Francesco Improta
A proposito de "Il passo della morte"

Passaggi di vita

Lo scrittore Enzo Barnabà e l'illustratrice Viviana Trentin raccontano dieci storie di frontiera al confine tra l'Italia e la Francia: un luogo dove l'epopea della migrazione si mescola a drammi e illusioni

Il passo della morte (casa editrice Infinito, euro 14) di Enzo Barnabà e Viviana Trentin si inserisce in una tematica antica come il mondo ma al tempo stesso di scottante e drammatica attualità: quella della frontiera  e delle relative di cui si sono occupati, con modalità ed esiti diversi, scrittori (Francesco Biamonti; Claudio Magris, Cormac McCarthy), saggisti, sociologi e critici (Alessandro Leogrande; Zygmunt Bauman; Giorgio Bertone etc. etc). Nel caso specifico il sottotitolo, Storie e immagini della frontiera tra Italia e Francia, non solo localizza con esattezza lo spazio in cui si svolgono i racconti ma evidenzia anche il carattere composito, eterogeneo e per così dire duale dell’opera trattandosi di racconti e disegni che traggono forza e ispirazione gli uni dagli altri.

Tanti sono i temi toccati, in queste dieci storie, così come i generi letterari adottati e gli stili utilizzati. Si va dalla narrativa (mi riferisco a Il ventre del pitone, pubblicato nel 2010 dallo scrittore siciliano, da cui è tratta la vicenda di Cunegonda); alla auto­biografia, quando Enzo Barnabà recupera dai crepacci della memoria alcuni episodi dell’esperienza da lui vissuta anni fa in Costa d’Avorio; alla cronaca, lucida e appas­sionata, allorché si parla dei no border e delle manifestazioni a Ponte San Ludovico (Ventimiglia). Vi trovano spazio anche il docu-film Io sto con la sposa, presentato con successo al Festival del cinema di Venezia del 2015, il dramma degli esiliati politici al tempo del fascismo o degli ebrei dopo le leggi razziali e la tragedia di quel “popolo della notte” (volendo usare una espressione cara a Francesco Biamonti a cui entrambi gli autori dedicano un commosso e doveroso omaggio) che cerca disperatamente, attentando alla propria incolumità o rischiando addirittura la vita, di passare il confine (ed è qui che si giustifica il titolo del libriccino). Né va dimenticato il puro e semplice divertissement della truffa degli aerei annusatori, che rappresenta, a dispetto di qualsiasi considerazione di carattere morale, un soffio di genialità e una ventata di aria fresca in una tragedia di dimensioni incalcolabili, qual è quella dei migranti.

E tutto ciò nel rispetto – e non poteva essere altrimenti data la sua natura di storiografo – della verità storica e con sensibile riguardo nei confronti del lettore al quale vengono risparmiati elenchi circostanziati o notizie fredde, asettiche e indigeste. Barnabà, io narrante e io agente oltre che autore, ricorre invece alla viva voce degli interpreti di questo dramma e si affida alle sue ormai collaudate doti di narratore, capace di graduare i toni e accarezzare le parole più consone, per raccontare le storie presenti e passate.

Le illustrazioni di Viviana Trentin s’integrano perfettamente con la parte scritta; se si escludono, infatti, i due ritratti che incorniciano il libro: quello di Biamonti in apertura e quello dell’autore in chiusura, che sono pur sempre legati in maniera diretta o indiretta alle vicende narrate, si tratta perlopiù di graffiti, oggetti e indumenti/stracci, spiegazzati come la loro esistenza, che con i loro colori accesi, talvolta violenti, riem­piono le pagine segnando le tappe di questa via crucis intrapresa dai migranti, di questa loro fuga dal passato e dal presente verso un futuro tanto desiderato quanto remoto e improbabile. Vorrei concludere ricordando una frase, che ha valore gnomico, pronunciata da uno degli intervistati: “Meglio la morte a mare che la vergogna dinanzi a mia madre”, frase che in italiano non conserva la stessa efficacia fonetica e linguistica che ha in francese – Plutôt la mort dans la mer que la honte en face de ma mère ma che ribadisce ancora una volta la dignità di questi popoli, l’attaccamento alle tradizioni e l’amore filiale.

Un lavoro, nel complesso, intrigante, variegato e di buona fattura, a metà strada tra la storia e l’antropologia e arricchito dalla bellissima prefazione di Gianluca Paciucci che con il suo acume e la sua onestà intellettuale, tramite riferimenti espliciti e dotte allusioni, evidenzia ciò che accade sotto i nostri occhi e che la maggior parte di noi si ostina a non voler vedere o a fraintendere apertamente, definendolo come invasione e non migrazione epocale. Ed è con le parole di Gianluca Paciucci, poeta e politologo, che vorrei concludere queste mie osservazioni: “Le/i migranti però ci ricordano un’altra cosa, che dà fastidio [in quanto mette a nudo la nostra cattiva coscienza n.d.r.]: che la costrizione in cui vive quel mondo che non è Occidente, è anche da questo Occidente prodotta, in perfetta complicità con le élite locali (disgustosi satrapi neri, da testimonianze acute riportate dallo stesso Barnabà)”.

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