Francesco Improta
A proposito di “Le pietre in tasca”

Sul set di Roma

La sceneggiatrice Laura Sabatino ha riunito in un romanzo sia la decadenza di una città agonizzante, Roma, sia l'ipocrisia di un mondo morente, il cinema

Laura Sabatino, napoletana d’origine, che a Roma cura per ItinerArte un corso assai frequentato di scrittura creativa, è una sceneggiatrice di chiara fama; basti pensare agli importanti rico­noscimenti ottenuti: nastro d’argento come miglior soggetto originale per Ribelli per caso di Vincenzo Terracciano (2002) e migliore sceneggiatura per Il resto di niente di Antonietta De Lillo (2006). In questi ultimi tempi ha tentato con successo anche la via della narrativa, Le pietre in tasca (Augh edizioni, 15 euro) di cui ci occuperemo oggi, infatti, è il suo secondo romanzo dopo La distrazione, pubblicato nel 2013.

È la storia di uno sceneggiatore, Guido, e dei suoi rapporti con il mondo della TV, con i suoi amici, in particolare Luisanna, una regista con cui Guido ha condiviso un appartamento, una profonda amicizia e anche illusioni e legittime aspirazioni professionali. Si tratta di un uomo in crisi, con un matrimonio fallito alle spalle e una serie di problemi caratteriali irrisolti… Non a caso di lui si legge Con la testa tra le nuvole e le pietre in tasca a voler sottolineare la sua natura di sognatore e l’incapacità di liberarsi della “zavorra” che gli impedisce di spiccare il volo.

Il libro, intrigante e ricco di implicazioni sociali e culturali, è percorso da una indiscutibile vena polemica ma anche da una sottile ironia che riesce a stemperarne i toni. A mio avviso, sarebbe stato opportuno ridurre la parte dedicata alle riunioni di lavoro per stabilire scalette, trattamenti e sceneggiature delle fiction da mandare in onda, troppo tecnica, più per addetti ai lavori che per comuni lettori. Anche la conclusione, bellissima per certi versi (penso alla fuga di Crudelia perseguita con tenacia per più di un anno e finalmente coronata da successo e alla soluzione a canone sospeso, per cui il lettore non sa se la proposta di Guido di tornare a vivere insieme verrà accettata dalla moglie Elena) viene in parte inficiata da quelle pietre in tasca, con cui si chiude il libro, e di cui il protagonista avrebbe dovuto sbarazzarsi per alzarsi in volo, per condurre, come si legge, una vita più “anarchica”, libera dalle paure e dalle soggezioni che avevano condizionato tutta la sua esistenza. Si pensi all’incapacità di ribellarsi a tutte le imposizioni e ai ricatti dei vari produttori o direttori di emittenti televisive.

C’è in Guido una totale rassegnazione che finisce con l’assimilarlo ai personaggi di Svevo di cui condivide l’inettitudine e la concezione patologica dell’esistenza la vita procede di catastrofe in catastrofe attraverso la malattia, la vecchiaia e la morte (anche l’aver confuso il giorno di una riunione con la Signora, produttrice spietata e arrogante, ci richiama alla mente Zeno Cosini che, anziché partecipare al funerale del cognato/rivale Guido Speier segue il feretro di uno sconosciuto). Guido è irrimediabilmente un debole, un vinto sia in amore che in campo professionale; non sa e non vuole combattere, contestare o semplicemente protestare non è un caso che egli finisca con l’identificarsi in un geco o in un insetto non diversamente da quanto accade a Gregor Samsa ne La metamorfosi di Kafka. E questa sua debolezza caratteriale si somatizza come risulta dalle continue, fastidiose emicranie e nausee.

Egli crede che nel vivere nascosto, lathe biosas (Λάθε Βιώσας), o nell’invisibilità risiedano la soluzione di ogni problema e la possibilità di essere felice. A guarirlo da questo suo malessere e da questa sua convinzione sarà la malattia grave della sua amica del cuore, Luisanna (cfr. La Montagna incantata di T. Mann, in cui la presunta malattia del protagonista Hans Castorp si risolve allo scoppio della prima guerra mondiale per il sormontare dei drammatici eventi pubblici sulla propria crisi personale), Luisanna, cioè, colei con cui aveva condiviso sogni e aspirazioni, tutti puntualmente naufragati nell’attrito con la realtà, scontrandosi con i beceri interessi di produttori e editori che mirano esclusi­vamente al botteghino o all’audience. Il ritratto impietoso del mondo della produzione e dello spettacolo televisivo (il cinema, infatti nel confronto con il piccolo schermo ne esce palesemente sconfitto e velocemente accantonato, così come l’autorialità nei confronti della serialità) è tra le cose più riuscite del libro tra capricci di attrici o attricette, arroganza di produttori e finanziatori, piccole vendette o rivalse, polemiche e soprattutto un’ipocrisia dilagante.

Le pagine più belle, però, sono, secondo me, le lunghe passeggiate senza una meta di Guido per dare aria alla mente e per trovare nuove idee, utilizzando soprattutto i mezzi pubblici (metropolitana, autobus, tram più raramente taxi) per avere la possibilità di confrontarsi con la gente vera, autentica, spontanea nel bene e nel male: pensionati che trascinano la loro grigia e lisa esistenza; laudatores temporis acti che guardano con nostalgia verso il balcone di Piazza Venezia; razzisti o xenofobi sempre pronti a condannare e a criminalizzare gli extracomunitari, clandestini o meno che siano, bambini piagnucolosi e adolescenti insolenti e maleducati; e tutto ciò secondo la lezione più autentica di Zavattini e del neorealismo, penso alla cosiddetta teoria o tecnica del pedinamento. Altre volte Guido esce di casa per spiare l’ex moglie, passando dinanzi alla farmacia in cui lavora o nascosto nell’ombra di un portone e ancora una volta ci richiama alla mente un personaggio sveviano: Emilio Brentani che, in Senilità, roso dalla gelosia, insegue Angiolina Zarri per le vie di Trieste.

Sullo sfondo Roma, una città soffocata e asfissiante, agonizzante o quanto meno in uno stato di perenne emergenza, come risulta dalle sirene delle ambulanze, della polizia o dei vigili del fuoco. Una città completamente diversa da quella in cui erano approdati i due protagonisti, tanti anni prima, con le loro valigie cariche di sogni e di illusioni. Nell’urto con la bieca logica del profitto è soprattutto l’immaginazione ad affondare ed è questa, senza dubbio, la perdita più grave e dolorosa, una vera e propria amputazione della nostra integrità, del nostro reale essere che trova la sua ipotiposi nella gamba sfracellata del padre di Guido con cui si apre il romanzo.

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