Alessandra Pratesi
Visto al Teatro Quirino di Roma

Nobili Miserabili

Tappa romana per “I Miserabili” di Franco Però. La sfida della riduzione da feuilletton a pièce teatrale è brillantemente superata da Luca Doninelli, mentre Franco Branciaroli dà prova di nobile semplicità e quieta grandezza nel ruolo del galeotto redento

Quando nelle barricate di Parigi Jean Valjean lo libera, il suo mondo di rettitudine e saldi principi crolla: «Un galeotto benefattore che restituisce il bene per il male, che preferisce il perdono alla vendetta? Non è scritto in nessun codice! – esclama l’Ispettore Javert con la sorda voce incrinata della disperazione – Che fine ha fatto il Bene? Che fine ha fatto il Male? Che fine ha fatto il Mondo?». La grande letteratura non risponde alle grandi domande: pone grandi interrogativi. E nei Miserabili Victor Hugo non si sottrae alla missione. A Luca Doninelli il plauso di un paradigmatico lavoro di riduzione da feuilletton a pièce teatrale. Già presentato al Mercadante di Napoli e al Sociale di Brescia, prima di approdare al Piccolo di Milano, fa tappa al Teatro Quirino di Roma (fino al 4 novembre). Il giusto intransigente e il galeotto compassionevole, il furfante seriale e l’innamorata integrale, l’idealista rivoluzionario e il santo altruista: la condensazione in tipologie umane insieme alla proposizione, insistente e incalzante, degli eterni interrogativi morali lungo tutta la durata dello spettacolo offre un’eccellente summa del grande romanzo di Hugo. Nonostante i salti spazio-temporali da Tolone a Digne, da Montfermeil a Parigi, dal 1817 al 1833, la narrazione che procede fluida e armoniosa. I discreti cambi scena pensati da Domenico Franchi, fatti di parallelepipedi e pannelli scorrevoli di tutte le nuances del grigio accompagnano il pubblico sin dentro il cuore pulsante dei Miserabili.

La regia di Franco Però è umilmente ed efficacemente al servizio del testo; la musica (di Antonio Di Pofi) che vuole preludere e caratterizzare la temperatura emotiva dell’azione risulta, invece, superflua, più disturbante che accessoria in uno spettacolo che è un monumento al teatro di parola. Franco Branciaroli (nella foto accanto al titolo), nel ruolo di Jean Valjean, trasuda teatro. La sua recitazione è priva di movimento scenico, affidata com’è a una voce profonda e uniforme, capace di mantenere la stessa vibrante arcata drammatica come forzato incattivito e come affettuoso padre adottivo. La prova attoriale di Branciaroli è di una nobile semplicità e quieta grandezza che investe tutto il cast, contagiosa. Ottimo pure il suo antagonista: Francesco Migliaccio (Javert, nella foto in basso) sostiene con sicurezza il sinistro ardore dei fanatici seguaci di una verità suprema fino al suicidio. Meritano una menzione speciale le presenze femminili: l’Eponine di Valentina Violo (nella foto a destra) è camaleontica e autentica; Silvia Altrui come Cosette bambina/Gavroche semina quel tocco di innocenza e gaiezza, di gioia e di speranza che è proprio dell’infanzia. Romina Colbasso, poi, neodiplomata dell’Accademia “Silvio d’Amico”, è fastidiosa al punto giusto per vestire i panni di Cosette fanciulla. Fine ultimo, mai strumento dell’azione che, da Fantine a Jean Valjean a Marius, gira intorno a lei come la Lucia Mondella manzoniana, con la sua voce stridula e lamentosa, il suo stupore infantile e gli slanci di amore incondizionato è come dovrebbe essere ogni Cosette: un raggio di sole primaverile che disturba la studiata e rassegnata immobilità di una stanza buia e polverosa.

Da vedere e rivedere, in famiglia e con la scuola, con gli amici o nel religioso raccoglimento dei propri pensieri. I Miserabili prodotti dal Teatro Stabile del Friuli propongono teatro e letteratura nella loro forma più classica e pura. Propongono exempla virtutis – da seguire o da evitare diligentemente. Epurato il grande romanzo delle digressioni sociali, storiche e cronachistiche resta la potenza della natura umana e la forza dei sentimenti. «Amatevi, al mondo non c’è che questo», esorta Jean Valjean. L’epopea di Hugo assume i caratteri epici della tragedia greca che riflette sul senso della Giustizia, sull’uomo e su Dio. «Dio. L’anima. La responsabilità. Questo triplice concetto basta all’uomo», scriveva Hugo nel suo testamento. Jean Valjean e Javert, come già Antigone e Creonte, sono due facce della stessa medaglia perché entrambi alla ricerca del decalogo per un mondo migliore. «Essere buoni è facile, essere giusti difficile», sentenzia Javert, mentre Jean Valjean confessa: «Ci sono uomini che credono di essere giusti ma non lo sono. Bisogna essere stati dei miserabili per capire questo».

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