Chiara Ragosta
Intervista a Chiara Arrigoni

Idee chiare per il teatro off

In occasione della partecipazione al Festival Off d’Avignon 2018, incontriamo Chiara Arrigoni, una giovanissima del teatro indipendente italiano, per discutere del suo lavoro “Audizione”, della sua compagnia “Le Ore Piccole”, dei suoi progetti e della sua visione di teatro contemporaneo come autrice e attrice

Milanese, 28 anni, una preparazione in lettere classiche e una predilezione per il teatro greco: Chiara Arrigoni è una delle giovani leve del teatro indipendente italiano contemporaneo. In meno di due anni, con la sua opera prima Audizione, ha ottenuto lusinghieri consensi di pubblico e di critica. La compagnia “Le Ore Piccole”, che ha contribuito a fondare, è frutto di un fortunato sodalizio di idee e progetti comuni con tre ex compagni dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma. I quattro giovani artisti, dopo aver ottenuto premi e riconoscimenti in patria (tra cui il Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro e il Premio Nazionale delle Arti – Miglior Drammaturgia), sono ospiti del Festival Off d’Avignon 2018.

Come procedono le repliche di Audizione ad Avignone?
Molto bene, stiamo attirando un buon numero di professionisti. Produttori, distributori e giornalisti: sono loro il vero obiettivo dello spettacolo perché possa essere ben recensito, comprato, prodotto. La particolarità del Festival Off d’Avignon è nell’impegno comunicativo: non solo nel foto sui social, ma anche andare in giro per la città, appendere le proprie locandine, chiedere alle persone se sono interessate al tuo lavoro, lasciare loro un volantino, raccontare in pochi minuti qualcosa dello spettacolo.

Come avete promosso lo spettacolo?
Lo spettacolo comincia con un colloquio di lavoro già in corso tra due candidati. Il lavoro è misterioso, si sa solo che è molto remunerativo. Probabilmente inquietante, inoltre, e al limite della legalità. Requisito fondamentale è che i candidati siano sieropositivi. Con questo piccolo preambolo abbiamo cercato qualche sponsor – essere ad Avignone è un investimento, oltre che un’opportunità. Una società che distribuisce farmaci con sede a Napoli ci ha fornito un’ingente quantità di preservativi che abbiamo associato ai nostri volantini e alle nostre locandine: in tutta Avignone i nostri flyer erano gli unici ad avere un gadget incluso. Vorrei sottolineare che la società di Napoli ci ha dato in beni materiali una cifra considerevole se rapportata al contesto teatrale: quello che per una compagnia teatrale è una somma con cui si può fare uno spettacolo, per un’azienda è effettivamente un piccolo importo che si può destinare ad una donazione. L’arte ha bisogno di trovare una forma contemporanea di mecenatismo.

Cosa rappresenta il teatro indipendente per i giovani oggi?
Se io dovessi comunicare ed esprimermi attraverso il cinema, non potrei farlo da sola: avrei bisogno di un migliaio di euro almeno. Il teatro, invece, è un modo realmente percorribile per dare forma a una storia e offrirla a qualcuno.
La situazione delle compagnie indipendenti non è di certo la più florida. Non è tanto il sistema artistico che deve essere ripensato, quanto il sistema produttivo, perché il miglior testo, le migliori idee o le migliori energie creative e artistiche rischiano di venire dissipate, se non hanno una vera occasione di interfacciarsi con il pubblico.

“Le Ore Piccole”: perché questo nome per la compagnia? Chi sono i membri?
Il nome nasce dall’idea che lavoriamo molto per qualcosa a cui teniamo davvero, a volte togliendo tempo al sonno: facciamo appunto “le ore piccole”. Insieme a me, ne fanno parte Francesco Toto, Massimo Leone e Andrea Ferrara. Toto è il nostro regista. Piemontese, ha una preparazione cinematografica, è severo e schietto. Leone interpreta il Signor T, è abruzzese ed è stato compagno di corso del ragazzo che interpreta Miguel, ovvero Ferrara (sardo), al Triennio Attori dell’Accademia “Silvio d’Amico”. E in scena sono colleghi fantastici.

Più attrice o più drammaturga?
Sono due vasi comunicanti: ho un approccio da drammaturga quando recito, perché mi interessa raccontare una mia storia; ho un approccio da attrice quando scrivo, perché parto sempre dalla conoscenza di quello che è il mestiere dell’attore.

Si sente più vicina al teatro della crudeltà di Artaud oppure al teatro di parola?
Si tratta fondamentalmente di teatro di parola: il testo è tutto. Chiede un certo tipo di regia e di recitazione molto realistica, naturalistica, essenziale, priva di fronzoli. Prima ho scritto il testo, poi ho provato a metterlo in scena; non sono partita da una “drammaturgia scenica” o da un’improvvisazione. Dopo aver scritto il soggetto e averlo presentato agli attori in una versione breve, lo abbiamo provato, ma non mi spaventava l’idea che il testo potesse subire modifiche durante le prove.

Quali sono i punti di riferimento per la scrittura e per la recitazione?
A livello di scrittura, le serie tv e il loro tipo di linguaggio: riescono a portare un tema o una storia forte, importante in una forma interessante. E la tragedia greca: mi piace inserire dei temi intensi, archetipici in un linguaggio e una struttura contemporanei. Se dovessi pensare ad un contemporaneo, direi che ultimamente mi sento molto vicina allo stile di Harold Pinter. Ho apprezzato molto anche Martin McDonagh con Tre manifesti a Ebbing, Missouri: avevo letto anche un suo testo teatrale che mi aveva ispirato molto.

Parlano di serie tv, Audizione ricorda qualche puntata della serie britannica Black Mirror
È una delle mie preferite. È un grande complimento sentire che il mio spettacolo la ricorda. Le serie tv hanno uno stile di narrazione che mi interessa: un tema di base profondo, articolato e un linguaggio sempre vicino al thriller, al noir, che utilizza il meccanismo della suspense, della tensione. Secondo me, è un buon punto di ispirazione per un teatro contemporaneo scritto da giovani che devono parlare della nostra epoca e devono farlo in un modo che sia comunque adeguato ai tempi.

A che tipo di narrazione si sente più legata?
La sfida per me, da narratrice, è portare un tema complesso, che non può lasciare indifferenti, in una forma che costringa a seguire la storia dall’inizio alla fine. Sono ugualmente interessata all’idea di trasmettere un valore, non in senso educativo, ma nel concetto di proporre uno stimolo, far sorgere delle domande. Sicuramente non voglio scontentare chi è un fruitore più raffinato, ma neanche allontanare chi invece normalmente non va a teatro.

Come sono stati costruiti i personaggi di Audizione?
Per contrasti. Sarah rappresenta il mondo dell’inesperienza, lei è una brava ragazza, ha studiato e non ha mai avuto una vita di stenti, di sofferenze o di problemi. Miguel, invece, è un uomo sudamericano, ragazzo-padre ed escort. Quindi un altro mondo, completamente diverso. Mentre il Signor T è stato costruito cercando di non renderlo una caricatura: è l’arbitro della situazione, una persona che comunque sta facendo il suo lavoro, per quanto questo possa sembrare orribile e sadico.

Tutto si basa, quindi, sulla possibilità di prendere una strada piuttosto che un’altra?
Mi piace pensare che ci sia sempre un’alternativa. E quando non è così, diventa più importante lo spirito con cui una persona fa una cosa. Davanti ad una scelta terribile, l’importante è non affrontarla a cuor leggero. Non hai potuto evitarla? Avrai qualcosa in cambio, una sofferenza che ti porterai dietro per sempre. Nelle opzioni esistono pur sempre il caso e la fortuna.

Audizione ha ricevuto molti premi e riconoscimenti, a più di un anno dal suo debutto: quale ti ha sorpreso di più?
Il “Premio Giovani Realtà del Teatro” dell’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine. È stato il primo che abbiamo ricevuto, dopo aver partecipato al Festival ContaminAzioni dell’Accademia “Silvio d’Amico”. È stato un bell’inizio per Audizione, una gioia forse un po’ ingenua e inaspettata.

Ci sono altri progetti ispirati a fatti di cronaca in cantiere?
Ho un elenco di storie che appunto. Con la compagnia, lavorerò presto ad un’altra opera che ha già vinto un premio per il testo, non per la messa in scena. Non è ispirata ad un fatto di cronaca, ma è una specie di spin off de “Il calapranzi” di Pinter.

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