Roberto Verrastro
Tra storia e fantapolitica (in America)

La bottega di Puzo

Negli Usa apre al pubblico l'archivio completo di 56 scatole di scritti di Mario Puzo. In una montagna di carte, l'officina del grande giallista; comprese le annotazioni alla saga del terzo Kennedy che fu stroncata dalla critica

Gli americani rieleggono sempre i presidenti inutili. Parola di Mario Puzo, in quello da lui definito il suo romanzo più ambizioso: Il quarto K, una rievocazione del passato che sembra quasi una cronaca del futuro. Dopo una parziale esposizione al pubblico dal 5 aprile al 30 giugno, è ora disponibile presso il Dartmouth College, università statunitense nella città di Hanover, nel New Hampshire, una donazione di Bruce Rauner, governatore repubblicano dell’Illinois, e della moglie Diana: l’archivio completo di 56 scatole di scritti che Rauner si aggiudicò per 625mila dollari a un’asta a Boston nel febbraio del 2016, e che documentano il lavoro dello scrittore italoamericano dal 1955 alla morte, avvenuta il 2 luglio del 1999 a Long Island, all’età di 78 anni. Il padrino, il suo romanzo più celebre, del 1969, un successo da 21milioni di copie vendute su scala mondiale, che ispirò l’omonima trilogia cinematografica di Francis Ford Coppola, ha per protagonista Michael Corleone, personaggio che studiò a Dartmouth, università citata spesso nelle opere di Puzo, che in realtà non vi mise mai piede.

Lo sguardo di Puzo si innalzò dal potere mafioso alle vette della politica americana con Il quarto K, pubblicato nel 1990 negli Stati Uniti dove, anche per alcune recensioni negative del New York Times, il romanzo fu un fallimento in termini di vendite. Del 1991 è la prima edizione italiana, nella traduzione di Mercedes Giardini Ozzola per l’editore dall’Oglio (559 pag., 11,90 euro). All’opera è dedicata la serie 15 (le scatole dalla 33 alla 41) dell’archivio al Dartmouth College, che contiene revisioni e annotazioni a margine dei capitoli, studi sui personaggi e una copia manoscritta inviata all’agenzia letteraria Donadio&Ashworth, che impegnarono Puzo dal 1980. Perno della narrazione, che si svolge in un anno imprecisato, è il presidente degli Stati Uniti Francis Xavier Kennedy, un immaginario nipote di John F. Kennedy, il presidente assassinato a Dallas nel 1963, e del fratello Robert Kennedy, ucciso a Los Angeles nel 1968. In carica da tre anni, il democratico Francis, più attento ai problemi della gente comune che agli interessi dei potentati economici, è cattolico come lo zio JFK e come la 23enne figlia Theresa, alla quale è ancora più legato dopo la morte per cancro della moglie Catherine.

La domenica di Pasqua, a Roma, il 23enne Armando Giangi, ragazzo di famiglia borghese e terrorista di estrema sinistra, convinto che «Dio era l’inganno dei ricchi, il turlupinatore dei poveri. Il Papa colui che esercitava materialmente quel potere perverso», si introduce armato in piazza San Pietro, travestito da frate cappuccino come altri tre uomini del suo commando, di cui fanno parte anche tre donne travestite da suore. A Giangi basta una sola fucilata per uccidere Papa Innocenzo XIV che benedice i fedeli, per poi fuggire in Francia e imbarcarsi su un volo diretto a New York, dove viene arrestato insieme a due complici americani. Ma per Francis Kennedy i guai sono appena iniziati. Il volo che da Roma riporta negli Stati Uniti un centinaio di passeggeri, tra i quali sua figlia Theresa protetta da sei agenti segreti, viene dirottato nell’immaginario sultanato di Sherhaben, nel Golfo Persico, da un commando agli ordini del terrorista palestinese Yabril. Cresciuto in una ricca famiglia che gli faceva leggere un’ora al giorno il Corano, Yabril, complice di Armando Giangi e amico del sultano Maurobi, un musulmano militante, diventa il nemico pubblico numero uno. Ma ai piani alti del potere nessuno fa sua la retorica dello scontro di civiltà, perché Yabril è una vecchia conoscenza, che «aveva ricevuto fondi da società petrolifere olandesi, inglesi e americane, denaro da vari paesi comunisti, e tanto tempo prima perfino un versamento dalla CIA per una particolarissima esecuzione segreta».

Yabril, che per il rilascio degli ostaggi esige vanamente 50 milioni di dollari e la liberazione di seicento palestinesi prigionieri in Israele, scaduto un ultimatum di 24 ore, uccide Theresa Kennedy con una rivoltellata alla nuca. Francis Kennedy, furioso e consapevole che «ulteriori attacchi sarebbero stati sferrati in modi e tempi imprevedibili», avverte Maurobi che gli Stati Uniti raderanno al suolo l’intero sultanato di Sherhaben, partendo dalla città petrolifera di Dak, se gli ostaggi non saranno rilasciati e Yabril consegnato vivo entro le 23 del giovedì. Kennedy però non ha fatto i conti con Bert Audick, un anziano petroliere texano che proprio a Dak ha investito 50 miliardi di dollari e che manovra dietro le quinte con il Socrates Club, la poco filosofica lobby dei più potenti imprenditori statunitensi.

Mentre inizia il bombardamento di Dak, che porta al rilascio degli ostaggi e alla consegna di Yabril, il Congresso, foraggiato dal Socrates Club, per il quale «un prezzo andava pagato, e il tutto in meno di 24 ore», rimuove Kennedy dalla presidenza, votando con la maggioranza dei due terzi una mozione di sfiducia basata sulla formulazione del 25esimo emendamento della Costituzione, che «non richiede la prova clinica dell’instabilità mentale». Ma poco dopo il Congresso è costretto ad annullare all’unanimità la votazione, per via di «un trauma psicologico mai subìto prima dal Paese»: un mega attentato nel cuore di New York, con 10mila vittime causate dall’esplosione di un ordigno nucleare a potenziale minimo realizzato da Adam Gresse ed Henry Tibbot, due giovani studiosi di fisica che stranamente erano già stati scoperti e arrestati dall’FBI prima della detonazione.

A rinsaldare il potere di Francis Kennedy a suon di attentati lasciati accadere al momento giusto, è infatti il ministro della Giustizia e direttore dell’FBI Christian Klee che, a settembre, fa salire sulla limousine presidenziale un sosia di Kennedy, che salta in aria al posto del presidente in visita a New York, per un attentato suicida compiuto da un’amica di Armando Giangi sfuggita all’Antiterrorismo italiano, Rita Fallicia, che riesce a lanciarsi imbottita di esplosivo contro la vettura. A novembre Francis Kennedy viene rieletto alla presidenza. Il giorno dell’insediamento, quarto esponente della famiglia a perire di morte violenta dopo John, Robert e la figlia Theresa, Francis Kennedy viene assassinato subito dopo Christian Klee con una pistola calibro 22 da David Jatney, uno studente che aveva tentato la carriera di sceneggiatore cinematografico in California, rimediando nulla più che una notte di sesso con una famosa produttrice, che il giorno dopo aveva già dimenticato il suo nome. Jatney viene linciato dalla folla dopo avere regolato i conti con quel mondo del potere in precedenza ingenuamente ammirato. La vicepresidente Helen DuPray diventa così la prima donna presidente degli Stati Uniti, nel romanzo che, alla sua uscita, il New York Times liquidò come troppo fantasioso.

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