Francesco Improta
A proposito de "Il gioco”

Il gioco del sesso

Il romanzo di Carlo D'Amicis (finalista allo Strega) è un monumentale lavoro sul primato del desiderio su tutti gli altri sentimenti in quelle vite dove l'immaginazione sembra un fantasma

Il gioco di Carlo D’Amicis, finalista al Premio Strega 2018, (Mondadori, 20 euro) è un romanzo corposo e non solo per il numero delle pagine, 526 per la precisione, ma anche per la quantità dei temi affrontati esplicitamente o soltanto accennati in maniera, però, non meno intrigante e suggestiva. Il titolo offre già una efficace chiave di lettura che consente sicure traiet­torie all’interno del romanzo e al contempo solletica quella dimensione ludica che, più o meno latente, è presente in ognuno di noi. Innanzitutto è il sesso a essere considerato e vissuto come un gioco, probabilmente per esorcizzare la paura dell’amore che, come si legge nel libro, è una cosa pericolosa, che può salvare o uccidere, e che in ogni caso va maneggiato con estrema cautela e attenzione. Il gioco, però, che ha tutta una serie di regole da osservare o trasgredire a seconda dei casi, non è circoscrivibile solo all’intreccio erotico che lega i tre personaggi principali – Leonardo, Giorgio ed Eva – ma è un modo di essere, di rapportarsi a se stessi e agli altri, insomma una visione del mondo, in un’epoca in cui si avverte sempre meno il senso della responsabilità e sempre più la ricerca del piacere e della soddisfazione personale; non è un caso che questi tre personaggi diano inizio al triangolo più trasgressivo e scabroso della geometria erotica proprio negli anni Ottanta al tempo del reaganismo imperante e dell’e­donismo più sfrenato.

Essi diventano secondo una terminologia circolante attualmente in rete bull (Leonardo), cuckold (Giorgio) e sweet (Eva); ed è qui la prima novità che si rileva nel libro di D’Amicis: il pluralismo linguistico, accanto alla lingua italiana padroneggiata con grande maestria e raffinatezza si ricorre all’inglese utilizzato in Internet – e nei social in particolare – e alle lingue classiche, latino e greco, che l’autore dimostra di conoscere e di maneggiare perfettamente. Di queste lingue inoltre D’Amicis utilizza con grande sapienza, a seconda delle varie situazioni comunicative, tutti i registri linguistici, dall’elegante al quotidiano, al discorsivo e persino al lirico, con alcune felici incursioni nel mondo poetico di Leopardi, di cui cita versi indimenticabili (cfr. l’Infinito e non solo). Non è un caso che tra i personaggi che affollano il libro ce ne sia uno di nome Giacomo che anche nell’aspetto fisico, gracile macilento, ricorda l’infelice conte di Recanati. Penso soprattutto alle passeggiate/esplorazioni che a Napoli Giacomo e Leonardo, all’epoca professore appena assunto alla Nunziatella, fanno nei quartieri più degradati della città, tra esalazioni coleriche e femminielli, e che richiamano da vicino più il film Il giovane favoloso di Mario Martone che i Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi di Antonio Ranieri.

La coppia di amici sembra, comunque, speculare a quella composta dal geniale poeta di Recanati, fino ad allora escluso dai piaceri della carne, e dal fascinoso esule napoletano, che non a caso lo inizia ai segreti di Eros, accompagnandolo in alcune scorribande sessuali con prostitute o signore compiacenti e insoddisfatte. La storia dell’amicizia tra Leonardo e Giacomo è tra le pagine più belle del romanzo contrassegnate da un senso del tempo che va oltre la nostalgia e ritrova la consistenza della schiuma dei giorni e da un indiscutibile sapore vintage come risulta dalla tenerezza con cui verso la fine della vicenda Leonardo si ritrova tra le mani un numero de Le ore, la rivista fotografica che, nata nel dopoguerra, alla fine degli anni Settanta, sotto la spinta di Ilona Staller e di Moana Pozzi, aveva dischiuso le porte all’erotismo più esplicito e all’esibizionismo della gente più comune, che si denudava con estrema nonchalance dinanzi all’obiettivo della macchina fotografica.

Originale anche l’impianto narrativo che moltiplica di continuo i punti di vista: un potenziale scrittore non meglio identificato, di cui si sa solo che vuole scrivere un libro sul sesso e più in particolare sullo swinging (lo scambismo) che contempla tutta una serie di comportamenti sessuali che vanno dal voyeurismo, all’esibizionismo, al ménage a trois e all’amore di gruppo, decide di intervistare separatamente i protagonisti di una relazione di questo tipo: Leonardo che conduce il suo ruolo di maschio alfa con la professionalità, la disciplina e il rigore di un antico samurai, Eva oggetto del desiderio maschile, apparentemente sottomessa ma propensa a rivendicare il diritto di conservare la propria autonomia e di appartenere solo a se stessa; Giorgio, il marito semimpotente, consenziente e compiacente, disposto a subire sempre ma che non rinuncerebbe mai al suo ruolo di voyeur né tantomeno a manovrare i fili del gioco. Ognuno di loro racconta la propria vicenda esistenziale partendo dall’infanzia e dai rapporti difficili, se non conflittuali, con i rispettivi genitori.

Leonardo, il cui padre, di professione carabiniere, è stato vittima di un attentato terroristico, compie gli studi superiori al Sacro Cuore, una scuola cattolica, naturale anche se non del tutto legittimo il riferimento al romanzo, vincitore del Premio Strega nel 2016, di Edoardo Albinati. In quella scuola Leonardo ingaggia una specie di duello con le sue inibizioni, i suoi desideri latenti e soprattutto con il Pretegrosso, che nel sotterraneo svolge funzioni di bibliotecario, per la conquista di un campo da gioco, inizialmente un tavolo da ping-pong e successivamente uno spazio dove praticare le sue prime esperienze sessuali sotto la guida di una giovane professionista, Orsetta, e la maniacale fissazione fotografica del prete pronto a riprendere con estrema precisione e puntualità le ancora incerte acrobazie sessuali e tutti i particolari anatomici dei due praticanti.

Tale conquista passa pazientemente attraverso l’acquisizione di alcuni capolavori della let­teratura mondiale: Moby Dick; Linea d’ombra; Madame Bovary; l’Amico Ritrovato; il Grande Meaulnes e l’Idiota di Dostoevskij, di cui viene citata a memoria la frase senza dubbio più significativa: «La pietà è la cosa più importante, forse l’unica legge dell’esistenza umana». Una pietà laica, che viene da lontano, dai classici greci e latini e che è stata ripresa da Foscolo e recentemente dal giovane Giuseppe Cristaldi negli Scuoiati, una pietà che è comprensione della fragilità dell’uomo, delle sue debolezze e parte­cipazione solidale alle sue sofferenze. Una pietà che traspare anche dal romanzo in oggetto nei confronti della madre di Leonardo, che chiusa nella sua solitudine, finisce col perdere il contatto con la realtà e con l’essere consumata dal cancro ancora in giovane età mentre la madre di Giorgio, una cantante lirica di successo, vittima di disturbi bipolari, viene rinchiusa in una casa di cure. E non è certamente più fortunata la madre di Eva che, messa incinta giovanissima, in lotta con la propria famiglia mafiosa, che vorrebbe liberarsi di questo ingombrante fardello, è costretta a fuggire e a vivere sotto copertura, adattandosi a lavori di pulizia in un padiglione sanitario riservato ai malati di mente. Con questa pesante esperienza alle spalle tutti e tre i protagonisti devono fare i conti e confrontarsi nel momento della crescita con le loro paure e debolezze, finché non s’incontrano e danno vita a questo triangolo scabroso, trasgressivo e al contempo innocente in cui la fisicità diventa “uno strumento di conoscenza di sé e degli altri”. Un mezzo per relazionarsi e non un’esperienza fine a se stessa, distaccata dal piano dell’esistenza.

Ad un certo punto Eva, rispondendo a una precisa domanda dell’in­tervistatore sulla reale consistenza dei suoi rapporti con Giorgio in assenza di partner, risponde candidamente: «Gli altri partner, come li chiama lei, non erano mai assenti: se non in carne e ossa, c’erano nel ricordo, nell’attesa, nell’immaginazione. Mi creda, la camera da letto è sempre la stanza più affollata. La nostra brulicava di corpi che presto diventavano ombre e di ombre che ancora più rapidamente diventavano corpi».

E infatti questa storia tutta giocata sul versante del desiderio, più che del possesso, tra conformismo e trasgressione, esercizio del potere e libertà, ci offre il quadro di una crisi, guardata ora con ironia ora con tristezza, la crisi delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni più autentiche e profonde in un intreccio di angosce e di frustrazioni, di tedio e di spaesamento. Giorgio che a un certo punto dinanzi a una psicologa e a un’assistente sociale aveva declamato non senza fierezza una sorta di decalogo incentrato sul rifiuto del conformismo e dell’ipocrisia e sull’esaltazione della libertà, della diversità, della natura, della poesia e più in generale della conoscenza, invecchiando e rivolgendosi al passato e non più al futuro confessa candidamente: «Forse avevamo sopravvalutato la nostra spregiudicatezza. Il teorema in base al quale prendersi gioco della morale avrebbe reso più morali, o comunque più solide le nostre relazioni, non pareva più così matematico».

Non bisogna credere, però, che i tre protagonisti di questo triangolo erotico, forse un po’ più arrugginito ma ancora abbastanza solido, abbiano sconfessato il loro modo di essere e di comportarsi se è vero che alla fine l’autore, spostando la sua attenzione sull’intervistatore, rimasto solo, gli insinua il dubbio di ritrovarsi tra le mani, dopo le rispettive confessioni, «fantasmi, anime, spiriti inquieti. Quei tre – infatti, pensa – gli hanno giocato un brutto tiro. Del resto, non si trattava di questo? Un gioco…» al quale consapevolmente o meno finisce col partecipare anche il lettore.

Una narrazione, quella di D’Amicis, sprezzante, insolita, disinibita ma al tempo stesso dolce, tenera e innocente, capace di coinvolgere tutti i lettori, refrattari o interessati che siano; dalle pagine del libro, infatti, si sprigiona una potente malia a cui non si può resistere che è iconicamente anticipata da quella schiena di donna in copertina che sembra un contrabbasso da cui far scaturire le più suadenti vibrazioni.

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