Luca Fortis
A proposito di “Manifesta 12”

Nuovo Museo Palermo

La biennale d'arte nomade fa di Palermo una lente attraverso cui guardare - grazie alla creatività - l'incontro possibile fra tradizioni anche molto diverse tra loro. Per esempio, a Palazzo Butera...

Il pergolato verde si staglia contro l’azzurro del cielo, il vento sibila tra le foglie che si muovono lentamente creando quasi delle note musicali. Una melodia che a tratti potrebbe ricordare la musica classica e in altri la musica house, a seconda dell’immaginazione dello spettatore. In fondo, il dialogo tra passato e contemporaneità, è proprio il fulcro della rinascita di palazzo Butera, a Palermo. La splendida abitazione nobiliare è stato acquistata da Massimo e Francesca Valsecchi per farne uno spazio museale, che non solamente ospiterà la loro importantissima collezione d’arte, ma sarà anche uno spazio aperto alla città e agli studiosi di tutto il mondo.

La grande terrazza che dà sul lungomare di Palermo è tornata a splendere dopo anni. Il pavimento di maioliche è stato rifatto seguendo i disegni delle poche piastrelle originali ancora conservate. Da qui si possono vedere le onde infrangersi sul nuovo lungomare, onde che prima che si utilizzassero i detriti della seconda guerra mondiale per rubare spazio al mare, creando la moderna passeggiata sulla baia, un tempo arrivavano anche più vicine.

Massimo e Francesca Valsecchi hanno scelto Palermo perché «in questo momento storico, di fronte al dramma della migrazione, l’Europa spesso reagisce mettendo in crisi la propria identità e le proprie radici. Il valore che può salvare l’identità europea è invece l’accoglienza, e proprio la Sicilia, con la sua storia millenaria, può rappresentare un punto di partenza per ripensare l’identità europea». Al termine del restauro, il palazzo diventerà un laboratorio aperto alla città, che utilizzerà la storia, la cultura, la scienza e l’arte come catalizzatori di sviluppo sociale. Al piano terra, ci sarà una biblioteca di consultazione, spazi per le esposizioni temporanee e per le attività didattiche rivolte agli studenti delle scuole e delle università. Il primo piano rimarrà di fruizione privata e verrà sviluppato un progetto di casa-museo, mentre il secondo piano nobile sarà aperto al pubblico. Artisti, curatori e personalità della cultura potranno essere ospitati nella foresteria, dove potranno lavorare a progetti di ricerca per le mostre e le attività che si tengono nel palazzo.

La collezione Valsecchi spazia da Andy Warhol a Gerard Richter, da David Tremlett a Gilbert&George o Annibale Carracci, con anche maioliche, oggetti di pop art e reperti archeologici. Lo spazio museale aprirà a breve, appena i lavori di restauro del palazzo, che era molto degradato, saranno terminati. In questi mesi però è possibile visitare il palazzo grazie a Manifesta 12 e al tour del cantiere organizzato dalla Fondazione Valsecchi.

Manifesta, la Biennale nomade europea di arte e cultura contemporanea (ci cui Palazzo Butera è una delle sedi), nasce nei primi Anni Novanta in risposta al cambiamento politico, economico e sociale avviatosi alla fine della Guerra fredda e con le conseguenti iniziative in direzione dell’integrazione europea e la successiva frammentazione. Manifesta 12 «esplora l’idea di convivenza in un mondo mosso da reti invisibili, interessi privati transnazionali, intelligenza algoritmica, crisi ambientale e disuguaglianze sempre crescenti. Guarda a questo mondo attraverso la lente unica di Palermo, una città nel cuore del Mediterraneo, crocevia di tre continenti».

Manifesta 12 occupa il secondo piano di Palazzo Butera, «in un momento di transizione in cui l’esposizione dei diversi strati di affreschi, vedute sul mare, tubi, strutture e rivestimenti mostrano la complessa negoziazione (e interazione) tra arte, storia, tecnologie costruttive, geografia, gravità e vegetazione». Riflettendo su forme di coesistenza tra diverse entità, Manifesta 12 presenta qui le opere di Maria Thereza Alves, Melanie Bonajo, Fallen Fruit, Renato Leotta, Uriel Orlow e Sergey Sapozhnikov.

Una delle più belle è quella di Theatre of the Sun, che è composto da un’installazione “immersiva”, fatta da carta da parati con frutti e fiori e dalla Public Fruit Map di Palermo, che indica la posizione di centinaia di alberi da frutto in spazi pubblici e privati della città: alberi che molto spesso sono del tutto trascurati e ignorati. Le mappe sono gratuite e, come accade per i frutti, divengono una risorsa condivisa.

Molto interessante anche la visita al cantiere di restauro del palazzo. I lavori sono curasti dall’architetto milanese Giovanni Cappelletti: e, dunque, com’è stato intervenire in un luogo storico come palazzo Butera, facendo dialogare il restauro con l’inserimento di elementi contemporanei? «Abbiamo innanzi tutto tentato di capire cosa avesse il palazzo da dire – risponde Cappelletti. Fatto questo, abbiamo compreso come intervenire con elementi moderni, funzionali al nuovo ruolo che il palazzo svolge. Un museo ha una funzione diversa da un palazzo di rappresentanza. Noi poi siamo contemporanei e gli elementi che inseriamo non possono che essere contemporanei. Perché noi utilizziamo i materiali in un certo modo, essendo figli della nostra epoca. Ci sono poi elementi moderni suggeriti poeticamente dal palazzo stesso. Abbiamo tentato di trasmettere questa poesia a chi visiterà il palazzo».

I palazzi nobiliari sono sempre stati rinnovati a seconda delle mode… «Assolutamente sì, i saloni nobiliari sono sempre stati un esempio di stratificazione, ad ogni cambio di moda spesso si rifacevano», dice l’architetto. E com’è stato il rapporto con la Sovrintendenza? «Collaborativo e proficuo, i temi da affrontare erano difficili, ma proprio questo ha reso il rapporto molto interessante. Ci siamo trovati su una lunghezza d’onda positiva per dare giustizia a un edificio che nei secoli ha subito anche molte ingiustizie. Per farlo abbiamo proseguito sul doppio binario del restauro e dell’inserimento di alcuni elementi contemporanei. Siamo arrivati a capire quali erano i limiti da conservare e quali da forzare, con un giusto equilibrio che tenesse conto della storia del palazzo e dei continui rinnovi a seconda delle mode».

I palazzi aristocratici hanno sempre ospitato opere d’arte per abbellirli e svolgere attività di rappresentanza. Come farete dialogare le diverse opere? «L’edificio – risponde Giovanni Cappelletti – ospiterà diverse aree espositive. Il piano terra esporrà mostre non permanenti in cui arte contemporanea e antica si mischieranno Questi spazi sono perfetti perché tutti differenti. Il secondo piano ospiterà le collezioni permanenti, anche in questo caso accostando arte antica e contemporanea. In fondo tutto le opere nascono come contemporanee, quindi metterle una accanto all’altra, non è infrangere un tabù. Il piano nobile, che è una residenza a tutti gli effetti, rimarrà una residenza antica con opere “site specific”. Sicuramente non vi saranno sezioni di opere diverse, ma un dialogo tra opere differenti e delle epoche più disparate. Un tappeto antico sarà accostato ad un opera contemporanea e a una ceramica. Un po’ come si è sempre fatto nei palazzi antichi. Lo scopo è far dialogare, anche in maniera inconsueta, i pezzi tra di loro».

Infine, com’è stato lavorare a Palermo? «Questa è una città teatrale – conclude l’architetto – che raccoglie la vita di strada nelle architetture stesse. È una città in cui ci sono ancora tantissime architetture antiche che possono essere ripensate. Fa tremare i polsi pensare che si debba trovare una nuova funzione a così tanti palazzi antichi, ma è anche una grandissima opportunità».

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