Nicola Fano
A proposito di “Di terra e di mare”

La vita è desiderio

Raffaele La Capria e Silvio Perrella hanno unito le loro voci in un unico libro dedicato alla vita, ai paesaggi, alle parole e ai pensieri che le sostengono

«Il desiderio è una parola molto, molto importante: è la vita, è l’appetito di vita. Il desiderio di mangiarsela, la vita». Occorrerebbe appuntarsela sui polsini, quest’affermazione, e rammentarla ogni volta che ci si trova a contatto con un altro da sé: vivere è desiderare; imparare la vita è imparare il desiderio (e insegnare la vita è insegnare il desiderio). Il contesto da cui è tratta, Di terra e di mare di Raffaele La Capria e Silvio Perrella (Laterza, 91 pagine, 14 euro), è un libro lieve che ha il dono di trattare grandi temi con mano leggera: essenziale, dicono gli autori. Vi si parla di tutto e di niente, perché l’attenzione ricade sempre sui particolari fino al momento in cui un tema (come dire?) centrale sembra sbozzarsi e allora gli autori si fermano: rintracciano la formula e la diluiscono nei loro pensieri. Ma a leggere bene, quella formula appare nitida e come tale si fissa nei pensieri. Come quella sulla centralità del desiderio, appunto.

Imparare a vivere è desiderare, si diceva: questa dovrebbe essere la regola base della convivenza fra generazioni diverse. Non importa chi dei due, ma quando due persone di generazione differente si incontrano, una dovrebbe insegnare all’altra la libertà del desiderio: e ho l’impressione che Raffaele La Capria e Silvio Perrella, due scrittori di generazioni diverse, nell’incontrarsi abbiano sempre rispettato questa norma. Ecco perché il libro che essi hanno deciso di pensare e pubblicare non è un’intervista (un critico che sollecita un grande scrittore) né propriamente un dialogo (benché esso sia scritto in forma dialogica, spesso il lettore si perde, nel senso che non sa chi dei due sia parlando): è un fluire continuo. Come quando da bambini si giocava a rimpiattino: la sostanza è che ci si scambiano i ruoli, si sta insieme per scambiarsi i ruoli.

Ancora sul desiderio: «– Sarebbe bello che tu riprendessi a scrivere. – Anche se non scrivo più, la mia mente è abitata dai pensieri. – In effetti scrivi con la voce, come stai facendo adesso. – Sai, pensandoci, risorge il desiderio della parola. E il desiderio è appetito di vita. Ricerca di felicità. Un mondo nel quale ci sono desideri è un mondo vivo». Qui la lezione è che non esistono parole senza pensieri. La Capria lo spiega bene: «– Da una parte c’è il caos e poi c’è la narrazione che trova un ordine nel caos. Un ordine tuo, personale, non oggettivo. – E tra il caos e la narrazione dove collochi la forza della poesia? – Mentre la narrazione è razionale, la poesia è qualcosa di intuitivo, una volta si chiamava ispirazione. È ancora vero. La vera poesia è quella ispirata. Non è quella che puoi raggiungere razionalmente, come la prosa o la narrativa». In queste affermazioni non c’è mai – mai – un’intenzione manualistica. Non si tratta di lezioni (sia pure lievi, come s’è detto): la vita capita all’improvviso; Shakespeare diceva che nasce dal conflitto tra volontà e destino che mai s’accordano. E infatti qui, in questo bel libro, sovente si sorride per il domani che esso suggerisce. È un libro che dà conforto. Lo dà sentire il novantacinquenne La Capria ancora incerto sulla spiegazione “definitiva” da dare alle cose. Non è un vezzo, è sostanza: se la vita è desiderio di vita, il domani non è mai determinabile in anticipo. Anzi, non deve esserlo.

Due generazioni a confronto, s’è detto: Raffaele La Capria è del 1922, Silvio Perrella del 1959, quindi più di trent’anni li dividono. Ciò che forse a me ha emozionato di più è l’annullamento sostanziale di questa barriera (spesso si sostiene che la distanza d’età sia una barriera alla reciproca, reale comprensione). Succede così anche quando le idee espresse sono diverse: «– Per la tua generazione la storia è stata il centro di tutto; per la mia è la geografia a riprendersi lo spazio» dice Perrella. A parte il fatto che si tratta di un’affermazione importante (nelle righe successive i due la approfondiscono a dovere), in queste parole c’è il senso di una diversa formazione, piuttosto che non d’una differenza d’età. Malgrado i trent’anni di distacco, l’incontro è alla pari: questo voglio dire. All’inizio, leggendo il libro (ho la medesima età di Silvio Perrella ma non la stessa formazione, e una stima che credo reciproca ci lega da molti anni), ho pensato senza troppa vanità che alla nostra età si entra nel novero dei “maestri” ossia di coloro che hanno più vita da raccontare che ancora da vivere. Così, almeno, ho interpretato il gioco alla pari tra il “più giovane” critico e lo scrittore. Ma poi ho capito che non è così. Il fatto è che, quando si diventa persone, si è persone una volta per tutte. E come tali ci si incontra. Ritengo questa la miglior lezione di Di terra e di mare di Raffaele La Capria e Silvio Perrella.

—–

Accanto al titolo: Cy Twombly, Proteus, 1984.

Facebooktwitterlinkedin