Riccardo Bravi
Italia 2018

Cercasi intellettuali

Perché chi “pensa” e “analizza” la realtà oggi è così assente dalla scena sociale? Rileggere Sartre e Said può essere utile per capire che cosa manca a loro e che cosa a noi

A che serve l’intellettuale oggi come oggi? Qual è il suo ruolo nella società? In un periodo come questo contrassegnato dal nichilismo più esacerbato tra popoli e realtà confinanti, la figura dell’intellettuale ha perso tutto il suo bagliore. Perché? Perché ci siamo dedicati ad un pensiero mainstream che non sembra lasciare aperta alcuna forma di criticità individuale. Quella criticità che serve a farci riconoscere come “individuo propriamente pensante ed operante”. Abbiamo inoltre cercato di rinchiuderci nel professionismo più marcato, mentre l’atteggiamento dell’intellettuale moderno – riprendendo la deontologia di Edward W. Said – dovrebbe corrispondere a quello del dilettante: il dilettante che non conosce solo l’ambito formalistico e dogmatico dei suoi studi specifici ma che cerca di dirigere i suoi sforzi verso altre situazioni fin’allora inesplorate. Sempre il critico anglo-palestinese Said nello scritto Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli, 1995, porta l’esempio di quando l’eminente linguista Noam Chomsky presentò alcune teorie sulla grammatica universale ad un gruppo di matematici riscuotendo enorme successo pur non conoscendo la matematica.

L’intellettuale dovrebbe prendere pieno possesso della realtà circostante scendendo in campo, senza difendere il proprio popolo nel momento in cui esso commetta gravi abusi di potere. Deve cercare inoltre di avere una visione oggettiva e non legata alle proprie origini o credenze religiose. Jean-Paul Sartre condannò fortemente le torture perpetrate dai francesi in Algeria durante la guerra di liberazione coloniale, difese strenuamente ebrei e minoranze etniche createsi dal disfacimento degli imperi coloniali. Consacrò la figura dell’intellettuale engagé, dedito a raccontare e modificare la realtà circostante attraverso la trasformazione delle idee in azione in una condizione mista tra allineamento e isolamento. Sarà poi Albert Camus a chiosare sui termini di “solitudine” e “solidarietà” dell’artista nella sua vasta opera in cui rivolta e pensiero meridiano ne assumono le principali tangenze.

Ma è sulla scelta tra “solidarietà” ed “allineamento” che l’intellettuale moderno è portato oggi a confrontarsi: ambire ad appoggiare gli oppressi o, al contrario, stare dalla parte del potere sono decisioni che lo espongono a dare una certa figura di sé nel mondo circostante. Ancora Sartre rifiuterà il premio Nobel nel 1964 proprio per non voler essere catalogato dagli altri come un’“istituzione”, quando secondo lui il ruolo sociale dello scrittore non era quello di ricevere onorificenze bensì di usare la parola scritta come mezzo di una prassi politica collettiva. È lo scrittore, sempre in quest’ottica, a scegliersi i suoi lettori ma lo scrittore scrive in realtà per se stesso: l’atto della scrittura assume le sembianze di una psicoanalisi esistenziale.

L’intellettuale oggi viene adombrato da una realtà superficiale, liquida, nella quale i pensieri non si volgono ad alcun impianto critico consistente, e la parola, nel banale linguaggio quotidiano degli sms e delle messaggerie istantanee, perde la propria valenza spirituale così come il suo scopo principale: quello dire la verità. E all’intellettuale moderno è destinato il compito, a mio avviso, di ristabilire questo delicato nesso tra parola e verità.

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