Valentina Di Cesare
A proposito di “Ho sposato mia nonna”

Il mondo a rovescio

Tito Pioli racconta la storia, apparentemente quotidiana, di una nonna e un nipote precari. Ma è il ritratto di un mondo capovolto, dove le eccezioni sono ormai leggi, dove la malattia della società è lo specchio della sua salute

«Lei sa bene che la vita è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere». Mentre leggevo Ho sposato mia nonna, il romanzo che Tito Pioli ha pubblicato lo scorso anno per l’editore Del Vecchio nella collana Formelunghe, mi sono tornate alla mente le parole di Pirandello nel suo Sei personaggi in cerca d’autore, in uno dei tanti momenti in cui emerge, nello scrittore siciliano, la perenne contesa tra aspettative e realtà, tra logica e paradosso, e si fa viva come sempre, la ricerca di un senso esistenziale che regoli le scelte umane e le loro conseguenze nella vita e nella società. Delle numerose tracce che l’umorismo e il paradosso hanno lasciato nella letteratura, quelle presenti nel romanzo di Tito Pioli Ho sposato mia nonna vanno a far luce sull’Italia contemporanea. E per questo ho potuto rintracciarle da me, senza servirmi di un manuale di storia; Pioli ha scelto di raccontare le sfaccettature e la precarietà del nostro mondo, attraverso le vicende di due protagonisti per nulla lontani da quelli che capita di incontrare quotidianamente nella cosiddetta realtà visibile, in fila dal medico o sull’autobus, al bar o in ascensore.

Norma e Tato sono i nomi dei protagonisti, nonna e nipote, insegnante di materie tecniche, precaria ma a un passo dalla pensione lei, e giornalista freelance e blogger lui, altrettanto precario e sottopagato; le loro esistenze visionarie si svolgono nella periferia di Roma, a Rebibbia, e la loro quotidianità è tempestata di eventi tanto dolorosi quanto ridicoli che sono oramai parte di un’abitudine impenetrabile. Fin qui nulla di troppo lontano dalla realtà: il nostro paese è davvero pieno di persone che scrivono senza essere retribuite e continuano imperterrite negli anni, magari con qualche trovata originale, sperando di essere prima o poi scoperti da qualche grande testata nazionale, per non parlare degli insegnanti eternamente precari che dopo più di vent’anni di supplenze non possono ancora vantare un contratto a tempo indeterminato e passano da una scuola all’altra, a seconda delle necessità. Come già detto, niente di eccessivamente irreale nelle vicende, ma è l’approccio umoristico e paradossale alla materia narrata a fare la differenza, insieme al continuo senso di spiazzamento che il lettore non può fare a meno di provare leggendo questo romanzo.

La svolta narrativa arriva col licenziamento di Norma e con i tentativi disperati da parte sua e di suo nipote, di fare soldi e mettere finalmente un punto a un’esistenza economicamente incerta e sacrificata, nella quale persino il loro matrimonio sembra poter essere una soluzione. Attraverso l’ironia delle vicende narrate, l’autore dipinge un ritratto feroce della nostra epoca, sopraffatta da ipocrisie e ingiustizie sempre più all’ordine del giorno; ridere sì dunque, ma soprattutto riflettere, comprendere, individuare i motivi di certe derive; quella che Pioli riporta nel suo romanzo è una realtà a rovescio, invertita rispetto al senso di marcia, il suo è un mondo capovolto dove le eccezioni sono ormai leggi, dove la malattia della società è lo specchio della sua salute, dove i favoritismi e le disuguaglianze sono una pratica del tutto usuale eppure i suoi protagonisti non cedono davanti a niente e, complici semplicità e fantasia, cercano di riscattarsi senza farsi fagocitare da odio e rancori.

Lo scrittore usa la lente d’ingrandimento del paradosso per osservare il reale e riportarlo a modo suo sulla pagina, non certo per distaccarsene o sfuggirgli; la tendenza al nonsense, le strategie dell’assurdo e la stravaganza di certi passi, sono solo strumenti di raccordo della parola per un umorista, tutt’altro che mancante di serietà, di sguardo critico e di senso della realtà. Si sa che in generale il nostro paese, non è mai stato tenero, almeno all’inizio, con i suoi scrittori in possesso di talento comico e, ancora adesso, dinanzi alla scrittura umoristica, tanto semplice quanto evocativa, tanto possibile quanto impossibile, le cautele della critica continuano ad essere molte. La pratica scrittoria di Pioli è istintiva, popolare, immediata e vocata alla caricatura, ed essa appare come il risultato di un giusto equilibrio tra polemica e humor, disapprovazione e comicità. Dietro alla scrittura di Pioli, giunto con questo romanzo alla sua seconda prova narrativa, si ravvisa anche un’umiltà autentica, qualità ben diversa dalla ben più diffusa modestia; l’approccio di Pioli alla materia scritta porta di certo una ventata d’aria buona alla letteratura contemporanea perché dietro alle vicende narrate, tanto corrosive quanto surreali c’è impegno letterario e insieme una rinnovata e ancora fiduciosa passione civile.

—–

Accanto al titolo, un’opera di Marc Chagall

Facebooktwitterlinkedin