Leopoldo Carlesimo
La seconda puntata di «Ladri di gasolio»

L’attesa di Nadine

«Conosce pressoché tutte le ragazze del locale. Conosce il barman, le cameriere, gli inservienti. Conosce i bianchi che ancora popolano il maquis. È una fille de la nuit, Nadine, tra le più in voga. Una delle più belle dell’Eclaté»

Riassunto della prima puntata: Nei pressi di Soronkoni, minuscolo villaggio della Moyenne Guinée, Africa occidentale, è in corso la costruzione di una diga sul fiume Konkouré. La vita delle comunità peul che abitano questo tratto d’altopiano è sconvolta dall’irruzione della macchina industriale del cantiere. Da un’economia di sussistenza, poverissima, basata su allevamento brado, piccola agricoltura e pesca stagionale lungo il fiume, il villaggio si trasforma nel terminale del flusso di merci che alimenta il cantiere. La ricchezza cresce, le occupazioni dei suoi abitanti cambiano. Una parte della popolazione fornisce manodopera alla diga, un’altra cerca comunque di trarre profitto dalla sua costruzione. Bande di ragazzi, come quella guidata da René, si organizzano per assaltare i mezzi del cantiere e rubare carburante e altri rifornimenti. Nei pressi di Soronkoni aprono locali notturni, come l’Eclaté, dove le ragazze dei dintorni – le bellissime fulane, o peul – si offrono agli uomini della diga.

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Gli ultimi colpi non li sente nemmeno, la testa è altrove, quasi neanche s’accorge che lui sta finendo. Un velo di sudore separa la sua pelle madida dal basso ventre dell’uomo. L’ultimo rantolo, un momento d’attesa e poi ecco, la sua ciccia bianca le rovina addosso, il dorso stretto e le spalle magre di Nadine s’inarcano a sostenerne il peso. Niente di difficile per lei, agile e forte, anche adesso che tutto il corpo dell’uomo s’abbandona, le mani scivolano giù dai fianchi, la testa si drizza sopra le spalle della ragazza e poi si china a deporvi un viscido bacio. Bacio conclusivo. Ancora un po’ di umidità e di umori, quindi l’uomo si distacca, finalmente esce ed è finita.

Si rovescia su un fianco. Un’occhiata in tralice al comodino, dove sono deposti sigarette e accendino. Ora li abbrancherà, tastando alla cieca, e se ne farà una, aspetta solo che gli torni il fiato.

Nadine approfitta di questa pausa per scattare in piedi, lesta, ed essere la prima a guadagnare il bagno. Il suo bel corpo di diciottenne si staglia eretto nella penombra ai piedi del letto, mentre s’aggiusta le lunghe meches, annodandole sulla nuca e sulla sommità del capo per proteggerle dall’acqua. Poi imbocca la porticina del bagno, guidata dalla fioca luce rimasta accesa sopra lo specchio, s’infila nel box doccia, lo scroscio d’acqua avvolge la sua figura smilza al di là del vetro.

L’intimità e il tepore di una doccia. Mentre lascia che il getto le investa il viso e sente un magnifico calore scorrerle tra i seni, sul ventre, lungo le cosce, i pensieri vagano liberi. Si dice: “Da dietro. Non mi piace, da dietro. Proprio non mi piace. Ma è la cosa che preferiscono.” Poi si dice: “Però avevamo appuntamento, con Cléo… strano che non sia venuta.” Poi si dice ancora: “La mezza. Se mi sbrigo, forse riesco a farmene ancora uno.”

Quando è fuori, ci mette un attimo a vestirsi. Il tubino di tela elastica da due soldi, spalle nude e gonna cortissima, aderisce perfettamente al poco che deve coprire. Non porta biancheria, non ne ha bisogno, i seni stanno su da soli e quanto al resto, è più pratico senza. Monta su tacchi smisurati, lei già così alta: un trampoliere; si dà una rinfrescata al trucco, mentre con la coda dell’occhio sorveglia l’uomo che ora scende faticosamente dal letto, tossicchiando, le lancia un’occhiata che Nadine conosce bene. Ecco: pare esitare, a vederla così giovane e bella davanti allo specchio, ormai rivestita, che si trucca… in lui si riaccende qualcosa… ma poi rinuncia, si ravvia i radi capelli grigi, grugnisce, scatarra, s’infila a sua volta dentro il box doccia.

“Porco, stammi lontano,” pensa Nadine; ma ciò che chiede ad alta voce, contando i soldi, è invece: “mi riaccompagni tu all’Eclaté?”.

“Scherzi?” Fa lui. “Me ne vado a dormire. Arrangiati”.

Lei dà una scrollata di spalle. Meglio così, si dice. “Ok,” fa ad alta voce. Digita qualcosa sul telefonino e pochi istanti dopo si sente lo scoppiettare di un motore di piccola cilindrata che s’avvicina alla casa. Nadine lancia un saluto distratto all’uomo sotto la doccia. Un’ultima occhiata al corpo appesantito che si muove goffamente dentro il box. Non l’ha chiuso, gli schizzi cadono fuori dal piano in ceramica bianca, una pozza va formandosi sul pavimento a mattonelline azzurre e manda riflessi d’acqua nella fioca luce del faux-plafond. Nadine esce tirandosi dietro la porta, sale sul sellino di uno scalcagnato scooter che l’attende subito fuori, a motore acceso.

Alla guida c’è un ragazzo magro, jeans e pianelle di gomma nera, berretto da baseball con la scritta rossa L.A. – Sunset Boulevard calzato visiera all’indietro sopra due occhiali scuri, nerofumo, anche se è notte.

“A casa?” Fa il ragazzo.

“No, all’Eclaté. Svelto,” risponde Nadine. Gli mette in mano una banconota sgualcita da cento franchi.

* * *

Si rende conto appena entrata che è lì per incontrare Cléo, è per questo che è tornata all’Eclaté. È tardi, il locale è mezzo vuoto. Scambia un saluto coi guardiani, all’ingresso, due ragazzoni neri alti e grossi che Nadine conosce fin da quand’era bambina. S’infila dentro e subito il pensiero dell’amica, che sembrava averla abbandonata, le torna addosso. Era lì, latente, l’aggredisce appena messo piede dentro la boite de nuit. Se ne accorge dal fatto che il suo sguardo non esplora il solito maquis. Non registra se e quanti bianchi ci sono, quanti sono già accompagnati da altre ragazze, quanti invece sono soli, siedono a un tavolo con una birra davanti, o fumano, o vagano ai bordi della pista, dove ballano le ragazze in mostra… non le restituisce nemmeno l’abituale colpo d’occhio della pista sopraelevata sullo spiazzo sabbioso, bersagliata di luci mobili e piena di volti noti, di ragazze, di uomini. Altera anche il riflesso dello specchio, dietro il bancone, e la sagoma di Eric, il barista, con la sua pancia a barile avvolta in un grembiule di panno bianco, in piedi braccia conserte davanti allo scaffale di bottiglie… e i separé, nella zona più oscura del locale, dov’è possibile appartarsi coi clienti per una sveltina venduta a pochi franchi… Lo sguardo inquisitorio di Nadine, stavolta, non riconosce nessuna di queste cose, non cerca altre ragazze, né altri uomini, né amiche, né prede, né vecchi conoscenti e neppure un’immagine imparziale della boite. Il suo sguardo, indifferente a tutto questo, si muove unicamente alla ricerca di Cléo.

Cléo non c’è, Cléo è assente.

Questo ormai è chiaro. Fruga ancora, nella penombra dei separé, dietro le quinte, oltre il bancone, nella toilette delle ragazze… ma ormai lo sa. Ne è certa: Cléo è mancata all’appuntamento.

Ne avevano uno, si dice, anche se un po’ vago…

E allora Nadine s’interroga sulla sua assenza. Cléo potrebbe non essere venuta affatto. Oppure potrebbe essere venuta mentre lei s’era allontanata con quel vecchio; e, non vedendola, essere andata via. O potrebbe non essere ancora venuta, chissà, forse verrà più tardi…

L’assenza di Cléo è la sola cosa che, tra tutto ciò che vede, in questo momento il maquis significa per lei.

“L’aspetterò,” decide. Si siede a un tavolo isolato.

Conosce pressoché tutte le ragazze del locale. Conosce il barman, le cameriere, gli inservienti. Conosce i bianchi che ancora popolano il maquis, con parecchi di loro c’è andata a letto una o più volte, qualcuno è un cliente abituale. È una fille de la nuit, Nadine, tra le più in voga. Una delle più belle dell’Eclaté.

Le sarà difficile restare a lungo a quel tavolo da sola. Un bianco si avvicina, poi un altro. Lei deve sorridere, darsi un contegno. “Aspetto qualcuno,” dice. “Non stasera.” Certuni si ritirano, altri insistono. Lei sa come trattarli. Parole sempre gentili, ma il tono di voce s’inasprisce, lo sguardo si fa freddo, respingente… e loro battono in ritirata.

“Io aspetto Cléo,” si ripete Nadine.

È testarda.

* * *

Un’ora dopo, quando René entra anche lui all’Eclaté, le due ragazze sono sedute a un tavolo appartato, in fondo al locale ormai semideserto. Si sbracciano a salutarlo. Sono proprio loro, sì, sua sorella Nadine e la sua amica Cléo, che René conosce fin da bambina. Una che ha sempre avuto un debole per lui. René è impolverato, sudato. S’è fatto una bella scarpinata per la brousse, ha ancora con sé, nella sacca, l’asta di ferro e il tubo di gomma, non è neanche passato per la sua capanna a riporli. È andato diretto all’Eclaté, per una birra di consolazione.

Ci vuole, dopo una serataccia così. Tutt’una notte di veglia, per neanche mezzo carico. E quella fuga attraverso la brousse… I succhi di gasolio ormai rendono sempre meno. La Compagnia ha aumentato la vigilanza, mette griglie di ferro all’imbocco dei serbatoi, controlla i consumi dei singoli mezzi e punisce gli autisti se risultano eccessivi, carica nelle macchine il numero di litri contati che servono a coprire il turno… tutti escamotages che rendono dura la vita ai ladri, a René e ai suoi compagni. E anche se finora mezza Soronkoni ha campato sui furti di gasolio (ci sono depositi, con bidoni nascosti infrattati nelle radure della brousse, veri e propri distributori abusivi, dove l’organizzazione del villaggio smercia il carburante rubato, e dai villaggi dei dintorni tutti vengono a rifornirsi lì) ormai si capisce che questo filone è esaurito, è sempre più rischioso e rende sempre meno. Così tutti cercano altre vie, altri modi per guadagnare qualcosa con la costruzione della diga.

“Ciao Nadine, Bonsoir Cléo,” René si siede al tavolo delle ragazze. “Quelle soirée de merde…”

“De merde, pourquoi…?” Fa Cléo. S’illumina tutta, quando René la guarda.

“Oh, j’étais dans la brousse… Non è andata bene, stasera.”

“Che è successo?” Chiede Cléo. Le interessa tutto quello che René dice, pende dalle sue labbra.

“Sono arrivati quelli della sorveglianza,” dice René

“Beh, capita…” fa Nadine.

“Sempre più spesso,” dice René. “Hanno picchiato tonton Oumar. Quei bastardi della surveillance. Se la prendono coi vecchi.”

“Hanno picchiato tonton?” Fa Nadine, animandosi.

“Già, l’hanno colpito,” fa René.

“Ces salauds…” dice Nadine. “Questi porci.”

“Allons, bevi qualcosa,” fa Cléo. “Offro io.”

René la scruta da sotto in su. È sorridente, bella, allegra, disponibile. È più di una birra di consolazione.

“Che, sei in grana stasera?” Le fa, provocatorio, sfoderando il suo sguardo malandrino.

“Certo. Sì, sono in grana. È proprio quello che stavo dicendo a tua sorella. Sarò sempre in grana, finché filo con il mio mec… Avanti, su. Fammi ballare…”

“Quale mec? Hai un mec, adesso?”

“Sicuro, sì, ne ho uno… Uno ricco, eh, uno importante, mica un fesso qualsiasi… Indovina chi?” È Ceschin, il capo del magazzino,” interviene Nadine, con aria indifferente, spazientita per le moine di Cléo. La dà noia che corteggi così spudoratamente suo fratello. Cléo la fulmina con lo sguardo.

“Hai acchiappato Ceschin?” Fa René. “Ma guarda…”

“Oui, je l’ai attrapé…” ride Cléo. “Lo stavo proprio raccontando a Nadine…”

“Ne va così fiera…” commenta ironica Nadine. “E tu non lo sapevi? Lo sanno tutti, qui all’Eclaté, è la notizia del momento, tra noi ragazze.”

“Ma avrà settant’anni!” Fa René.

“Settantadue. Et alors? È pazzo di me,” ribatte Cléo. “Allons, fammi ballare…”

* * *

Ballano. Abbracciati nella luce intermittente, i due ragazzi si muovono lentamente sulla pista deserta. È tardissimo, l’Eclaté è semivuoto ormai. Sono al terzo o quarto giro, e ogni volta che il pezzo sta per finire Cléo lancia un’occhiata al disc-jockey, nella sua postazione, un ragazzo smilzo della sua età, che conosce bene, perché continui a suonare dei lenti.

Si stringe al corpo di René. Muove i fianchi, strofinandosi contro di lui. È bella, Cléo, somiglia molto a Nadine, spesso le prendono per due sorelle. Alta quanto lei, è vestita meglio, si vede che il suo mec la riempe di soldi… Indossa un tailleurino attillato, coi volants, la gonna corta, il corpetto aderente che le modella il seno, tagliato nella tela dei pagnes… un tessuto tradizionale per un abitino moderno, un po’ osé, che qualche sartucolo di Soronkoni deve aver confezionato, copiandolo dai modelli raffigurati in quelle rivistine che abbondano nelle boutiques di coiffure frequentate dalle ragazze… Dopo un po’ che si strofina, Cléo sente finalmente d’aver ottenuto un risultato, là sotto… ce l’ha fatta, sta procurandogli un’erezione. E adesso sente le mani di René che scendono lungo la sua schiena, la stringono… I due ragazzi si trascinano per qualche passo nella penombra, allacciati, e finiscono per infilarsi in uno dei separé deserti, quegli antri scomodi da sveltine per bianchi… Non si spogliano – potrebbero pure, a quest’ora, chi vuoi che li veda? – ma sono impazienti, hanno una gran fretta, devono darsi soddisfazione…

* * *

Poi, però, è tutto molto più calmo e raccolto, nella capanna di René. La raggiungono subito dopo la sveltina dell’Eclaté, è lì a pochi passi. Un mezzo tugurio di pareti di fango alla fine del villaggio, dove le abitazioni di Soronkoni diradano fin quasi a perdersi nella brousse. Corrono fin laggiù tenendosi per mano, si tuffano ridendo sul pagliericcio sporco gettato a terra, il saccone che René usa per dormire. Ci si rotolano per tutto il resto della notte. Fin da bambini si conoscono, Cléo e René. Vent’anni, sono cresciuti insieme. Ma non s’erano mai conosciuti in questo modo. Un’intesa immediata, corporea, animale, ingentilita da qualcosa che viene dall’infanzia. E ci mette un po’ a sbollire, ci vuole tempo perché la foga scemi. È solo alle prime luci dell’alba, quando infine affiora un po’ di stanchezza e cominciano a sentirsi sazi l’uno dell’altra, che quel pensiero s’affaccia improvviso alla mente di entrambi.

Si fa strada di prepotenza. Un’idea che produce un graduale spostamento di valori. Dal desiderio fisico, erotico, a un altro tipo di cupidigia. Iniziano a esplorarla con prudenza. E a mano a mano che vi si addentrano, quell’idea li cattura. Non è certo l’amore a portarceli, forse il sesso, forse il sesso ha fatto da catalizzatore. Ha innescato il processo e poco a poco prende corpo il piano.

“Potresti prendergli le chiavi,” dice lui.

“Potrei, certo,” dice lei. “Non è difficile. Ha il sonno duro.”

“Mi bastano tre ore. Scendo a Mamou. Mi metto d’accordo prima con Normand, quello dell’emporio. Ha il tornio, faccio le copie. In tre ore te le riporto. Le rimetti esattamente dove le hai prese.”

“D’accordo.”

Lo fanno un’ultima volta. In modo molto più meditato, complice…

* * *

Così, la notte dopo, quando è ben certa che Ceschin dorma sodo – e lo è, perché l’ha visto bere parecchio e quando beve crolla e russa – Cléo sgattaiola fuori dalla sua parte del letto, s’avvicina nella penombra, fruga nei calzoni appoggiati sulla sedia, trova il mazzo, un enorme mazzo di chiavi tenute assieme da un anello di ferro. E con quello in mano, così nuda com’è, se ne va fuori, sulla soglia, dove l’aspetta René.

René esce dal cono d’ombra in cui s’era acquattato sotto una pianta. Si abbracciano. Si scambiano un bacio. Lui le accarezza il culo, delicatamente, con affetto, come le accarezzasse una guancia. Lei gli passa il mazzo di chiavi. René salta sulla bicicletta appoggiata all’albero e s’allontana.

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Fine della seconda puntata. Clicca qui per leggere la prima puntata. Continua.

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