Paolo Petroni
A proposito di "Idda"

Memoria d’amore

Due amiche, un amore difficile, la perdita della memoria e dell'identità dovuta a una malattia degenerativa: sono gli ingredienti del nuovo romanzo della filosofa Michela Marzano

Una storia d’amore, una storia di memoria, la vita di due donne, Annie e Ale, che mentre una perde il proprio passato, la seconda lo riacquista e elabora in una sorta di passaggio vitale e vivificante che coinvolge il lettore e vuol far riflettere su sé stessi, anche con un certo didascalismo non eccessivo che poi si fluidifica nel racconto, come accade in Idda (Einaudi, pp. 232, 17,50 euro) e sempre nei libri di Michela Marzano, ordinaria di Filosofia morale e una delle studiose di filosofia più amate, come dimostrano le sue lezioni, a cominciare da quelle affollatissime al Festival Filosofia di Modena, dove è tra i personaggi di gran successo con Galimberti e Recalcati.

Se l’oblio copre tutto per una malattia della memoria, diciamo l’Alzheimer, a doverci fare i conti sono gli altri, se invece “copre tutto forse a causa di qualcosa che è successo, che si è rotto, qualcosa che si è taciuto quando si sarebbe dovuto urlare, allora anche i ricordi più belli finiscono per essere sepolti” e farci i conti è la persona in questione. Accade così a Ale quando si ritrova a dover e voler stare accanto al suo compagno Pierre, la cui vecchia madre appunto sta scivolando fuori della realtà comune, mentre lei ha la parte migliore di sé stessa che le mette paura e ha così sepolto il momento di passaggio essenziale della sua crescita, legato a un fatto drammatico avvenuto nella sua famiglia, la morte della madre in un incidente d’auto dopo aver litigato col padre che guidava ubriaco. Lei lo accusa di averla uccisa e quindi, andata a vivere in Francia, non vuole più vederlo e sentirlo da 17 anni, non vuole affrontare quella vicenda cui tutto è rimasto ancorato e fermo.

Gli inizi sono difficili, Annie comincia a non riconoscere, a dire cose sconnesse, a evitare o cancellare fatti e persone. E questo spiazza chi le è vicino, Pierre soprattutto, che rifiuta la malattia degenerativa, che non vuol ammettere e interviene anche contro ogni evidenza, perché sta perdendo una persona cara che è però ancora in vita. Ale appare più distaccata e più apparentemente solida, ma tutto comincia pian piano a inquietarla, ad aprire in lei piccole incrinature quando devono liberare la casa della madre, oramai ricoverata in una clinica. Era una donna molto precisa che conservava tutto, documenti, lettere, foto, pagine di appunti, di cui Ale subisce il fascino e in cui si immerge, pensando così di scoprire qualcosa di più, di conoscere meglio l’uomo che le sta vicino, ma finendo per essere conquistata dalla vita di una donna indipendente, dal grande, intenso amore col marito, poi morto improvvisamente in un incidente sul lavoro e che era stato il suo capo in ufficio, sentimento che il figlio non ricorda, attribuendo anzi alla madre una certa freddezza. La figura di Annie come madre e il ricostruire la sua vita per sé, ma anche per Pierre, riporta dolorosamente Ale ai nodi irrisolti legati alla propria madre e padre, sino a quando deciderà di partire, di tornare a casa in Puglia, dove era cresciuta tra ulivi e vigne, dopo quasi 20 anni da quando se ne andò seppellita la madre: “sono scappata da tutti, ho chiuso con mio padre, eppure sono ancora lì: ho sepolto mia madre, ma non ho mai sepolto la mia infanzia”.

Un romanzo non è solo nella sua storia, anzi questa diventa vera come solo la letteratura può renderla, nel momento in cui il lavoro e la complessità della costruzione e della scrittura arrivano al punto in cui non si avvertono più, come accade in queste pagine, in cui naturalmente si parla di amore, che è forse il tema centrale delle riflessioni della Marzano, cominciando col sottolineare la qualità e il valore di quello con Pierre, la forza del sostenersi e accettarsi senza volersi cambiare (lei è “rigorosa e parsimoniosa”, lui “procrastina e drammatizza”), ma ovviamente anche quello filiale e poi la scoperta di quello dei genitori. “L’unica frase che non scompare mai è: Ti amo”, scelta come preferita da chi ha perso la memoria di tutto. E l’amore, i sentimenti, la nostra realtà esistono quando vengono dette, quando si trovano le parole per esprimerle, ”smettere di nominarle significa voltare pagina, sopravvivere” e il francese l’aveva aiutata in questo, sino a quando tornano a galla di botto, prima una o due poi un fiume di quelle parole famigliari del dialetto pugliese (e la madre di Pierre diventa idda), con la loro incisività e tenerezza, necessarie e naturali per arrivare a sciogliere il dolore, quando comincia a riavvicinarsi piangendo e tremando alla propria infanzia.

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Accanto al titolo: Amicizia, di Pablo Picasso, 1908.

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