Mario Di Calo
Visto al Teatro Eliseo di Roma

Favola Scarpetta

Luciano Melchionna (regista) e Lello Arena (protagonista) aggiornano "Miseria e nobiltà" di Eduardo Scarpetta. Un capolavoro comico trasportato in era grillina, con qui "brutti sporchi e cattivi" degni di reddito di cittadinanza

Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta è un capolavoro assoluto del teatro: scritta a cavallo fra Ottocento e Novecento, ha un meccanismo a orologeria di comicità e/o riflessione antropologica. Risolta brillantemente da Scarpetta in uno scontro paradossale fra la povertà all’ennesima potenza ed una ricchezza arrogante, sbruffona, ignorante accumulata chissà come, in una commedia dai tratti grotteschi che nel suo tragico quotidiano trova il carattere per far sorridere, ma come tutte le commedie, reali e non, trova la sua risoluzione in un finale confortante e riparatore. I poveri non saranno più poveri e i ricchi non saranno più pasticcioni, ognuno porterà con sé qualcosa di nuovo e rivoluzionario, poiché si può essere ricchi o poveri allo stesso modo. Ma la storia è nota.

Luciano Melchionna regista – e adattatore con il protagonista Lello Arena – dello spettacolo in scena al Teatro Eliseo di Roma fino a ieri (e poi in tournée), facendosi prendere un po’ troppo la mano divide, separa, seziona questa differenziazione fra miseria e nobiltà in due ambienti profondamente diversi, la scena è ancora una volta di Roberto Crea. I protagonisti della Miseria sono costretti a vivere in una cloaca, una discarica (abusiva?), un sotterraneo in cui insieme ai rifiuti ammassati da anni, vi puoi trovare ben mimetizzati anche questi esseri umani alla deriva, la cui fame è solo una parte delle loro problematiche. I due protagonisti Pasquale e Felice sono divenuti, col trascorrere del tempo, uno un ex-figurante cinematografico (e qui, se gli adattatori volevano fare una riflessione sulla precarietà della professione artistica, mi pare assai poco probabile che si possa essere precari facendo le comparse al cinema), un bamboccione che esercita la sua mansione di mantenuto con una compagna più grande di lui, e l’altro da scrivano, diventa professore di ripetizioni con forti e legittime ambizioni di artificiere d’aforismi, ma si sa, oramai neanche l’insegnamento ha più una ragione collettiva e dunque il trascinarsi verso l’abbrutimento per le nuove generazioni è quasi inevitabile. Insomma: un ammasso di resti umani che combatte ogni istante della propria esistenza lottando per la sopravvivenza con topi, blatte e scarafaggi.

E qui l’esuberanza registica diviene un serio percorso a ostacoli per gli interpreti, che devono scavalcare, attraversare, strusciare materialmente attraverso una struttura di ferro, e in orizzontale, per affermare la propria sussistenza in quanto personaggi e interpreti. Ma, niente, non vi è soluzione di ripresa per questi poveri derelitti: una classe sociale che a ben diritto reclamerebbe quel reddito di cittadinanza appena approvato, ma poi? Come possono trovare collocazione impiegatizia, controtempo, in una società protesa verso lo sviluppo, verso l’economia, la prepotenza dei capitali delle banche, un ex-figurante e un aforista?

Ed ecco che ancora una volta viene in aiuto un buon autore, un buon dramaturg, di comprovata esperienza: Scarpetta fa cascare, per magia, i suoi personaggi in un mondo quasi da favola, di tavole imbandite e di cibo a sbafo, ricchezza prodotta da un pizzico di sorte e arroganza. Gaetano Semmolone, malgrado sia stato un cuoco incapace, si trova ad ereditare una fortuna dal suo padrone deceduto e di questa fortuna sembra farne un uso smodato, spalmandola su chi riesce a fornirgli un alibi di nobiltà. I finti nobili accedono a questo mondo dorato non dall’ingresso convenzionale da cui entrano ed escono gli abituali frequentatori della casa ma da quel sottosuolo da cui provengono, e sono gli unici ad assurgere dal basso a quel lucore accecante ma vuoto, sgombro di storia o significato. Per fortuna tutto si ricompone e i poveri saranno un po’ meno poveri e gli arricchiti saranno più consapevoli della fortuna a loro destinata.

A convalidare la regia, un cast di interpreti fuoriclasse a cominciare dal protagonista infaticabile, un Lello Arena che con generosa bravura tratteggia il suo Felice di lunare simpatia, un novello Pierrot dalla lacrima facile ma frutto di impostura, come è giusto che sia per uno che patito quello che ha patito, Tonino Taiuti che si conferma uno degli interpreti più bravi di questo genere, a suo completo agio fra strafalcioni e stupore attonito, Raffaele Ausiello che ci regala un Eugenio Favetti alla Gene Wilder, insolito, divertente, stravagante, Andrea de Goyzueta allampanato e surreale Pasquale, improbabile comparsa che nel travestimento trova la sua forma di rivincita, con loro ancora, tutti degni di lode, Maria Bolignano, Giorgia Trasselli, Veronica D’Elia, Marika De Chiara, Alfonso Dolgetta, Sara Esposito, Carla Ferraro, Serena Pisa, Fabio Rossi, Fabrizio Vona. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Eliseo con Vesuvio Teatro e Tunnel Produzioni.

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