Raoul Precht
Periscopio (globale)

La guerra dei Pieri

Pier Massimo Forni, specialista di Dante e Boccaccio, e Piero Sanavio, studioso (e sodale) di Ezra Pound: ritratto parallelo di due grandi "cervelli in fuga” appena scomparsi

Nell’arco di poco più di un mese abbiamo perso due studiosi importanti e significativi, due «cervelli in fuga» ante litteram o più semplicemente due cultori della letteratura che hanno trascorso all’estero, presso università prestigiose, gran parte della loro esistenza. Il 1° dicembre scorso si è spento nei pressi di Baltimora, dove insegnava alla Johns Hopkins, Pier Massimo Forni, mentre il 4 gennaio, a ottantanove anni appena compiuti, ci ha lasciati Piero Sanavio.

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Nato a Bologna nel 1951 ma trevigiano d’adozione, Pier Massimo Forni aveva studiato lettere a Pavia e ottenuto il dottorato all’UCLA; specialista di Dante e Boccaccio, curatore per Garzanti di una bella edizione dei Fioretti di San Francesco, ha insegnato prima in California e poi, appunto, alla Johns Hopkins, università che avrebbe adottato il “Choosing Civility Project”, una sorta di movimento neoumanistico da lui promosso fin dal 1997, tendente a ristabilire e ripristinare alcune regole basilari del vivere civile, allo scopo di reinsegnare a tutti la gentilezza, le buone maniere e un pizzico d’empatia nei confronti degli altri, mirando così a ridurre lo stress, migliorare le condizioni di salute, ridurre gli atti violenti e aumentare la felicità. In Italia la sua Piccola filosofia del vivere civile sarebbe stata poi tradotta e pubblicata da Longanesi.

Forni va però ricordato anche, a mio avviso, per le sue splendide poesie, anche se risalenti, come mi scrisse cinque anni fa in un breve messaggio, “ad epoche preistoriche”. In effetti, quando uscì il primo libretto di versi, Stemmi, prefato da Maria Corti, Forni aveva appena ventisei anni, ma va detto chiaramente che vi mostrava già il piglio e la sicurezza del poeta maturo. A mo’ d’esempio, ecco quattro versi che ritengo fulminanti nella loro icastica precisione: “Mi chiede, ingenuo, se la donna è morte; / rispondo: un fuoco grammaticale, un tempo / come l’aoristo forte / ed altrettanto spento.” Ed ecco le due strofe finali dell’ispirata Lettera a Stella: “Sai, ho il gioco affranto, elegante, / del buon centravanti a fine carriera, / protegge la palla col corpo / il moto di spalle un’alta / conversazione; // non vedi come parto distante / come per far venir sera / con che stacco e ironia io sia spento e sublime? / È grande solo il decoro / con cui prendo la via dello spogliatoio, / i calzoncini intatti, il numero alla schiena.”

Nell’antologia Poesia Uno, curata nel 1980 da Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi, esce Marmi, che riflette le esperienze fatte durante il servizio militare fra gli alpini. Segue, quasi vent’anni dopo, il volumetto Hotel Pace dei Monti, con un dettato poetico se possibile ancora più limpido e rarefatto, ma mai scevro di passione: “Spezzare il biscotto / di qualche parola / tuffarlo nel latte / vedere se cola // un verso o qualcosa / da mettere in bocca / veder se mi tocca / la spina o la rosa.”

Cinque anni fa, appunto, nel curare un numero di una rivista spagnola, “abril”, dedicato a scrittori italiani operanti all’estero, ho tenuto molto ad assicurarmi la sua partecipazione e ho fatto tradurre alcune delle sue poesie più belle in spagnolo. Non mi stupirebbe se circolassero e dessero frutti più oltre i Pirenei che da noi, dove purtroppo le plaquettes di poesia sembrano sempre destinate a una rapida obsolescenza. In un paese di eroi, santi, navigatori e, purtroppo, poeti spesso autoproclamati, è difficile distinguere una voce vera, raffinata e al contempo ricca qual è stata quella di Forni. E se la si distingue, la marea stentorea in cui siamo immersi e che tutto confonde finisce per portarsela via…

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Quanto a Piero Sanavio, torniamo indietro di quasi una generazione. Nato a Padova nel 1930, di famiglia antifascista della prima ora, si laurea a Venezia con Carlo Izzo, discutendo una tesi su Ezra Pound, e termina poi gli studi ad Harvard, da dove avrà l’occasione di spostarsi più volte al manicomio di St. Elizabeth per incontrare l’oggetto delle sue ricerche e chiarire con lui i passi più impervi dei Cantos. L’amicizia (o quasi complicità) che si istituisce con Pound lo accompagna per molti anni, nel suo frequente peregrinare da un continente all’altro: Sanavio insegna fra l’altro all’Università Orientale di Napoli e in quella della Tuscia, è inviato, soprattutto in Medio Oriente, del “Mondo” e del “Globo”, scrive per lo “International Herald Tribune” e altre importanti testate. Lavora anche per l’UNESCO, e nel frattempo scrive romanzi – La Maison-Dieu, Caterina Cornaro in abito da cortigiana ecc. – e perfino racconti polizieschi (con tanto di pseudonimo, naturalmente), traduce Quasimodo in inglese e Defoe, Richard Wright nonché Thoreau, che da noi ancora nessuno conosceva, in italiano, realizza documentari e si esercita fino agli ultimissimi anni in accurate e brillanti interpretazioni critiche non solo di Pound, ma anche di Conrad, Gombrowicz, Ionesco e Céline – le due ultime raccolte di saggi, Baedeker americano e Americana, sono uscite rispettivamente nel 2014 e nel 2016 -, manifestando in tutte queste sue attività una particolare attenzione per approcci personali, anticonvenzionali e innovativi. Nelle sue opere di finzione non gli è certo estranea la sperimentazione, ma non per questo abdica, al tempo stesso, alla ricerca e all’approfondimento delle proprie radici venete.

Sanavio l’ho brevemente incontrato nel novembre del 2014, quando partecipammo entrambi a un convegno a Ca’ Foscari dedicato agli scrittori europei allo scoppio della Grande guerra. Io presentavo una comunicazione su Kafka, lui parlò invece, con la grande competenza e con la passione che lo contraddistinguevano, dell’irredentismo di Giani Stuparich. Ma, al di là dei pregi e dell’eleganza del suo misuratissimo intervento, quel che più mi colpì in quell’occasione fu la sua partecipazione, nonostante l’età avanzata, a ogni singolo momento del convegno, il puntiglio e a volte la briosa e intransigente animosità con cui interveniva nelle discussioni per meglio lumeggiare un’interpretazione o sviluppare un concetto, la ricchezza di riferimenti che gli permetteva, che so, di collegare Kafka con D’Annunzio e Marinetti – ricordo in particolare uno scambio sull’episodio dell’aerodromo di Montichiari, presso Brescia, quando Kafka e Max Brod, i due amici in trasferta turistica, forse incontrarono (o forse no) proprio D’Annunzio e Marinetti. (Tutto prendeva lo spunto da un racconto autobiografico di Kafka, Gli aeroplani a Brescia, pubblicato un paio di settimane dopo i fatti dalla rivista “Bohemia”.) Si badi bene che parlavamo del’11 settembre 1909, ma per Sanavio era come se ci stessimo scambiando le nostre impressioni su una vicenda avvenuta il giorno precedente.

Ma soprattutto Sanavio va ricordato come grande irregolare, come persona fuori dagli schemi e dalle camarille accademiche che non poteva neanche immaginare d’ingraziarsi con i suoi studi apparentemente eccentrici ma tutt’altro che marginali, tali da denunciare in modo implicito il provincialismo di tante nostre realtà universitarie. Con Virtù dell’odio, del 2009, e Ancora su Céline, del 2013, reagisce al tentativo di molti intellettuali di ignorare o minimizzare il brutale antisemitismo e razzismo di Céline, operando una distinzione netta fra il risultato letterario e le coordinate ideologiche dello scrittore; in precedenza, nei libri dedicati al “miglior fabbro”, Ezra Pound (1977), La gabbia di Pound (1986) e Ezra Pound: Bellum Perenne (2002), aveva fatto confluire il frutto delle lunghe conversazioni avute con il grande poeta, separando anche in questo caso e accuratamente il valore poetico da quella che Sanavio considerava non a torto idiozia politica.

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La perdita di due studiosi e scrittori di queste dimensioni, per diversi che fossero i loro interessi e ambiti di ricerca, crea naturalmente un vuoto che sarà difficile colmare. Spiace però ancora di più che non abbiano goduto di maggiore attenzione in vita, da parte di un mondo della cultura che, lungi dall’essere ricettivo come dovrebbe, spesso si distrae correndo dietro alle ultime, effimere mode.

 

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