Roberto Mussapi
Every beat of my heart

L’ancella dell’ombra

La figura di Antigone, l’eroina di Sofocle, come quelle di altri protagonisti del mito - Ariel, Prometeo, Ulisse e Scrooge - continua a vivere nelle parole di tanti scrittori che tornano a riscrivere la sua storia. Come Roberto Mussapi, in questi versi…

Un saluto. Mi congedavo per le vacanze estive il giorno del mio compleanno, 21 luglio, con una poesia inedita da un libro nascente. Ora torno ai miei lettori con un monologo in versi da un libro che essi già conoscono: almeno Penelope e Amleto sono personaggi che dalla scena del libro, e dei teatri in cui hanno agito continuano e continueranno ad agire, sono apparsi su queste pagine. Ora Antigone, l’eroina di Sofocle, uno dei personaggi immortali della tragedia greca e del mito, che, come Ariel, Prometeo, Ulisse, Scrooge, vivono una vita di molteplice perduranza. Nelle parole con cui sono apparsi grazie al genio del loro creatore, e in quelle di tanti scrittori che da quel momento di nascita e apparizione continuano a riscrivere, in modi diversi, le loro storie. I capolavori e i loro protagonisti non finiscono mai, nella loro vita propria e in quelle, minori, che il mito genera incessantemente, al passo con la vita.

 

Antigone

Guardatemi per l’ultima volta, voi della mia terra.

Ora che vedo il sole per l’ultima volta

e poi per me non sarà altro che notte.

Ade che induce il sonno mi porta viva

presente a me stessa alle sponde di Acheronte,

io che non avuto un uomo sarò sua sposa

moglie del buio, ancella dell’ombra.

E non importa che io scenda onorata

come ripete il coro, incolume

e nessun oltraggio abbia subito il mio corpo:

oltraggio è il carcere in forma di tomba

a cui mi ha dannato una legge perversa,

la legge del sovrano che cancella la legge

divina e naturale degli umani.

Io me ne vado così, in una grotta buia,

rinchiusa nella pietra dell’origine,

fino a che si farà pietra anche il mio cuore

disidratato e più freddo di un osso.

Io me ne vado dal mondo ma non morendo.

Mi attende una morte in vita o vita in morte,

accanto alla terra delle piante e degli uccelli,

a contatto col fondo buio della terra.

Questa è condanna alla stirpe umana, io preveggo,

chi nega la sepoltura come ha fatto Creonte

condanna la stirpe umana a vita in morte.

Il sacro confine tra i due regni è violato.

La morte ora sale fumigando dagli abissi del fondo

e come un morbo invisibile si diffonde

sulla terra dei vivi, della luce.

Fumiga sinistra tra le foglie d’erba,

intossica le acque di ruscelli e sorgenti,

il patto tra i due regni è stato infranto.

Io porto con la mia scomparsa il vaticinio

che questa terra è marcia e sarà maledetta.

Ci sarà un altro tempo, lo vedo e sento,

in cui i fiori rinasceranno puri e gli uccelli

intoneranno di nuovo felici i loro canti.

Ma quel tempo verrà quando io, ormai ombra

non sarò che un ricordo, un incubo, la memoria

del peccato d’origine, lo scempio

di Ettore, Polinice insepolto.

Sento che incombe un altro tempo.

Roberto Mussapi

(Da Voci prima della scena, La Collana, Stampa 2009)

 

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