Roberto Verrastro
Il lancio di “Arturo's Island”

Morante d’America

Tradotto nuovamente da Ann Goldstein, arriva negli Stati Uniti "L'isola di Arturo" di Elsa Morante: il primo passo di una grande operazione editoriale che punta sulla riscoperta su scala internazionale dell'autrice de “La storia”

Il romanzo è celebre quanto la sua autrice, e ad ampliare decisamente la loro notorietà oltre i confini nazionali provvede ora Arturo’s Island (Liveright, 384 pag., 24,60 euro), la traduzione in inglese di Ann Goldstein de L’isola di Arturo di Elsa Morante, pubblicata negli Stati Uniti e preludio a una distribuzione mondiale che raggiungerà anche Singapore e la Malaysia, trascinata dalla fama della più autorevole fra i traduttori di letteratura italiana d’oltreoceano. L’evento è stato introdotto da un articolo sulla New York Review of Books del 7 febbraio, in cui Madeleine Schwartz, giornalista esperta di politica e cultura europee, scrive che, «come molti autori che vengono regolarmente scoperti e riscoperti, Morante non divenne mai famosa su scala internazionale. I suoi romanzi non sono molto letti fuori dall’Italia, a differenza di quelli di suo marito, Alberto Moravia, o delle opere di molti artisti con cui collaborò nel corso della sua vita, come Pier Paolo Pasolini e Natalia Ginzburg».

Schwartz rievoca i difficili anni giovanili di Elsa Morante, nata nel 1912 a Roma (dove morì nel 1985), e il «segreto» di famiglia che ne caratterizzò l’infanzia: la madre, Irma Poggibonsi, una maestra elementare ebrea originaria di Modena, scoprì durante la prima notte di nozze che suo marito, Augusto Morante, era impotente. Elsa apprese a dieci anni che il suo vero padre era l’uomo presentato a lei e ai suoi fratelli come «zio Ciccio», al secolo Francesco Lo Monaco, che poteva agevolmente intrattenersi con Irma grazie al fatto che quest’ultima, per punizione, faceva dormire il marito nel seminterrato. Elsa fu una brillante studentessa priva del denaro per concludere il suo percorso universitario alla facoltà di Lettere, in compenso scriveva le tesi di laurea per gli altri studenti, sopravvivendo a stento dopo essere andata a vivere da sola. «Ogni giorno la mia vita diventa più stupida, condizionata e tormentata da bisogni fisici: materiali e sessuali», annotò sul suo Diario nel 1938, un anno dopo l’incontro con Alberto Moravia.

L’isola di Arturo, vincitore del Premio Strega nel 1957, è ambientato sull’isola di Procida proprio alla fine degli anni Trenta («Arturo sono io», dichiarò l’autrice riecheggiando Flaubert), e una chiave di lettura che Schwartz indica ai lettori odierni consiste nel riconoscere come per Elsa Morante l’odio contro le donne sia inscindibile dalla violenza politica. Arturo Gerace, il protagonista del romanzo, «ha assorbito misoginia dalla nascita», osserva Schwartz. Il padre italo tedesco Wilhelm, parlando delle donne al figlio, sostiene che «tra le molte femmine cattive che si possono incontrare nella vita, la peggiore di tutte è la propria madre! Questa è un’altra verità eterna!». Ma Arturo non ha alcuna esperienza personale delle donne, che sull’isola nel golfo di Napoli è complicato perfino avvistare. Di sua madre, morta di parto, gli è rimasta una fotografia ingiallita. Il solo essere femminile con cui trascorre il tempo è la sua cagna, Immacolatella.

Arturo ritiene suo padre un eroe, non va a scuola, ma legge storie di valorosi soldati del passato:«I libri che mi piacevano di più erano quelli che celebravano, con esempi reali o immaginari, il mio ideale di grandezza umana, la cui incarnazione vivente riconoscevo in mio padre», che egli idealizza al punto di sostenere che «quando avrò le rughe anch’io, sarà un segno che sono cresciuto, e allora io e lui potremo essere sempre insieme». Schwartz nota tra i pregi della traduzione la permanenza del tocco leggero di Elsa Morante, che Ann Goldstein fa riemergere puntuale a temperare una prosa che suonerebbe altrimenti distaccata: il ragazzo è giovane e ingenuo, «ma Morante mantiene la seriosità infantile con cui egli considera le sue idee». Il risultato appare una felice eccezione alla regola individuata dallo scrittore inglese Tim Parks nel 1988, in un’epoca ancora dominata dal vinile: quella che leggere Elsa Morante in una lingua diversa dall’italiano significhi «ascoltare l’opera su un disco graffiato».

Il mondo adolescenziale di Arturo sussulta quando Wilhelm porta sull’isola una nuova moglie, Nunziatella, solo due anni più adulta del figlio. Wilhelm la insulta, così come Arturo, che ricerca l’approvazione del padre. «Potevo vedere l’enorme paura che aveva di lui: era come se dovesse fronteggiare un bandito armato, e rimaneva lì, lottando tra l’obbedienza e la disobbedienza, incapace di decidere quale delle due la spaventasse di più». Arturo muta atteggiamento e tenta di baciare Nunziatella, ma lei lo respinge, e capisce inoltre che suo padre è omosessuale: le sue assenze non erano dovute a viaggi in luoghi esotici degni di un eroe letterario, ma alla ricerca di amanti nelle vicinanze. «Un’altra illusione infranta», sentenzia Schwartz, il cui articolo non a caso si intitola The Disillusionist, attitudine che sorregge Elsa Morante fino al termine del romanzo, quando la guerra dischiude ad Arturo la possibilità di diventare egli stesso quell’eroe che immaginava in suo padre.

«Quello che volevo era combattere per imparare a combattere, come un samurai orientale», pensava Arturo. La conclusione di Schwartz è tuttavia perentoria:«Il lettore, oggi come nel 1957, sa che, anche se Arturo ne uscisse vivo, in quanto italiano sarebbe sconfitto, che per un eroe è un destino peggiore della morte». Un’affermazione vera ma semplicistica, alla quale sfugge quanto spiegò un critico letterario di casa nostra come Cesare Garboli (1928-2004) che, nel 1968, scrisse in una prefazione al romanzo che quest’ultimo esige innanzi tutto una lettura, nell’ordine mitologico, complementare e parallela:«Tutto quello che avviene nell’Isola di Arturo potrebbe dirsi una tempesta in un bicchier d’acqua, se il bicchiere non fosse poi così miracolato, nelle sue umili dimensioni, da detenere una capienza appunto planetaria». Ovvero coincidente, ovunque e in ogni circostanza storica, con il dramma di diventare adulti che unì così strettamente Elsa Morante ad Arturo Gerace.

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