Michele Caccamo
Parole e ombre/4

I pesci sono migranti liberi

«Il mare sembra una campagna desolata, che si diffonde enorme la paura; è una mamma che bara, che ci strangola e ci butta negli abissi. Io non pensavo il mare avesse i fianchi così deboli, e che poi fosse rude e violento»

Fotografia di Giovanna Chessa

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I pesci sono migranti liberi: e non hanno nessun ingresso sbarrato. E fanno il pallone, e si inseguono come fossero i fiati dell’organetto, e si addormentano felici.

Io ho spesso avvicinato il mio palmo alle loro bocche, per cercare di raccoglierne l’eredità quando avevo paura del naufragio, e di poter rimanere perduto come un oggetto. E mi giravano intorno senza spostare polvere come in guerra sulla terra, mio Dio.

Sott’acqua il mare sembra sicuro, non è arricciato e non sente l’assalto dei motori; senza il contatto con le dita umane rimane puro in ogni lato, come la fede o dovrebbe l’amore fra i popoli. E scendergli dentro vuol dire lavarsi la miseria, tutta, e non trovare più nessuno che si alza per darci ordini, in piedi e brillante come il destino: sott’acqua è una festa, perché il mare non è in mano ai ladri o ai criminali, ma ha nell’oppio dell’acqua la sua regina benedetta, o anche in questa spuma di superficie che rompe il silenzio nella notte. Non credevo fosse possibile cambiare il suo letto gigantesco in una noce, con la notte buia dentro; il suo lusso, di sostanza immortale, in un camposanto.

Io pensavo bastasse dimostrare nessuna paura, e rimanere seduto e non muovere straccio; bastasse aspettare, con le mani come un berretto alla testa, per correggere il sole e guardare verso l’orizzonte. Perché la morte ha un suo codice e non si approfitta di un uomo che piange e ha l’artiglio della sconfitta nella testa, che puzza di sangue che è un lumino che oscilla, praticamente un inutile impegno. Perché la morte ha bisogno di grandi morti per essere degna.

Il mare sembra una campagna desolata, che si diffonde enorme la paura; è una mamma che bara, che ci strangola e ci butta negli abissi.

Io non pensavo il mare avesse i fianchi così deboli, e che poi fosse rude e violento. E che la sua forza avrebbe tradito la fiducia, lasciato senza sostegno la fraternità.

Io non credevo che l’idea poetica dell’acqua servisse a trascinarci nell’inganno, e che il suo impeto secolare nascondesse davvero l’inferno, e che avesse delle tasche per raccoglierci mentre affondiamo.

Prima di partire avrei dovuto insegnargli la mia lingua: non mi avrebbe chiesto spiegazioni sul viaggio, e la mia preghiera non avrebbe avuto il suono del peccato. Mi fa un po’ paura vederlo tutto che mi circonda, in lontananza addirittura sembra vestito di nero. E io sono meno di una formica, di un pastello di carbone.

Non ho altro da guardare, e spero che non tuoni e che le onde non mangino l’aria tra me e il cielo. Metto indietro la distanza e mi immagino di esserci, di toccare la riva; con la mente allento il tempo, lo avvicino a me, come fanno i moribondi quando non hanno più coraggio.

Ho conservato le mie foto da giovane con le capanne di stoppia: la mia vita sembrava dovesse essere vittoriosa e il mio pensiero sicuro, come se in quella terra ci fossi dovuto rimanere in eterno.

E dovevate vederla, la mia amata, aveva sempre qualcosa nel cuore per farmi sentire bello, e noi eravamo un unico grano di luce. E come sorrideva, inarrestabile, davanti alla mia promessa dell’Europa. E me lo ha detto che si sarebbe voluta trasformare in un essere volante pur di seguirmi e proteggermi, mentre stavo in viaggio.

Da noi si sa che il mare frolla la carne e che la morte non ha nulla di celeste, si sa che anche per una sola onda virile potremmo trovarci con la testa capovolta, imbarcando poi pesci e raffiche di acqua.

Da noi si sa che il vento potrebbe portare le voci degli spiriti, e che nessuno ci troverebbe e che avremmo i nomi cancellati e saremmo un totale con neanche un fiore.

Ci sono uccelli di passo, proprio sotto la pioggia. La notte mi rende sordo, non sento quell’onda maggiore che si alza in volo e poi ricade come una tavola. È una mano mozza un pugno che mi schiaccia, mi occulta, mi ramazza. Sott’acqua mi gonfierò di sorsi di mare e nessuno mi fermerà; avessi i polmoni diventerei un lago, rimarrei placido.

L’acqua mi sta scoppiando in petto, ed è inutile che io tenga la mia bocca chiusa. Presto diventerò una creatura marina, un’eco la potenza del dolore; la speranza che qualcuno risolva questa guerra, prendendola da dove comincia.

I pesci continueranno a traversare il mare fingendo di non capire i miei occhi aperti, fingendo di non aspettare che la mia gola si allarghi e che dalle mie guance coli l’acqua come da uno zampillo.

Io mi curverò, nella speranza di essere pescato.

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Michele Caccamo (1959) è uno scrittore, poeta, paroliere e drammaturgo italiano pubblicato e tradotto in Egitto, Yemen, Indonesia, Siria, Palestina, Sud Asia, Russia, Cile, Argentina, Messico, Spagna, Francia, Stati Uniti. Attualmente lavora come direttore editoriale della collana Emersioni per Castelvecchi ed è editore de Il Seme Bianco. Tra le sue ultime pubblicazioni, tutte per Castelvecchi editore: La meccanica del pane (2016), Intrappolati- gli scafisti di Burg Mighezil con Luisella Pescatori (2017), L’anima e il castigo (2018)

Giovanna Chessa nasce a Roma il 5 dicembre 1961. Vive e lavora nella sua città natale. Collabora per molti anni con la Galleria L’Image dove si appassiona di arte e di fotografia.
Nel 2010 consegue il diploma triennale presso l’ISFCI Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Inizia la sua ricerca sperimentando diverse tecniche narrative e nasce il progetto “Forme Emerse”. Nel 2012 espone all’Auditorio Parco della Musica di Roma la sua prima mostra personale. Partecipa alla collettiva Darkroom Project di Muro Leccese dal 2012 al 2015. Partecipa, con la videoinstallazione “Riemersioni visibili”, alla Festa del Cinema del Reale XI Edizione a Specchia. Nel 2015 finalmente una nuova mostra personale alla Tevere Art Gallery di Roma. Nel maggio 2017 partecipa alla collettiva IL MOSTRO#7. Nel luglio 2017 partecipa alla collettiva I 7 MOSTRI di Arles presso la MaMo Temporary Gallery Arles.

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