Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Il Trumputinismo

Al vertice di Helsinki, Donald Trump ha denigrato il proprio paese davanti agli occhi sorridenti di Vladimir Putin. La strategia comune è chiara: svuotare di senso il concetto stesso di democrazia. Soprattutto ai danni dell'Europa

«Astonishing, surreal, incredible, shameful». Questi gli aggettivi usati concordemente da giornalisti e esperti americani di politica internazionale per definire il meeting di ieri a Helsinki tra Donald Trump e Vladimir Putin che passerà alla storia come uno dei peggiori e dei più pericolosi per il futuro della democrazia e per la sicurezza mondiale. Proprio per questo aggiungerei anche frightening (allarmante). Il meeting che doveva avere come tema centrale i problemi dell’equilibrio internazionale e degli accordi tra i due paesi si è infatti risolto con una vittoria totale e assoluta di Vladimir Putin che ha raggiunto, grazie alle affermazioni e al comportamento di Trump, il suo obiettivo primario: quello di mostrare al mondo la debolezza della democrazia americana. E di conseguenza dei regimi democratici in generale di cui essa è l’archetipo fondamentale. Non era mai accaduto prima.

Invece di mettere Putin con le spalle al muro contestandogli le interferenze nel processo elettorale delle presidenziali del 2016, Trump ha, al contrario, denigrato il proprio paese. Partendo dall’indagine di Robert Mueller che ha incriminato negli ultimi giorni 12 agenti russi proprio per quelle elezioni, ha messo sullo stesso piano tutti e due i paesi affermando che hanno ambedue commesso errori grossolani. Il leader di quello che viene definito free world ha equiparato l’America a un paese che si trova sotto una dittatura mascherata da democrazia. Come aveva fatto in passato parlando dei rappresentanti del Ku Klux Klan e di coloro che marciano per i diritti civili contro il razzismo e raggruppando sotto un comune denominatore questi due gruppi diversi per natura, opposti per definizione: l’uno simbolo dell’intolleranza e l’altro della libertà.

E più avanti, denunciando la scomparsa delle 33.000 mail di Hillary mai ritrovate, ha messo in dubbio le capacità del FBI, del Ministero di Giustizia e di altri organismi preposti alle indagini, di fronte a un avversario che non aspettava altro. Ha detto inoltre che le relazioni tra Stati Uniti e Russia non erano mai state così negative come adesso. Accusando di questo Obama il presidente che l’ha preceduto e mostrando una mancanza di rispetto nei confronti del ruolo istituzionale che egli stesso ricopre. Solo grazie a lui le sorti di questo rapporto si risollevano in quanto è essenziale avere buoni relazioni con la Russia. Aggiungendo alla beffa lo scherzo e dicendo che Putin ha fatto un’offerta generosa di far collaborare le due agenzie dei servizi segreti per portare avanti le indagini. Di fronte a queste affermazioni anche il resto dei punti in agenda del meeting sono passati in secondo piano a partire dagli accordi con l’Iran che egli stesso ha interrotto, ai rapporti con la Siria a quelli con i paesi del Medio oriente.

Alle accuse di un giornalista della Reuter che ha coraggiosamente chiesto delle interferenze russe nel processo elettorale americano e se ci sono in mano ai russi documenti compromettenti nei confronti di Trump, Putin ha risposto irritato, dicendo che non aveva mai fatto niente del genere e che non c’era nessun dossier su Trump. Ha tuttavia detto che era contento che avesse vinto Trump perché sapeva che avrebbe rinegoziato positivamente i termini del rapporto tra i due paesi. Commettendo in realtà in questo caso un errore diplomatico, forse dovuto all’entusiasmo della vittoria che ormai aveva capito avere in pungo, si è lasciato andare ad un’affermazione azzardata. Avrebbe infatti dovuto dire di essere disposto a lavorare con qualunque presidente fosse stato eletto democraticamente dal popolo americano senza indicare in Trump il suo candidato preferito. Ha inoltre aggiunto che l’alleanza tra i due paesi è determinante in termini di geopolitica perché insieme hanno il 90% del potere energetico del mondo. Ben sapendo che questo costituisce un elemento di dominio assolutamente indisputabile. Quest’ultima arrogante affermazione preceduta dal fatto che Trump ha detto di avere fatto a Putin the infamous question sulle interferenze e di avere ricevuto risposta negativa. ha perfezionato il processo di indebolimento della democrazia americana. È bastata a Trump una semplice affermazione di Putin a fargli credere che non ci sia stato nessun intervento russo nelle ultime elezioni americane, mentre screditava di fronte all’opinione pubblica mondiale i servizi segreti del suo stesso paese. O forse era non solo a conoscenza di quello che era accaduto , ma l’aveva addirittura richiesto. Ma di questo non ci sono prove almeno per il momento.

La stampa americana, a cominciare dai giornalisti della CNN, non appena la conferenza stampa è terminata si è mostrata allibita, preoccupata e scandalizzata dal comportamento di Trump e nei commenti non si è preoccupata neanche più di bilanciare le opinioni tra quelli a favore e quelli contro. Erano tutti contro. Alcune interviste a politici repubblicani tra cui Bob Corker senatore capo della commissione affari esteri inoltre confermano che questa missione di Trump in maniera definitiva ha sancito la vittoria di Putin. La pericolosità della posizione assunta dal presidente americano ha portato all’identificazione della democrazia americana con la semidittatura russa. Proprio mentre i servizi americani hanno diramato un’agenzia che parla di un allarme rosso “red blinking light”, come ai tempi dell’11 settembre, per quanto riguarda la cyber sicurezza americana.

La strategia dell’oligarca russo è complessa, ma relativamente chiara. Non c’è solo la democrazia at stake, ma tutta la cultura occidentale ed europea che ne ha partorito le basi teoriche e politiche. In questa direzione si muove il suo desiderio di affossare l’Europa che con l’aiuto, mi verrebbe da dire, involontario (cosa anche peggiore) di Trump, ignaro di cosa sia una strategia politica di lunga gittata, si va affermando. Il presidente americano, anch’egli intenzionato a far fallire il progetto europeo per realizzare il sogno provinciale di fare l’America great again, ha infatti detto in questo suo viaggio non solo che i paesi della Nato devono contribuire maggiormente alle spese della difesa altrimenti quel sistema verrà smantellato, ma che l’Unione europea è un “foe” un vero e proprio nemico. E ha incoraggiato la prima ministra inglese Theresa May che gli ha esposto le proprie difficoltà in termini di negoziazioni per la Brexit a citare in tribunale proprio l’Unione europea. Trump non si rende conto che malgrado la sua apparente comunanza di intenti con Putin sta giocando con il fuoco. Putin infatti è un politico astuto, esperto e pericoloso, ex agente del KGB che studia ogni mossa e le rispettive conseguenze. E forse Trump non si è reso conto che così sta contribuendo a rendere non l’America, ma la Russia great again.

Putin desidera ottenere una disintegrazione del vecchio continente e della sua cultura secolare, secondo il suo, e della vecchia Russia imperiale, sogno di dominio economico e politico dell’Europa. Intanto, ha già creato una dipendenza economica dal gas russo. Adesso l’operazione diviene più complessa e va in direzione di un indebolimento dei suoi principi fondanti. Si muove con forza muscolare continua verso il disfacimento di ogni regime democratico occidentale. Questo è il momento in cui l’Europa deve dimostrare di avere una spina dorsale e cominciare a occuparsi della propria sicurezza sia militare che cibernetica oltreché della difesa dei suoi valori e della sua identità, proprio mentre sul corpo femminile della grande Russia cominciano a spuntare peli e bicipiti tipici di un uomo macho e prepotente che non sa riconoscere la sua anima femminile, quella che l’ha resa popolare e amata. Come scriveva Erofeev: «La Russia cos’è? Forse per capirlo dovrebbe accettare la sua natura femminile. Si dice Santa Madre Russia, eppure per gran parte della sua storia ha aspirato a diventare uomo. Vuole cambiare sesso. Porta la gonna, ma vuole i pantaloni».

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