Riccardo Bravi
Gli atti di un convegno

Ricordare la Shoah

La memoria dell'olocausto va alimentata sempre: continuare a domandarsi se dopo la Shoah sia ancora possibile la poesia equivale a interrogarsi sulla nostra stessa identità

Tante furono le voci che, dagli anni Cinquanta, decisero di rielaborare il lutto della Shoah su carta stampata, sotto forma di poesia, romanzi, diari intimi o articoli vari. Su una di queste (e non solo), quella di Giorgio Bassani, è stato organizzato un convegno per celebrare il centenario della nascita, i cui atti sono da poco usciti sotto il titolo Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza. In ricordo di Giorgio Bassani (a cura di Anna Dolfi, Firenze University Press, pp. 698, euro 24,90).

«Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d’arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man’s land filosofica». La celebre frase di Theodor Adorno apparsa in Dialettica negativa del 1966 è ovviamente un monito nel denunciare i crimini e gli orrori perpetrati a scapito degli ebrei durante la furia nazista, negli anni grevi del Quarantennio. È la non possibilità di fare poesia – non quella di azzerarla del tutto – secondo i canoni tradizionali che il filosofo tedesco rimette in discussione: quella di un nuovo linguaggio che non appaia dunque svincolato dalla testimonianza della barbarie appena avvenuta senza prendere per l’appunto in considerazione le allora vigenti categorie ontologiche stereotipate da celebrarsi come mera tautologia.

Se la Toscana si è mostrata negli ultimi quarant’anni altamente innovativa nell’istituzione di centri di ricerca e di case editrici prettamente specializzate nelle culture ebraiche (il termine va usato nella sua accezione plurale in quanto non esiste in realtà un unico ebraismo mondiale, ma varie correnti), la casa editrice Giuntina, fondata nel 1980 nel capoluogo toscano, ne è il vero e proprio fiore all’occhiello a livello europeo. Gli atti del presente convegno sembrano infatti inserirsi nella specola di queste considerevoli pubblicazioni scientifiche dal sostrato unidirezionale seppur multidisciplinare e polifonico.

Il volume propone un taglio e originali suggestioni critiche con l’intervento di numerosi studiosi non solo su autori di origine ebraica (per citarne alcuni: Edmond Jabès, Elias Canetti, Bernard Malamud, Paul Celan, Irène Némirovsky, Amos Oz; tra i nostri: Giorgio Bassani, Primo Levi, Giacomo Debenedetti, Cesare Segre) ma anche sul significato e sul valore della tradizione ebraica antica e delle esperienze dell’ebreo errante nella letteratura romantica mitteleuropea. L’originalità appare anche nel passare al setaccio autori tuttavia conosciuti e non – da menzionare lo scritto di Ayse Saraçgil, docente di Lingua e Letteratura turca all’Università di Firenze, sull’essere ebrei in Turchia, e quello sullo scrittore ebreo uruguagio Mauricio Rosencof ad opera di Giorgia Delvecchio – in ambiti diversi dalla ridefinizione di una memoria storica collettiva post-Shoah. Da citare il caso di Cesare Segre (proposto da Clelia Martignoni in “Cesare Segre, la condizione e la cognizione dell’ebraismo”), la cui operosità intellettuale – lavoro filologico e pratica critica incessante insieme alla vasta produzione di studioso ed erudito di grandi autori del Novecento europeo e mondiale – viene qui messa a tacere dando voce ad una condizione esistenziale a lungo tempo celata nel magma di quella laboriosità artistica sopracitata.

Insomma, un volume che celebra con occhio globale le voci plurime di una tragedia storica da non far cadere nell’oblio, ma la cui tragica portata, al contrario, debba accrescersi nella memoria come esortazione a non commettere gli stessi errori del passato. Poiché, per dirla con Elena Loewenthal, «essere ebrei consiste in un insieme inscindibile di vita, fede, tradizioni: non è semplicemente una religione, né una cultura o un punto di vista sull’esistenza, e nemmeno solo un riferimento storico-nazionale. È una combinazione di tutto questo, un patrimonio complessivo in cui ogni elemento è indissolubilmente legato all’altro».

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