Paolo Petroni
Visto al Teatro India di Roma

Amleto, sei pazzo?

Lorenzo Collati, con "Reparto Amleto", confeziona un bel gioco intorno al personaggio shakespeariano, emblema del disagio adolescenziale, ma che si scontra continuamente con la banalità quotidiana

Una buona notizia: è nata nuova compagnia composta da giovani da poco diplomati all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico che ha preso il nome dal protagonista del romanzo teatrale futurista Il codice di Perelà di Aldo Palazzeschi, e alla follia e l’evanescenza dedica il proprio primo spettacolo, intitolato Reparto Amleto, ironica e divertente rivisitazione del personaggio shakespeariano che alla fine esce di scena spiegando di essere “solo una finzione”, mentre gli si replica: “Ma chi non lo è di questi tempi?”.

Scritto e diretto da Lorenzo Collati, il lavoro è stato presentato l’anno scorso in alcuni Festival, quindi all’India di Roma, dove è tornato nei giorni scorsi, mentre dal 20 al 25 novembre sarà al Teatro di Villa Torlonia. Sono due sale del Teatro di Roma, che promuove e ha sostenuto questo spettacolo con un Premio di produzione dopo che è stato giudicato il migliore della rassegna under 25 “Dominio Pubblico 2017”. Altri riconoscimenti sono arrivati subito dopo al Festival di Spoleto col primo premio alla “Groups Competition” e il Premio Siae alla miglior drammaturgia.

Si inizia con un giovane ragazzo prostrato che si presenta in un pronto soccorso neurologico dicendosi molto confuso, oppresso dalla sua condizione, assillato dall’invito del padre a uccidergli il fratello, suo zio, tanto da aver finito per ammazzare per sbaglio un altro, il padre della sua ragazza, che poi forse non è nemmeno la sua ragazza e è anche lei assai disturbata.

Il giovane è un confuso adolescente e, affermando di essere neoplatonico e citando Seneca come Bachtin, dichiara che sono anche quattrocento anni che vive questo strazio, aggiungendo di chiamarsi Amleto, principe di Danimarca: uno che come apre gli occhi si trova in scena, al centro dell’attenzione generale, e che, come apre bocca, quel che dice viene analizzato e soppesato, perché lui è visto come “il paradigma della condizione esistenziale dell’uomo”. Naturalmente passa così, se non per pazzo, certo per uno assai sfasato, e mentre confessa di avere “una vista che va ben oltre le apparenze, oltre l’uomo”, si dice tormentato da “un’eterna consapevolezza in confronto alla quale sono solo palliativi una carbonara o una cacio e pepe”, di cui stanno invece parlandogli i due portantini-infermieri che lo hanno in consegna, presi dai problemi pratici che pone loro fare il turno di notte.

Un Amleto molto umano insomma che sente il peso del suo ruolo storico e culturale, che si lamenta delle mille varie letture che ne hanno fatto nel tempo, usando ogni genere di chiave interpretativa, delle mille diverse regie d’ogni tipo che sono arrivate a farne un burattino come a farlo recitare nudo. La verità è che lui si sente “in grado di squarciare il Velo di Maya” quando vuole. Si tratta di quello che, per Schopenhauer, divide l’apparenza illusoria del nostro esistere dalla realtà vera, per il quale torna a proposito il suo monologo più celebre, ”Essere o non essere”, che qui il protagonista cerca di recitare, continuamente interrotto dalla spicciola concretezza romanesca dei due custodi.

Uno spettacolo che grazie all’ottima e vivace recitazione da maschere veraci di Flavio Francucci, Cosimo Frascella, del medico di Lorenzo Parrotto e dell’Amleto con un filo di ironico straniamento di Luca Carbone, rende vivo il gioco intelligente e molto divertente creato da Collalti, puntando proprio sul contrasto tra la figura del protagonista, “nato per rimettere in sesto il mondo” controvoglia, e i portantini che cercano di riportare tutto a un quotidiano a loro misura e soprattutto contemporaneo, al livello di un ragazzo cui riescono alla fine persino a far ballare un hully-gully, alleggerendolo per un attimo dei suoi problemi, in cui lo fa poi ripiombare il medico di guardia, che però finirà per dimetterlo giudicandolo inoffensivo. È allora che sostiene di essere solo una finzione, come del resto sono o si sentono tutti di questi tempi.

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