Alessandra Pratesi
Visto al Teatro dell’Opera di Roma

L’incanto del lago

Si torna a sognare sulle punte all’Opera di Roma con “Il Lago dei Cigni” di Čajkovskij messo in scena dal coreografo Benjamin Pech, già étoile all’Opéra di Parigi, adesso Maître de ballet del teatro romano

Sono le ore 19. L’inizio dello spettacolo è previsto per le 20:00. La biglietteria è ancora chiusa, il foyer è illuminato ma inaccessibile. Cominciano ad arrivare gli impazienti e gli affezionati: le famigliole con il loro seguito di bambini in giacca e cravatta travestiti da ometti e bambine in tutù luccicanti alla vita e cerchietti floreali damascati tra i capelli; si avvicinano al teatro anche i fidanzati annoiati che accompagnano le dolci metà, tacco a spillo ai piedi e pochette alla mano; si avvistano anche le amiche entusiaste, versione Carrie Bradshaw e Samantha in Sex and the City che si aspettano a vicenda, si ritrovano, si salutano e battono le mani contente solo all’idea di una sera all’Opera. I minuti scorrono e il foyer apre i battenti. È il turno, poi, della passerella di chiome canute e spalle impellicciate, abonnées di lunga data a braccetto dei mariti mentre sfoggiano parure di perle e d’oro rispolverate per l’occasione. Ci sono anche loro, i turisti dall’estremo Oriente e dalla tundra russa, con lo sguardo curioso e supponente di chi ha fatto dell’Italia e del balletto un mito. Nel freddo inizio di 2019, una variegata fauna umana di spettatori di tutte le età e provenienze sembra essersi data appuntamento al Teatro dell’Opera di Roma. È il richiamo irresistibile della magia del balletto: dal 28 dicembre al 6 gennaio è stata delizia del pubblico la nuova produzione del classico Lago dei Cigni di Pëtr Il’ič Čajkovskij firmata dal coreografo Benjamin Pech.

È il lamento di un oboe che apre il prologo del Lago dei cigni. L’intero balletto si costruisce sull’iniziale intonazione lugubre e sensuale, di sogno e di morte, confermandosi una storia tragica, non una favola con il rassicurante lieto fine. Immaginare il libretto di un balletto da un mito nordico (in questo caso quello della donna cigno) non è idea nuova, si pensi alle Villi e a Giselle. Accade nel 1868, durante un viaggio sul Reno di Čajkovskij in compagnia del sovrintendente dei Teatri Imperiali di Mosca, Begičev. La prima rappresentazione, nel 1877, sarebbe stata un flop, ma l’intervento del 1895 sulle coreografie da parte di Marius Petipa consacra il balletto nel pantheon del repertorio. Notissimo, eseguitissimo. È parte integrante dell’immaginario collettivo legato alla danza classica, si pensi alla versione cinematografica con Natalie Portman del 2010 (Black Swan). Risulta difficile oltre ogni dire, così, per un coreografo approcciarsi al Lago. Lo ha fatto Benjamin Pech, già étoile dell’Opéra di Parigi, per il Corpo di Ballo romano diretto da Eleonora Abbagnato, già sua collega negli anni parisiens. Da quell’intonazione, da quell’intuizione iniziale melanconica e tetra, Pech riparte, convinto che, come in pochi altri balletti classici, nella musica del divino Čajkovskij ci sia scritto tutto, fino alla minima indicazione drammaturgica e psicologica. Pech opta per l’abolizione di ogni possibilità di redenzione posticcia e di happy ending, rinuncia alla centralità della (presunta) storia d’amore tra la Principessa e il Principe: vero baricentro della storia torna ad essere il Principe Sigfried e il suo percorso di formazione che, tra dolori, delusioni e sviste, lo condurrà all’età adulta e al governo del suo regno. Il tradimento dell’amico Benno (che si sostituisce a Rothbarth nel ruolo di villain), la delusione d’amore, l’errore di cacciatore maldestro (sarà una freccia scagliata con la sua balestra a trafiggere il Cigno), il rapporto complicato con la Regina madre mettono in luce le fragilità del futuro sovrano e le contraddizioni del giovane uomo.

Il cast di solisti e il corpo di ballo addestrato da Pech regala momenti di grande intensità. L’étoile Alessandra Amato è un cigno sensuale e surreale. Tecnicamente impeccabile, attorialmente convincente, è un cigno bianco (Odette) ambivalente e si rivela perfetta per il ruolo di impostore del cigno nero (Odile). Flessuosa e leggiadra, è l’elegante cigno che vola, ma anche la seducente malia che inganna, il lato oscuro che seduce irreversibilmente conducendo fino al baratro del male e della perdizione. Il primo ballerino Claudio Cocino la accompagna nel ruolo del Principe Sigfried, mentre il ruolo di Benno nella replica del 5 gennaio è affidata a Walter Maimone. Lo scenografo Aldo Buti, lo stesso che firma le scene della Bella Addormentata di settembre 2018, dà forma e colore alla lettura proposta da Pech. Modelli di riferimento inequivocabili sono tanto i bozzetti della messa in scena del 1895 a San Pietroburgo (la prima di successo dopo il flop del debutto), tanto le tele briose del francese Watteau e quelle cupe di Friedrich (impressiona particolarmente la somiglianza delle scene di prologo e atto quarto con L’abbazia nel querceto). L’impianto narratologico ed emotivo ricercato – ed ottenuto – dalla produzione di Pech si avvale pure della sapiente direzione di Nir Kabaretti. La sua bacchetta è in grado di restituire una nuova freschezza e leggerezza alla partitura, persino alle scene più tragiche: tra sospensioni e stasi, ritmi più sostenuti e velocità incalzanti, regala al pubblico un testo musicale rinnovato. Merito dell’incantesimo del lago che si rinnova ogni qualvolta vi sia il felice incontro di passione e tecnica.

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