Raoul Precht
Periscopio (globale)

Turgenev, il gigante

Guida alla lettura di Ivan Turgenev, a duecento anni dalla nascita: un grande romanziere che non solo ha raccontato la "sua" Russia, ma ha visto in anticipo la crisi dell'Europa ottocentesca

Come farsi un’idea delle condizioni di vita dei servi della gleba nella Russia dell’Ottocento, e cominciare a capire, indirettamente, le ragioni della più grande rivoluzione del secolo scorso? Semplice, basta prendere un racconto di Ivan Turgenev, Mumù, peraltro magistralmente tradotto da Tommaso Landolfi, e leggere le seguenti parole: “La padrona s’era così bene ficcata in testa l’idea del matrimonio di Kapiton [un servo, appunto], che non aveva parlato d’altro persino durante la notte, con una sua dama di compagnia che teneva apposta per i casi d’insonnia e che dormiva di giorno come un cocchiere notturno” (il corsivo è nostro). Se si aggiunge che le ricchezze venivano computate non tanto in denaro o in estensione del terreno posseduto, quanto in “anime”, secondo il numero di domestici, fittavoli e servi della gleba che il signore controllava, il quadro si fa molto più chiaro. Basti dire che la madre di Turgenev, Varvara Petrovna, ricchissima ereditiera di una famiglia della nobiltà lituana, possedeva dieci villaggi e cinquemila anime, essendo inteso che quest’ultimo termine comprende solo la forza-lavoro maschile, poiché donne e bambini non contavano. Il potere di vita e di morte era assoluto: il servo che avvicina per la prima volta il giovanissimo Ivan Sergeevič alla poesia russa sarà mandato in esilio per punizione. Ma quello che colpisce davvero è che potremmo prendere a caso brani da un qualunque suo romanzo o racconto e ricavarne informazioni e commenti estremamente acuti, pertinenti e illuminanti che trascendono, come in tutti i grandi scrittori, la storia, la trama, il plot, per aprire invece nuovi orizzonti sulla storia coeva.

Nato il 9 novembre di duecento anni fa (il 28 ottobre secondo il calendario giuliano in vigore all’epoca), alla sua morte, nel 1883, Turgenev non lascia una produzione immensa: appena sei romanzi scritti nell’arco di quarant’anni, molti dei quali poco più lunghi di una novella, più i primi racconti, che lo renderanno subito famoso, delle Memorie di un cacciatore. È principalmente un autore di povesti, categoria narrativa assimilabile al racconto lungo o romanzo breve: il massimo del risultato, sembrerebbe, con il minimo sforzo. Questi romanzi, tuttavia, non hanno solo descritto la realtà, ma contribuito a cambiarla, tanto che, ad esempio, le Memorie di un cacciatore lo rendono subito e per tutti il campione dell’affrancamento della servitù in un momento storico, gli anni ‘40, in cui il trionfo del realismo gogoliano faceva considerare l’opera d’arte positiva solo se portatrice di un messaggio sociale. Paradossalmente, Turgenev contribuisce in effetti con le sue opere alla liberazione dei servi della gleba, anche se questo andava verosimilmente molto al di là delle sue intenzioni di liberale illuminato. Così come riuscirà poi a descrivere mirabilmente la gioventù radicaleggiante e černyševskijana tramite il personaggio di Bazarov, protagonista di Padri e figli, libro al quale si fanno risalire quei movimenti d’opinione, dapprima sotterranei e poi sempre più eclatanti, che più di cinquant’anni dopo porteranno alle rivoluzioni di Febbraio e d’Ottobre. Messa in questi termini, si direbbe un’esagerazione: ma è certo che, con Rudin (1857), Un nido di nobili (1859), Alla vigilia (1860) e Padri e figli (1862) Turgenev affronta direttamente e senza perifrasi i conflitti interni alla cosiddetta buona società, e con i successivi Fumo (1867) e Terra vergine (1877) finisce per completare una sorta di storia dell’intellighenzia nel secolo decimonono, dall’hegelismo degli anni ’40, quelli della gioventù e della formazione universitaria, fino al nichilismo dei ’60 e al populismo dei ’70.

Per molti versi Turgenev è anche il più europeo degli scrittori russi: tratto questo, oltre all’assenza nella sua opera della tematica religiosa, che lo distingue chiaramente dagli altri due grandi contemporanei, Tolstoj e Dostoevskij. Del resto, il suo spiccato “occidentalismo” è almeno in parte il prodotto di viaggi fatti in Europa fin dalla prima infanzia. La disputa fra slavofili e amanti dell’Occidente che innerva tutta la sua produzione letteraria s’intreccia, fin dalle Memorie di un cacciatore – libro scritto non a caso per lo più all’estero, a distanza di sicurezza dagli ambienti raffigurati –, alla questione dell’identificazione di un “popolo russo” e delle sue aspirazioni e a quella, parallela, della decadenza di un’aristocrazia ormai svuotata di senso, che ne rende gli ultimi esponenti dei superflui anacronismi. Nella sua adesione a un pessimismo di stampo schopenhaueriano Turgenev è equidistante, imparziale e quasi clinico: se da un lato il suo ritratto della nobiltà è impietoso, dall’altro non si lascia certo coinvolgere dall’idealizzazione del contadino russo propugnata in particolare dagli slavofili, compresi quegli intellettuali di sinistra che seguivano gli insegnamenti dell’amico Herzen. In Fumo, per esempio, Turgenev tratterà satiricamente tutto ciò che è russo, dagli alti funzionari ai rivoluzionari. A suo parere occorreva insomma portare in Russia il progresso e i vantaggi della vita occidentale, di cui aveva fatto esperienza diretta soprattutto in Germania, e non richiudersi in un’astratta celebrazione del proprio folclore; ma anche in questo caso è abbastanza critico da rendersi conto che alla lunga l’impeto rivoluzionario con cui, sia pure da posizioni liberali, simpatizza, non rappresenterà la soluzione, ma aggraverà forse il problema. Neanche l’approccio liberale è peraltro esente da pecche, si direbbe: in Padri e figli il podere dei Kirsanov è amministrato in base a principi ispirati al romanticismo liberale, e il padrone Nikolai Petrovič ha già diviso le sue terre con i fittavoli prima ancora della riforma del 1861, ma Turgenev è abbastanza lucido da riconoscere come questo finisca per ripercuotersi negativamente sullo sfruttamento del suolo e sui ricavi, riducendo il margine di ricchezza non solo del padrone, ma anche dei servi di una volta; l’impoverimento generale rappresenterà alla fine una delle cause del diffondersi di quel nichilismo rivoluzionario che sarà incarnato dalle giovani generazioni. Nell’ultimo romanzo, Terra vergine, un affresco proprio dei giovani e del loro fallimento, perché divenuti prede del populismo, all’incapacità rivoluzionaria del protagonista Nezdanov, che finirà per suicidarsi, si contrappongono sì le manovre di alti funzionari liberali e al contempo reazionari, ma la vera sintesi fra le due posizioni, entrambe fallimentari, è data da coloro che, come l’autore, conoscono bene il popolo e sanno valutarne con distacco l’immaturità.

Sicuramente debitore di Gogol’ per l’attenzione al particolare – il primo a sottolineare con acume l’importanza per Turgenev delle Anime morte è stato Dostoevskij –, e fortemente influenzato anche da Lermontov in particolare nelle prime opere, Turgenev dispone di un enorme talento per la descrizione, soprattutto della natura, che si sposa a uno stile limpido e raffinato, di cristallina eleganza. I personaggi vengono accompagnati con partecipazione e rispetto; non ci sono mai caricature, e l’effetto comico che un personaggio può produrre è dovuto alla situazione e alle debolezze del carattere, analizzate però dallo scrittore in modo empatico, come rimarca fra tutti Isaiah Berlin, ovvero da osservatore spassionato e penetrante. V. S. Pritchett si è spinto ad affermare che Turgenev tratta i suoi personaggi non da scrittore, ma con le attente cure del biografo; un biografo, aggiungeremmo, che un po’ s’innamora sempre dell’oggetto dei suoi studi.

A proposito: fra i temi principali non va dimenticato l’amore, con i tormenti e i patimenti che procura. La sua influenza ha non di rado un effetto di disorientamento sui personaggi che ne vengono colpiti; del resto, come da tradizione consolidata nella letteratura russa – si pensi solo all’eredità puškiniana -, i protagonisti di Turgenev sono quasi sempre deboli e irrisolti. Un solo esempio per tutti: in Padri e figli una figura pure interessante come Bazarov, dedito alla medicina sperimentale e completamente calato in una concezione materialistica della vita, si scopre del tutto impreparata a gestire il sentimento amoroso, tanto che la sua vita, perdendo ogni equilibrio, finisce per infrangersi sugli scogli dell’infelice passione per Anna Odincova.

Dal punto di vista caratteriale, Turgenev non deve essere stato un personaggio facile. Arrestato nel 1852 e condannato a un mese di reclusione, poi confinato per tre anni in campagna, nella tenuta familiare di Spasskoye, a seguito di un articolo dedicato alla morte di Gogol’ e pubblicato in barba alla censura, per ragioni politiche Turgenev ha sempre avuto qualche guaio con la giustizia. Amico a fasi alterne di tutta l’élite intellettuale dei suoi tempi, litiga prima o poi con tutti, dal citato Herzen a Dostoevskij, da Nekrasov a Černyševskij. Quando nel 1861 Tolstoj – di cui Turgenev considererà sempre Guerra e pace un mostro che contravviene a tutte le regole della narrativa – lo sfida a duello senza testimoni, Turgenev decide di accettare la sfida, ma alle proprie condizioni, e cioè nel rispetto di tutte le convenzioni di quella stessa società aristocratica con cui era in costante polemica, e in qualche modo legando vita e letteratura, riproducendo cioè, anche nei suoi aspetti ridicoli, il duello cui si sottopone Bazarov in Padri e figli (e si sospetta anzi che la personalità di Tolstoj possa essere servita da modello per la figura di Bazarov). Alla fine, la singolar tenzone, che avrebbe rischiato di privarci in ogni caso di un gigante della letteratura, non avrà luogo, e va da sé che poi allo stesso Tolstoj, molti anni dopo, Turgenev diede, come del resto a Dostoevskij, un importante sostegno finanziario. A un altro duello, anch’esso fallito, voleva costringerlo invece Gončarov, che lo accusò di aver plagiato non una sua opera, ma addirittura il progetto di un romanzo (Il burrone); ricusando stavolta il duello in modo esplicito Turgenev pretese che la questione venisse invece giudicata da un collegio di letterati, creando un precedente giuridico per le interminabili controversie di questo tipo che arrivano fino ai nostri tempi. Per la cronaca, la giuria neutrale che venne costituita risolse la questione in suo favore, dando torto marcio a Gončarov. In termini di modernità e di consapevolezza della figura professionale dello scrittore, va ricordato altresì che Turgenev fu uno dei membri più attivi della Società di soccorso per artisti e letterati indigenti, sorta nel 1859 sul modello del Royal Literary Fund britannico.

I problemi con la giustizia cui accennavamo in precedenza, oltre all’esterofilia, spingeranno Turgenev a trascorrere lunghi periodi fuori dai confini nazionali; già nel 1846, innamoratosi della cantante Pauline Viardot, sorella dell’ancor più famosa Maria Malibran e dotata a quanto pare di una voce dall’estensione eccezionale, l’aveva seguita in Francia, nella sua residenza di Courtavenel, dove aveva scritto Memorie di un cacciatore. L’incontro con la Viardot, che gli aliena per sempre l’appoggio dell’asfissiante e dispotica madre, rimasta presto vedova, è un buon esempio di sofferenza amorosa. Turgenev se ne invaghisce nel corso delle tre stagioni operistiche che vedranno la Viardot trionfare a Pietroburgo nel ruolo di Rosina nel Barbiere di Siviglia; sembra però che all’inizio la Viardot lo ignorasse, considerandolo un mediocre poetucolo e costringendolo a fare conversazione con lei seduto sulla terza zampa di una pelle d’orso bianco, le altre essendo occupate dal direttore del teatro, da un generale e da un conte virtuoso del violoncello. C’erano insomma parecchi concorrenti da sbaragliare, e d’altra parte l’attrazione esercitata dalla Viardot era tale da spingere gli studenti ad attraversare la Neva gelata per andare ad ascoltarla.

Nel corso degli anni la relazione si consolida, anche se la vera e propria intimità fra i due sembra rimanere a lungo piuttosto scarsa, al punto che il diario di Turgenev registra la prima “relazione intima” non prima del giugno del 1849. In seguito, i due attraverseranno anche qualche crisi profonda, come quella del 1856, quando la Viardot s’innamora del pittore Arny Schaffer – tanto che non si saprà mai di chi sia davvero figlio il futuro violinista Paul Viardot, se del marito, di Turgenev o di Schaffer. Inoltre, sulla storia d’amore s’innesta una fortissima amicizia con il marito di Pauline, il repubblicano Louis Viardot, che accoglie Turgenev come un fratello e sviluppa con lui una complicità piuttosto insolita, vista la situazione. Nel 1863, a seguito delle persecuzioni subite da Napoleone II per le sue idee rivoluzionarie, Louis è costretto a fuggire, su suggerimento dell’amico di famiglia Franz Liszt, a Baden-Baden, e Turgenev seguirà la famigliola, facendosi costruire una villa nelle immediate vicinanze. Per qualche anno, alla sua attività di narratore affiancherà quella di librettista per Pauline, che, quando non suonava a quattro mani con Chopin o Clara Schumann in giro per l’Europa, componeva operette di grande successo, apprezzate da Bismarck e dai reali di Prussia. Quando sette anni più tardi è il momento di rientrare in Francia, Viardot parte da Baden-Baden per l’Inghilterra, dove lo aspetta Pauline, in compagnia dell’amico russo, e al ritorno definitivo a Parigi s’insediano tutti insieme in una palazzina di rue Douai, di cui Turgenev occuperà il secondo piano. Nella tenuta di Bougival, acquistata in seguito da Ivan Sergeevič, Pauline detiene fin dall’inizio la nuda proprietà. Ma non basta: Louis e Pauline saranno indicati quali eredi universali nel testamento di Turgenev; e in quello di Louis il patrimonio di questi è diviso fra la famiglia e lo scrittore. Il primo dei tre ad andarsene sarà proprio Louis, il 5 maggio del 1883; qualche giorno prima, Turgenev, gravemente malato di un tumore alla colonna vertebrale, era stato fatto portare da Pauline a Bougival ed era stato accolto da Louis in sedia a rotelle con le parole: “Ave, morituri se salutant.”

Viardot è stato uno dei maggiori traduttori delle opere di Turgenev e ha contribuito notevolmente al consolidamento della sua fama in Francia. Da parte sua, lo scrittore russo aveva subito saputo inserirsi nell’ambiente letterario parigino. Sarà il miglior amico di Gustave Flaubert, frequenterà attivamente Daudet, Goncourt e Zola, e con tutti loro costituirà il Gruppo dei cinque, ribattezzato da lui stesso con notevole autoironia “Gruppo degli autori fischiati”, in quanto ciascuno di loro aveva tentato senza successo la strada del teatro con commedie o adattamenti di opere narrative. Fra i suoi più grandi ammiratori ci saranno Guy de Maupassant, che si definirà sempre un suo discepolo e gli dedicherà la Maison Tellier, e Henry James, che lo preferisce ai rivali Tolstoj e Dostoevskij e gli consacra alcuni saggi.

Per chiudere con un aneddoto: sia Flaubert che Turgenev erano molto alti, rispettivamente 1,85 e 1,91: pare che incontrandoli per strada il figlio ancora piccolo di Daudet abbia chiesto al padre: “Papà, papà, chi sono quelli? Dei giganti?” Ebbene sì, il ragazzo non aveva tutti i torti.

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