Valentina Di Cesare
Una scrittrice da rileggere

Cialente levantina

Per capire meglio quale sia il (possibile) rapporto tra Sud e Nord del mondo, così conflittuale oggi, è utile tornare a Fausta Cialente, e al suo "Vento sulla sabbia"

Di Fausta Cialente si conosce ancora troppo poco e chi ha letto o rilegge di continuo i suoi scritti, sia narrativi sia giornalistici, non può che rammaricarsene. La maggior parte dei critici, ai tempi, scelse di occuparsi ben poco della sua opera e la Cialente, per contro, visse una vita piuttosto errabonda, viaggiando di frequente e restando per lunghi periodi all’estero, senza mai stringere rapporti durevoli (se non in vecchiaia) con colleghi scrittori o personaggi appartenenti al mondo letterario. Schiva, riservata, apolide per natura, la Cialente visse una vita politicamente intensa, specie negli anni della Seconda Guerra Mondiale e di questo risentì la sua scrittura e il suo modo stesso di intendere la letteratura e, dunque, la vita. Rivista ai nostri giorni, la produzione cialentiana, in particolare quella di ambientazione levantina, è in grado di chiarire parte degli accadimenti più discussi della nostra contemporaneità.

Nel pieno della cosiddetta “emergenza migranti” provenienti soprattutto dal continente africano, tema che divide e fa discutere gli schieramenti politici d’Europa, risfogliare le pagine degli scritti cialentiani potrebbe essere d’aiuto soprattutto ai commentatori più smemorati o agli opinionisti tout court che riducono questioni così complesse e antiche, a meri slogan. La produzione narrativa di Fausta Cialente, si snoda tra due sponde lontane di uno stesso mare, seppur chiamato con un nome diverso e va idealmente divisa in due diversi “blocchi” ispirativi: quello italiano, con romanzi e racconti d’ambientazione o suggestione meramente triestina, con qualche breve passaggio in Lombardia; e quello levantino, influenzato dal lungo periodo trascorso in Egitto, prima ad Alessandria e poi al Cairo, insieme al marito Enrico Terni e alla figlia Lionella e condizionato anche dai molti viaggi in Palestina, in Bulgaria, in Kuwait. Fanno parte degli scritti levantini o del “levantinismo coloniale ”, Cortile a Cleopatra (1936, poi ristampato nel 1953), Ballata levantina, ( 1961, con cui sfiorò lo Strega) e il meno conosciuto Il vento sulla sabbia (1972, che si aggiudica il Premio Enna l’anno seguente). È in questo terzo e ultimo romanzo, che trova ispirazione nelle atmosfere decadenti dei paesaggi coloniali, che la Cialente costruisce un quadro intricato di legami umani, rimettendo in atto sulla pagina il suo solito “modus narrandi” a più livelli, frapponendo di continuo la storia ufficiale alle vicende private dei personaggi.

La vicenda è narrata in prima persona da Lisa, la protagonista, che si ritrova in tarda età a ricordare il periodo trascorso in Egitto quando aveva circa diciotto anni, ospitata a casa degli unici parenti sui quali potesse contare, dopo la morte dei suoi genitori. Filippo e Malvina, due lontani cugini di Lisa, vivono in Egitto da molti anni e guardano alle vicende politiche italiane (siamo in pieno periodo fascista) talvolta con attenzione, talvolta con impertinenza. In Africa i due si occupano di arte ma non tutta la borghesia europea presente in città ne apprezza i comportamenti, così spesso i due si ritrovano esclusi da incontri e feste. L’arrivo di Lisa, giovane orfana che da Udine giunge in Egitto per un lasso di tempo indeterminato, sarà fondamentale, non solo per i parenti. La ragazza, infatti, riuscirà ad entrare in contatto e con Frida e Stefan, una coppia di artisti e coloni tedeschi e della loro amica speciale, Lottie, pittrice solo apparentemente innocua ma in realtà protagonista con Frida di una annosa lotta per la conquista di Stefan che vedrà alla fine della storia, un epilogo sorprendente. Moglie e amante, convivono silentemente da più di vent’anni in una delle ville più belle e ricche della città, dove i borghesi europei trascorrono le loro serate e dove la servitù indigena, assiste da sempre ad isterie, tensioni e complotti.

«Al Sans Souci, come da Filippo e Malvina, i domestici erano trattati bene e con giustizia, dovevo convenirne; ma il tono con cui generalmente ne parlavano, se non proprio da razzisti, mi sembrava nondimeno quello di chi possiede una specie di collezione – una collezione che ha il suo valore, e sulla quale si ha un certo diritto di proprietà».

Nella prefazione a “Interno con figure”, raccolta di racconti scritti durante tutto l’arco della sua vita e riuniti in una pubblicazione unica, nel 1976, Fausta Cialente, rifacendosi al periodo egiziano, affermava: «Più che aggredire, il Paese in cui vivevo ormai da dieci anni mi aveva come incantata, ma soprattutto turbata, ponendomi di fronte a problemi che per me erano nuovi, inquietanti, e per i quali dovevo continuamente interrogarmi. Gli europei, levantini o no, non avevano o addirittura rifiutavano il contatto con la popolazione indigena, a parte naturalmente la servitù, i fornai, gli operai».

In tutti i testi cialentiani di ispirazione levantina, emerge un affresco realistico delle due “differenti” presenze sociali – l’una europea e balcanica e l’altra indigena – vicine eppure parallele, contigue eppure distanti, che si sfiorano costantemente senza incontrarsi mai. Tra piccole ironie intolleranti ed episodi di pietismo impudente, la presenza dei coloni europei sembra aver creato nel tempo, una voragine dorata all’interno di un universo preesistente e a sua volta stabile, con i proprio costumi e le proprie regole, di cui i nuovi arrivati non sembrano tener conto, come se i loro passi, le loro esigenze, i loro respiri, viaggiassero naturalmente un gradino più su. Le due società si trascinano avanti nel tempo, l’una ha accettato l’altra in una sorta di patto di non belligeranza, ma pian piano il vento della guerra fa sentire il suo rumore anche sulla sponda africana del Mediterraneo ed arriva a scompigliare i fragili e fasulli “imperi” borghesi , ormai caricature di loro stessi. Ancora una volta, come in tutti gli altri romanzi della Cialente, affiora la potenza di una scrittura attiva, onesta, senza compromessi. Il vento sulla sabbia è un nuovo riuscitissimo tentativo, da parte della scrittrice, di riflettere eticamente sulle conseguenze della presenza (e della presunzione ) europee in Africa, esiti funesti che la Cialente stessa aveva già più volte avvistato, proprio come accade da sempre nei porti all’approssimarsi delle navi, ma che forse nessun equipaggio intendeva vedere.

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