Tina Pane
A Castel dell'Ovo di Napoli

Modello De Filippo

Carolina Rosi e Tommaso De Filippo dedicano una grande mostra al mondo della più celebre famiglia del teatro italiano del Novecento. Un monumento (da visitare assolutamente) all'arte della scena

Il leggendario Castel dell’Ovo, che sorge sull’antico isolotto di Megaride, luogo del primo insediamento di Neapolis, è la sede individuata dal Comune di Napoli per ospitare la mostra monumentale I De Filippo, il mestiere in scena che, inaugurata alla fine di ottobre, darà vita alle antiche sale del complesso fino al 24 marzo. Curata da Carolina Rosi, Tommaso De Filippo e Alessandro Nicosia, patrocinata dal Ministero dei Beni Culturali, con la collaborazione di Istituto Luce, Fondazione De Filippo, Siae, Rai e altri partner, la mostra si è assunta l’enorme, amorevole compito di raccontare le famiglie De Filippo e Scarpetta e il ruolo che hanno svolto per il teatro e la cultura in Italia.

Il primo impatto del visitatore è con una carrellata di spezzoni di spettacoli e film misti a immagini d’epoca. C’è un Eduardo giovanissimo, biondo e già con la sua inconfondibile voce vibrante che si chiede il perché del male del mondo, poi la scena topica di Luca Cupiello nel dialogo del presepe con suo figlio Nennillo e ancora la voce fuori campo di Don Gennaro, mentre scorrono le immagini delle macerie materiali e morali della guerra, che recita le battute finali di Napoli Milionaria «È la guerra, Ama’, dobbiamo aspettare. Adda passà ‘a nuttata».

A seguire, la sezione Poesia, con sedici attori – da Toni Servillo a Luca Zingaretti, da Isa Danieli a Lina Sastri, da Marco D’Amore a Vincenzo Salemme – che interpretano i componimenti di Eduardo, per poi arrivare alla sezione Cinema, con una raccolta di locandine e una miscellanea dei film più popolari. Emozionante la sezione Teatro, con dodici isole realizzate con materiali originali: fondali, bozzetti, costumi e oggetti di scena, copioni e lettere che consentono al visitatore di riconoscere e ricordare scene e dialoghi di opere entrate nell’immaginario collettivo, come la macchinetta del caffè di Questi Fantasmi, lo scialletto di Luca in Natale in casa Cupiello o l’abito buono di Filumena Marturano.

Nelle sale superiori, la visita deve per forza rallentare il passo perché ogni video, ogni documento, ogni locandina o fotografia merita attenzione, lettura, riflessione. Le ultime due Sezioni sono infatti dedicate una all’impegno civile di Eduardo (le amicizie e le corrispondenze, la fondazione del Teatro San Ferdinando, il rapporto con la maschera di Pulcinella, la nomina a senatore a vita e la presa di posizione per i giovani rinchiusi negli istituti di pena) e l’altra a tutti gli altri protagonisti della famiglia: Eduardo, Vincenzo e Mario Scarpetta, i fratelli Titina e Peppino, Luigi De Filippo e naturalmente Luca.

Su tutti questi protagonisti, una famiglia di straordinari talenti, giganteggia sempre la figura di Eduardo, l’abnegazione che lo guidava nel mestiere, la lingua napoletana che ne supportava l’espressione, il suo rapporto con Napoli, infinito serbatoio di immagini, storie e umanità. «Questa mostra – dice Carolina Rosi – spero sia vista come un omaggio a tutte le compagnie, a coloro che hanno vissuto, vivono e vivranno, purtroppo sempre più con difficoltà, il chi di scena; un omaggio alla grande famiglia Scarpetta/De Filippo che del mestiere ha fatto un momento unico, straordinario e allo stesso tempo collettivo di riflessione condivisa; perchè il teatro questo fa: parla del nostro tempo, della nostra vita, al di là dei tempi e degli spazi». Parole che fanno tornare in mente un celebre episodio del film L’oro di Napoli, in cui Eduardo, nei panni del professore don Ersilio Miccio, consultato dai suoi vicini di vicolo, prescrive un pernacchio (due volte al giorno) per colpire l’arroganza del nobile del quartiere: «Con un pernacchio –conclude la dimostrazione – si può fare la rivoluzione».

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