Alessandra Pizzullo
Parole e ombre/22

Salvina parla piano

«Mentre Salvina guarda le pagine della sceneggiatura, sento in bocca il sapore del pane di Piana degli Albanesi intriso di vino rosso: la mia prima comunione col rito ortodosso»

Fotografia di Serena Galluzzi

Salvina parla piano, dolce. Siamo sole. E non è un caso che siamo sole, diventeremo amiche, dice. “Ci addumannai al parroco il permesso di fare il film in confessione e lui mi ha detto: Salvina, devi avere fede, non stai facendo niente di male, anzi è Dio che ti ha messo su questa strada, serve per la tua missione; devi essere semplice e vedrai che tutto andrà bene. Porterai la tua testimonianza. E mi benedisse.”
Così abbiamo anche la benedizione. Sorrido, pensando che a Giannino Cortese, che è diventato musulmano, alla moschea di Licata hanno dato la benedizione per il film.
Salvina mi regala un’immaginetta di Cristo. È biondo con la faccia larga. Ripreso da una prospettiva sghemba. Sull’immaginetta c’è scritto:

Tu sei il mio capolavoro.
Il mio volto risplende sul tuo volto.
Io ti ho creato a mia immagine.
Io conosco il tuo nome da sempre,
anche il numero dei tuoi capelli
prima che tu nascessi io ti conoscevo.
Ti ho chiamato e sei venuta al mondo
perché ti amo da sempre.

Vedo Gesù seduto in un biancore primordiale che conosce già il numero dei miei capelli e mi chiedo se sa anche che mio cugino Cosimo è completamente calvo.
Mi tornano in mente le pagine del mio libretto del catechismo, lo sgorgare incessante di arancio dalle pagine spesse, di raggi gialli che partono da un grande occhio, lo sgomento di un mondo parallelo, come una quarta dimensione che non aveva niente a che fare con il mio mondo di bambina.

Mentre Salvina guarda le pagine della sceneggiatura, sento in bocca il sapore del pane di Piana degli Albanesi intriso di vino rosso. La mia prima comunione col rito ortodosso, mentre, come una piccola Santa Teresa, mi confondo nell’estasi di Santa Maria dell’Ammiraglio di Palermo e per la prima volta in vita mia capisco la parola sensualità senza riconoscerla. È una vertigine e un calore che sale alle guance, al corpo, poi scende giù fino a profondità ancora sconosciute, quasi svengo e mi sento santa, proprio santa. Quando con mia sorella guardiamo le foto della prima comunione, ridiamo di quel vestito da sposa con il velo e la borsetta a forma di cuoricino, il cuore di Gesù. Mia sorella ha una faccia monella e ribelle; adesso che ci penso non le ho mai chiesto cosa pensasse quel giorno, ma io ho un’espressione casta e ispirata, con i boccoli lunghi e biondi.
“Forse sono pronta” dice Salvina con la voce che rimbomba nella palestra della scuola elementare di Favara e mi riporta al presente. Proviamo. A volte è troppo dolce e monocorde. Riproviamo.
“Com’è u sucu? Attia sempre t’è piaciuto ‘u sucu chi milinciani… u‘caciu ci u mittisti?”. La battuta della scena con Filippo e Giovanni non le viene bene.
“È la memoria o non è chiaro il significato?”
Salvina esita: “Tutt’e due le cose. Forse ho capito, dev’essere come il rosario, le parole sono sempre le stesse, ma si possono assistimari in maniera diversa. È come quando mi dissero: Salvina, fai una confessione, una preghiera personale. Io dissi no, poi sentii la voce del Signore che diceva vai, pigliai il microfono e parlai davanti a tutti e mi dissero: Ma come sei bella quando preghi, ecco, forse devo lasciarmi andare così a recitare”.
“Vedi, Salvina, la zia Vincenza nel film non vuole sapere se il sugo è buono o no, sta solo riempiendo un vuoto, il silenzio è troppo carico di tensione fra padre e figlio e lei parla, parla e loro non le rispondono mai, è così per tutto il film, nessuno le risponde mai, la zia Vincenza è come un mobile della casa”.
Lei mi guarda bianca e piccola: “Sì, so com’è.”
Qualcuno mi ha detto che suo marito era un animale, che la picchiava. Che quando è morto per lei è stata una liberazione. Non dico nulla.
“Mio marito muriu che io avevo trentadue anni. Sempre una vita riservata ho avuto. Non talio mai la televisione, le cose brutte. Da bambina stavo in collegio. Una vita felice la mia. Poi, da grande, sai, sola e con due picciriddi mi sono messa a fare le pulizie nella parrocchia di Sant’Antonino e pulendo dicevo a Gesù fra me e me Gesù, putissi puliziari ‘u me’ cori comu puliziu st’agnuni e Gesù mi sentì e allora io cominciai a confessarmi e a confessarmi fino a puliziari l’agnuni du’ me cori e ora addiventai ministro straordinario” al mio sguardo interrogativo “do la comunione agli ammalati e tremo sempre quando ho in mano il cuore di Gesù, sempre mi emoziono. E tu?”.
“Sono una che crede nella spiritualità e penso che la nostra vita sia sempre nelle nostre mani” e poi con un volo senza paracadute svio sulla religiosità di mia madre e sulla chiesa ortodossa di Piana degli Albanesi. Lei non conosce né il paese né il rito, non ne ha mai sentito parlare. Allora mi perdo in spiegazioni e la spiritualità vira sull’architettura della chiesa e sulla storia dei turchi che invadono l’Albania e degli Albanesi che fuggono nel Sud dell’Italia e sui canti bizantini e sulla strana e affascinante lingua che parla mia madre.
Giriamo la scena con Salvina, Filippo e Giovanni: sono seduti a tavola. Salvina si emoziona e piange sul serio. Giovanni è intenso e Filippo rabbioso, di una rabbia interiore. L’intensità della scena emoziona tutto il set. Queste persone non sono attori, e vivono sulla propria pelle la storia.
“Mi sento meglio, sai, meglio assai ora ca fici a scena.”
I giorni di Salvina sono tutti uguali: si alza, lava i pavimenti, sorride, taglia il pane, scrive ai figli in carcere, uno al Pagliarelli e l’altro a Padova e va a messa, si prende cura dei nipoti e ti racconta che è felice, ma sembra una città bombardata, che aspetta un soffio per disfarsi in un fumo polveroso.

Ognuno di noi porta dentro l’anima un cane rognoso, un bambino storpio, una peste silenziosa, e quando ce li ritroviamo specchiati negli altri, fuggiamo via. Salvina invece si è presa carico del suo dolore e l’ha messo a disposizione del film.
Mi vengono in mente tutte le mie paure: Salvina che deve girare alle tre del mattino, che deve stare in camicia da notte, lei così pudica, che deve svenire alla processione…ma Salvina parla di sé e per la prima volta le piace, tutto è semplice per lei. Sta puliziannu l’agnuni d’u so’ cori.

Dopo aver girato l’ultima scena, Salvina si alza stanca, il suo viso è radioso, si tiene un fianco con la mano sinistra. Le do un bicchiere d’acqua.
“Grazie, dopo tutti i spaghetti ca mi manciai…” ride e mi abbraccia “grazie grazie. ’Un ti scurdari di mia quannu tinni vai…”.
Sento il calore umido del suo corpo. Trema.
Mentre scrivo questa pagine Salvina mi telefona, è sempre così, tutte le volte che penso a lei mi telefona, dice che mi sente, ride e non si stupisce.
“Lo sapevo che mi stavi pensando”.

Alessandra Pizzullo nasce e vive a Palermo . Ha radici arberesh, da parte di madre. È attrice di prosa. Tra i suoi maestri Jerzy Sthur, Ludwig Flaszen per il teatro, e Michael Margotta, Marco Bechis e Luca Ribuoli per il cinema. Ha lavorato, tra gli altri, con Renato De Maria, Roberto Guicciardini, Antonio Calenda, Renato Carpentieri, Pif, Ludwig Flaszen , Jerzy Sthur. Ha lavorato come doppiatrice e come attrice in radiodrammi. Autrice di testi teatrali, che poi dirige e/o interpreta. Insegna inglese in un istituto superiore e al Centro Sperimentale di Cinematografia, sezione documentari. Si occupa di progetti teatrali in carceri, ospedali, scuole. È tra le protagoniste del corto “Parru pi tia”, che vince il premio GAI alla mostra del Cinema di Venezia 2018

Serena Galluzzi. Nata il 17 Luglio 1974 a Roma, scopre ben presto il segno come rivelazione di forme e idee e successivamente il colore come mezzo di una più libera espressione. Si diploma alla SRF – Scuola Romana del Fumetto. Dopo una lunga assenza dal disegno, il 2004 rappresenta un nuovo inizio con l’Accademia di Belle Arti di Roma: la formazione presso la scuola del pittore Andrea Volo, un viaggio di studio presso l’ENSAD – École nationale supérieure des Arts Décoratifs di Parigi, fino al ritorno nella capitale e la laurea in Pittura. Presente in diverse collettive nazionali e internazionali, negli ultimi tre anni partecipa attivamente alle mostre d’arte collettive della Tevere Art Gallery di Roma.

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