Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Orfeo al fronte

«Quello che gli uomini, con la guerra, con i muri uccidono, non è il presupposto nemico, è la poesia, il canto». I versi di Ivan V. Lalic ci dicono che il tempo della guerra è quello in cui la poesia è obbligatoria, il canto indispensabile. Com’è stato nel Novecento e come continua a essere…

Gli tapperanno la lingua inturgidita dalle botte, dalla tortura: la lingua di Orfeo, il poeta, il cantore che affascina uomini, bestie e piante con il suo canto. La sua lingua, il dono della voce, strappata. La lira, che nessuno come lui mai ha suonato, per accompagnare i versi e il canto: non solo la lira fatta a pezzi per terra, ma la clavicola di Orfeo svelta dall’omero, la clavicola su cui lo strumento a corde appoggiava. Siamo in guerra, una delle tante infinite guerre, Orfeo è un militare, sul bastione, di guardia, esposto alla morte come ogni sodato sul bastione, obbligato a uccidere.
Quello che gli uomini, con la guerra, con i bastioni, con i muri di Berlino e Donald Trump, quello che gli uomini uccidono non è il presupposto nemico, è la voce di Orfeo, la poesia, il canto.
Eppure Orfeo, il poeta progenitore e dio e primo di tutti i poeti, sta parlando, con la mente, prima che gli sia strappata la lingua che incanta. E vatìcina, , come solo la poesia può fare, che questo, questo della guerra è il tempo in cui la poesia è obbligatoria, il canto indispensabile. Ivan V. Lalic, nato nel 1931, è un poeta assoluto, uno dei massimi esponenti della fioritura serbo croata che si rivela tra il 1951 e il 1955, con il risveglio della cultura iugoslava e la coincidente caduta del dogmatismo stalinista e del realismo socialista. Nella splendida traduzione di Alec Stefanovic un esempio di poesia eternamente ettorica, resistente, una voce spezzata e vincente di Orfeo.
Secolo di guerre tremende il Novecento, genocidi. Secolo di voci altissime, poesia che resiste per rifondare l’origine nel canto.

 

Orfeo sul bastione

Ecco la linea dove esita il canto,

Ecco il vento che sputa sopra la lucerna, rovescia

L’uccello in volo, rompe le ossa,

Ecco la mia eco spezzata, le sillabe accecate

Al tocco dell’aria feroce del paese straniero –

Di nuovo è il tempo della morte;

 

Mi strapperanno la lingua inturgidita

In bocci amari, mi svelleranno dall’omero

Il braccio con lira, troppo tardi –

Sono già dall’altra parte,

Già in terra natia, dove le radici si sciolgono,

Già mi drizzo, riconosco il corridoio –

 

O cammino circolare, spaventoso, perfetto,

Ecco il tempo del canto.

Ivan V. Lalic

(Traduzione di Alec V. Stefanovic, in Lalic, Poesie, Jaca Book, 1991)

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