Danilo Maestosi
La politica culturale della capitale

Allarme Macro Roma

Il nuovo Macro (targato De Finis) per l'incontro puro tra artisti e pubblico; il nuovo Palaexpo (targato Pietroiusti) aperto solo alla scienza. La Roma grillina gioca d'azzardo. Come andrà a finire?

Che cosa diventerà il padiglione comunale d’arte moderna di via Alessandria, che con il nome di Macro Asilo riaprirà il 1 ottobre con una gestione sperimentale affidata per 15 mesi a Giorgio De Finis, antropologo e artista consacrato dalla creazione di uno straordinario scrigno d’arte, il museo dell’Altrove (Maam) fondato in una ex fabbrica occupata sul fondo di via Prenestina? Ecco le prime anticipazioni fornite a due mesi e mezzo dal varo dallo stesso De Finis, in una conferenza sigillata dalla presenza dell’Assessore capitolino alla cultura Luca Bergamo e della nuova dirigenza dell’Azienda Palaexpo’ cui toccherà il cordinamento del Macro e dell’intero settore dei centri comunali del contemporaneo.

Innanzitutto, la durata dell’esperimento. Quindici mesi con un budget di 400 mila euro a disposizione. Poi si vedrà: tutto dipende dal bilancio dell’operazione e dai risultati raggiunti. I soldi serviranno per pagare lo staff operativo, la guardiania e gli allestimenti. Gli artisti e gli ospiti che animeranno il cartellone in gestazione non riceveranno invece alcun compenso. Come è avvenuto al Maam che lo stesso assessore indica quale fonte d’ispirazione e modello di riferimento. Analogia che può generare equivoci. Troppo diverso il luogo, là uno spazio periferico in abbandono occupato, qui un edificio nato e strutturato come un museo in un quartiere centrale. Diverse e più deboli, anzi del tutto assenti almeno in partenza, le radici sociali: lì gli artisti erano mobilitati a sostegno di un difficile esperimento di convivenza di un gruppo di senza tetto in un’area abusivamente occupata, qui devono trovare in se stessi e nella loro condizione di artisti, spesso relegati ai margini, la propria motivazione. Diverse anche le condizioni d’uso. Il Maam è visitabile solo nei fine settimana per rispettare la vita delle famiglie che ci abitano. Il Macro Asilo sarà invece aperto a tutti. Senza restrizioni e senza biglietto. Solo un orario continuato dalle 10 alle 20 che il sabato si prolungherà fino alle 22, con un turno di sosta obbligata ogni lunedì.

Più che un museo, il Macro Asilo sarà un punto d’incontro tra l’arte, ogni tipo di arte senza preclusioni e barriere, e la città. Un luogo da attraversare e in cui sostare che ospita e offre ogni giorno un fitto calendario di eventi, appuntamenti, occasioni.

La trasformazione, affidata ad una complessa operazione di riconversione ed arredo curata dall’architetto Corrado Baglivo, è registrata da una nuova mappa che ricorda vagamente il tabellone di un gioco da tavolo. Si parte dall’atrio: niente più banconi di biglietteria al suo posto un assemblaggio di mobili e pedane, un po’ evocazione di barricata, un po’ simulazione di palcoscenico teatrale, che ospiterà concerti, balletti, performance. Di fronte un grande schermo su cui scorreranno immagini di videoarte: un’opera al giorno.

Nel grande salone a elle al piano terra De Finis intende riservare un’intera parete alle opere della collezione come nelle quadrerie antiche: di fatto, però lo spazio sarà riservato a conferenze e incontri di approfondimento che chiameranno alla ribalta artisti e intellettuali di altre discipline o a momenti di scambio con una divisione per nuclei tematici attrezzata con una serie di dieci tavolini smontabili disegnati e offerti da un testimonial doc come Michelangelo Pistoletto.

Uno o più spazi saranno dedicati ad un ciclo di incontri per analizzare ogni giorno le parole chiave che governano la comunicazione nell’universo dell’arte contemporanea e nella società d’oggi. Un’altra sala sarà dedicata a un altro ciclo, intitolato Autoritratti, in cui vari artisti si alterneranno a illustrare i propri lavori e le proprie derive creative. Nei piani superiori opereranno altri artisti che sarà possibile ammirare e incontrare mentre eseguono i lavori e le tappe dei progetti per cui sono stati selezionati e invitati. Cinquanta stanze d’autore, le definisce il programma. Ci sarà infine uno spazio dedicato alle voci alternative della periferia: gruppi, associazioni, centri sociali, esperienze di volontariato saranno invitati a raccogliere in una fila di cassettiere la documentazione del proprio impegno. E poi una bibloteca, sale di proiezioni e per spettacoli dal vivo.

Niente mostre, ha deciso De Finis. Quel che conta è la relazione in presa diretta del pubblico con gli artisti. Ma sembra una forzatura teorica, un trucco da illusionisti, in linea con le tendenze del concettuale che dominano il sistema dell’arte e puntano a subordinare il valore e il senso dell’opera alla narrazione del suo percorso di gestazione. Se il valore aggiunto del nuovo Macro è rappresentato proprio dalla platea dei suoi utenti, facile prevedere che i frequentatori del museo pretenderanno di misurarsi con le opere stesse e la loro materialità e non con la loro narrazione, i fantasmi razionali che le hanno generate.

Il cartellone è ancora da costruire. Ma tra i nomi in elenco figurano già, e sono già esibiti come richiamo, firme che occupano i piani alti del contemporaneo: Pistoletto, Buren, Gilardi, Wim Wenders, Pablo Echaurren, Garutti. Altrettanto ricca la lista di «maestri» di altre discipline: come Nicolae Bourriaud, Claire Bishop, Paul Preciado, Paul Werner, Michel Maffesoli, Massimo Cacciari, Giacomo Marramao. Inutile aggiungere altre suggestioni. Non resta che attendere il collaudo . E augurare agli inventori del progetto buona fortuna. Senza pregiudizi, ma senza sconti a occhi chiusi.

Sin da ora, però, destano preoccupazione le motivazioni vaghe e fumose con cui l’assessore Luca Bergamo inquadra l’esperimento del Macro Asilo: un tassello pilota della riorganizzazione della rete del contemporaneo sotto l’egida dell’azienda Palaexpo. Desta allarme la confessione dei magri bilanci a disposizione . Allarme la mancata definizione dei programmi che dovranno rilanciare il Palaexpo, ancorati a una volontà di esplorare sistematicamente i territori della scienza indicandoli come traguardo sicuro per restituire pubblico e richiami vitali al Padiglione espositivo di via Nazionale. Se l’intenzione è di sottrarre il Macro al vizioso e costoso circuito delle grandi mostre, come sarà compensato questo vuoto d’offerta negli altri spazi della rete? Desta allarme l’intenzione, introdotta con imprecisi accenni, di delegare questo compito ad altre istituzioni che operano nello stesso campo: Il Maxxi e la Galleria nazionale d’arte moderna. Allarme la scelta per guidare l’azienda Palaexpo, cassaforte e ribalta principale del gruppo, non di un manager ma di un artista: Cesare Pietroiusti, 63 anni, una laurea in psichiatria e una carriera parallela costruita su provocatorie operazioni concettuali. Desta allarme, infine, l’idea di restituire la fruizione dell’arte alla città, operando sulle postazioni a disposizione sempre più immiserite dalla crisi, senza contestare l’operato complessivo della giunta grillina che ha perso il controllo di Roma senza elaborare un progetto all’altezza del passato di questa straordinaria città, incattivita e allo sbando, e in grado di prospettarle un futuro condivisibile, figuriamoci un sogno.

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