Alessandra Pratesi
Pillole rossiniane

Rossini, uno di noi

Da Rossini alla contemporaneità e ritorno: uno schizzo per riflettere sulla scia del tempo e sulle note di Rossini. Degustazione poliartistica e polifunzionale per una fenomenologia dell’ascolto: "Gazza ladra", "Guglielmo Tell", “Cenerentola” e “Zelmira"

Ingredienti: prosecco e purea di fragola, fresca e gustosa ironia, genuino e vibrante sentimento, espressioni multiformi e variopinte della natura umana. Chiamalo se vuoi Rossini, Gioachino Rossini (Pesaro, 29 febbraio 1792 – Passy, Parigi, 13 novembre 1868). A 150 anni dalla morte del compositore pesarese la sua musica continua a parlare, il suo nome continua a essere un brand: da istituzioni come il ROF (Rossini Opera Festival) alla presenza incontrastata nei teatri lirici di tutto il globo, dalle espressioni ormai entrate nell’uso comune come il «factotum della città» fino ai reimpieghi delle ouverture in pubblicità e clip. Se oggi Coca-Cola mescola i due must dell’Italia all’estero, cibo e lirica, per pubblicizzare il suo prodotto sulle note della Gazza Ladra, i bambini degli anni Novanta cresciuti a pane amore e anime giapponesi ricorderanno il rituale del robot gigante di Yattaman che faceva uscire i mini robot da battaglia sulle note del Gugliemo Tell (un assaggio al minuto 0:45).

A rendere meritevole di fama imperitura l’opera di Rossini è la sorprendente intelligenza plastica di chi si adatta alle situazioni della storia e dell’animo, le imita, le evoca, le incita, le ricrea, le racconta. Un accordo, un crescendo e subito si crea la giusta temperatura emotiva. Di un artista del calibro di Gian Lorenzo Bernini Rossini condivide l’invidiabile e tanto elogiata facilità espressiva: entrambi nati con il dono di poter esprimere, con la musica o con lo scalpello, tutto ciò si affacciasse alla loro fantasia mobile, vivace, prolifica.

Il «soave non so che», quella dolce incertezza che annebbia e confonde, immobilizza e agita tipica del primo amore, nella Cenerentola è affidata al quintetto «Nel volto estatico / di questo e quello / si legge il vortice / del lor cervello, che ondeggia e dubita / e incerto sta». La sequenza a canone che si crea segue di poco le singole dichiarazioni di compiaciuto sconcerto di Don Ramiro, il principe, («Un soave non so che in quegli occhi scintillò») e gli interrogativi inquieti di Angelina, ovvero Cenerentola («Io vorrei saper perché il mio cor mi palpitò»). Chi non vorrebbe saper perché?

«La sorpresa, lo stupore» (dalla Zelmira, dal minuto 13:16): dall’agitazione alla sospensione, si riparte dal silenzio dell’orchestra con le voci a cappella e il pizzicato degli archi. Quando Zelmira viene ingiustamente accusata dell’assassinio del padre Polidoro e per questo condannata a morte, un altro quintetto esplode in «Fiume che gli argini / Rompe e sorpassa, / Tremenda folgore / Che uccide e passa, / È men terribile / Di quell’affanno, / Che inesorabile / Mi strazia il cor!» (dal minuto 19:01). Chi non avrebbe il cuore dilaniato?

L’udito è l’unico dei cinque sensi che non possiamo controllare. E su questa convinzione Javier Marìas, autore spagnolo contemporaneo, costruisce un intero romanzo: Un cuore così bianco. Una volta che una parola, un’informazione, un motivo musicale si insinua nella nostra mente, continua a lavorare inconsciamente. Uditore volente o nolente. La musica è più sottile ancora. Si stratifica e riaffiora. Forma la particolarissima colonna sonora di una esistenza e di un’epoca intera. Rossini colpisce e diverte, emoziona e fa palpitar, succedeva allora e succede oggi.

Facebooktwitterlinkedin