sarcastico ritratto della borghesia spagnola degli anni Novanta prosegue al momento del ritrovamento del cadavere di Lázaro Conesal nella sua suite. Carvalho nota un alone di umidità sulla patta del pigiama della vittima, uno strano abbigliamento in prossimità dell’assegnazione di un premio tanto importante, e il medico dell’albergo, che ha scoperto il cadavere dopo la telefonata con cui Conesal chiedeva aiuto, conferma: «Il signor Conesal questa sera aveva intinto il biscotto». Il detective osserva la reazione di Álvaro Conesal, un omosessuale che Carvalho sorprenderà a scambiarsi un bacio appassionato con Celso Regueiro Souza, un socio in affari del padre che aveva aperto a Lázaro le porte dei socialisti: «Mentre sul viso degli altri era apparsa una smorfia di rifiuto o di ripugnanza, il suo sembrava un cubetto di ghiaccio». Lázaro Conesal, un ex cocainomane, era un ciclotimico che passava dalla depressione all’euforia. Qualcuno che conosceva la sua dipendenza dal Prozac, lo ha avvelenato contaminando con la stricnina tutte le capsule del noto antidepressivo ritrovate sul suo comodino.

Il potente finanziere voleva essere giurato unico del premio, che intendeva assegnare a un romanzo presentato sotto pseudonimo (il barone d’Orcy, realmente utilizzato da Montalbán per firmare articoli polemici negli anni Settanta): la storia, che non aveva ancora finito di leggere, di un premio letterario simile al suo, intitolata Ouroboros, il simbolo del cerchio chiuso, della continuità fatale da cui non si esce. La stessa ossessione per i simboli aveva spinto Lorenzo Altamirano, il più autorevole critico letterario spagnolo, a raccomandare undici scrittori a Conesal, in un dialogo che, in un romanzo del 1996, suona oggi come una premonizione: «Secondo la simbologia, il dieci è il numero della pienezza e l’undici implica eccesso, dismisura, il superamento di qualsiasi ordine, così come rappresenta il conflitto e l’apertura a un nuovo decennio». Lázaro Conesal replicò al critico: «Lo sai che nelle società segrete della massoneria si piantano undici bandiere? …in due gruppi di cinque più una… l’uno è la fusione dei due gruppi di cinque. Rispecchia l’unità, la sintesi massonica».

Lo scrittore Sánchez Bolín, parodistico alter ego di Montalbán, spiega a Carvalho che nei romanzi l’assassino è sempre l’autore. Come presunto colpevole dell’omicidio, viene arrestato Oriol Sagalés, eterna promessa della letteratura ormai cinquantenne, la cui moglie, Laura Ordeix Segura, era da due anni l’amante fissa di Lázaro Conesal, che aveva indossato il pigiama al termine di un amplesso con lei. «Visto che si scopava mia moglie e io no, il meno che potesse fare era darmi il premio», conclude il reo confesso Sagalés, che tuttavia ignora il nome del veleno che ha ucciso Conesal, dando a Carvalho la sensazione di voler ottenere come assassino la fama che gli ha negato la letteratura. Il barman José rivela al detective che l’ultima confezione di Prozac fornita a Lázaro Conesal era stata procurata dalla moglie Milagros, che si era infine decisa a partecipare alla serata. Carvalho riparte in aereo per Barcellona. A bordo apre una busta e una cartella giunte da Álvaro Conesal: nella prima c’è un assegno, il suo onorario. Nella seconda, l’originale di un romanzo: Ouroboros, del barone d’Orcy. Come Lázaro Conesal, Carvalho lo abbandona dopo le prime pagine, identiche a quelle de Il premio, perché ha già letto quanto Conesal invece ha dovuto sperimentare: un finale scritto da due killer, compreso Montalbán, che vinse il premio Planeta nel 1979 con I mari del Sud. Una vertiginosa circolarità tra la letteratura e la vita, e della letteratura con se stessa, che fa ben sperare per quest’anno. Cadaveri a parte.

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