Mario Di Calo
Visto alla Sala Assoli di Napoli

Moscato malinconia

Enzo Moscato (con la complicità del musicista Pasquale Scialò) ha costruito una sorta di varietà della nostalgia mettendo insieme canzoni, parole e immagini degli anni dai Cinquanta ai Settanta

Nei giorni di ottobre a Napoli (12 al 14 e dal 18 al 21 ottobre) , in una Sala Assoli totalmente re-inventata nella distribuzione degli spazi, quasi irriconoscibile, rinnovata da Casa del Contemporaneo che ne l’ha eletta a propria dimora, ha avuto luogo Modo Minore, parole da una scena costellata di memoria tra canzoni, di Enzo Moscato. Un varietà del tempo che fu, una traversata nostalgica in un passato non del tutto perduto, uno sguardo volto all’indietro per rendere più accessibile un odierno difficile da gestire. Il prestigioso quanto nobile autore napoletano, con la complicità di Pasquale Scialò – che ne cura il progetto con arrangiamenti e direzione musicale – trascrive una drammaturgia musicale costituita di canzonette che vanno dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, intervallata da alcune riflessioni al leggio (sei per l’esattezza) in punta di penna arguta e calamaio dai variegati colori. Una penna usata come un fioretto da affondare in un ideale avversario che è il tragico movimento ondulante della vita.

Moscato ha sempre usato la musica come parte fondante del suo teatro, del suo essere autore/attore in scena, e in Modo Minore la musica prende la rivincita sulla parola, una parola altrettanto importante nella poetica di questo grande uomo di teatro, che in palcoscenico trova la sua forma d’espressione più completa. Accompagnato da quattro valenti musicisti, Paolo Cimmino, Antonio Colica, Antonio Pepe e Claudio Romano, Moscato agisce in una scatola scenica vuota, che ben presto viene riempita da note sinuose che riempiono lo spezio della memoria e del ricordo. La voce di Moscato, come un usignolo innamorato, ci fa rivivere tanti momenti appassionati, passando da Carosone a Gaber, ma il momento più rappresentativo di questa dedica struggente ad una una gioventù che non vuole sfiorire, a dispetto di una ciclicità inesorabile che si accavalla, è la fusione fra The Koln Concert di Keith Jarret e Nun t’aggia perdere che al tempo fu cantata da Pino Mauro.

Ma tutta questa nostalgia non avrebbe senso se non legata a ricordi, a emozioni, a immagini, ed ecco che preponderante arriva il Cinema con la C maiuscola. Mentre Moscato ci dà soddisfazione col suo modulato richiamo ardente, in alto le immagini di un mini film dal titolo omonimo scorre e le immagini mostrano l’autore con dei giovani interpreti che lo seguono nei meandri misteriosi, ancestrali dei vicoli dei quartieri spagnoli. Un doppio, triplo da sé che specularmente si rifrange su se stesso, ed ecco che Moscato intona Cinema Adua tratto da Hotel de l’Univers, del 2003, altro magnifico viaggio compiuto nel mondo della celluloide. Moscato a piedi scalzi, come a ricordare le sue anime vaganti di quella Spentaluce/Napoli raccontata/rivissuta in Raccogliere e Bruciare vista al Napoli Teatro Festival del 2017, vaga sul palcoscenico fra le notine. Ombra evanescente eppur solidamente ancorata alla sua saggezza e conoscenza, spiritello esperto e canuto piombato giù da chissà quale galassia a guidarci come un novello Caronte fra le increspature di questa esistenza impervia e crudele, sirena senza sesso, come solo le sirene sanno essere, che nuota libero e felice in un mare di suoni armonici e orecchiabili atti a disarmare ogni bruttura e violenza di questo mondo. «I napoletani, sono come le api. Come le api succhiano polline e nettare dai fiori in uno spazio verde attorno a loro, per farne poi dolcissimo miele, così fanno i napoletani, ma non coi fiori, no… bensì coi suoni!», ecco questa frase detta da Moscato racchiude l’essenza di questo mai troppo lungo viaggio nella memoria di chi ha più di cinquant’anni e non solo.

Durante lo spettacolo, la sera in cui l’abbiamo visto, un incidente ha infastidito Moscato: una brutta luce di servizio illuminava scarsamente noi spettatori seduti in gradinata per assistere allo spettacolo: quello che, poi corretto, era un errore distraente, giustamente, per l’interprete che non deve vedere il pubblico, a noi è sembrato «quel mare dove luccica l’astro d’argento, placida è l’ombra, prospero è il vento». E un po’ ci è dispiaciuto non essere presenza reale in quel traghettare in barchetta, ma forse è giusto così: rimanere in attento, invisibile e vigile silenzio. Grazie Enzo Moscato per averci regalato qualcosa da tenere caro, molto caro, nel nostro ricordo.

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