Danilo Maestosi
Alla Galleria Nazionale di Roma

Lorenzetti e Conte, arte dall’isolamento

Il museo di Valle Giulia rende omaggio in parallelo a Bruno Conte e Carlo Lorenzetti: due artisti che da sessant'anni sperimentano nuovi linguaggi fuori dai vincoli delle mode e del mercato

C’è un purgatorio anche per gli artisti che non si sono adeguati alle regole del gioco e delle mode. Una terra di mezzo dove precipitano autori di assoluto valore ma fuori sistema che la critica e il mercato per calcolo o per pigrizia non sono riusciti a incasellare in quelle formule, in quegli schemi che governano fortune e quotazioni internazionali. È successo a troppi. Uno spreco ingiusto e intollerabile, che falsa la percezione comune della storia dell’arte , ormai fissata nella sua narrazione prevalente da ossessive linee di discontinuità che ignorano la trama fitta di esperienze intrecciate, salti indietro e in avanti, che caratterizza l’universo complesso del fare arte.

È questo limbo di disattenzione la dogana attraversata dalla mostra, in cartellone fino a settembre alla Galleria nazionale di Valle Giulia, che riporta alla ribalta in due retrospettive gemelle due artisti romani con oltre mezzo secolo di prestigiosa carriera alle spalle ma da tempo ingiustamente confinati fuori dai riflettori : Carlo Lorenzetti e Bruno Conte. Per il museo che ospita queste monografiche , forse, una correzione di tiro , accolta a compensare il nuovo corso impresso dalla direttrice Cristiana Collu con uno spettacolare riallestimento delle collezioni che allinea nelle sale opere di epoche e contesti diversi come cimeli di un eterno presente senza memoria. Per i visitatori, l’occasione di scoprire o di riscoprire la vitalità e la qualità di due ricerche espressive non allineate ai gusti e ai capricci omologanti del mercato. Un deragliamento e un isolamento iniziato oltre mezzo secolo fa e pagato a caro prezzo che il curatore della mostra, Giuseppe Appella, identifica come il principale denominatore comune di questi due autori, molto diversi tra loro, che negli stessi anni voltano le spalle alla moda imperante della pop art e del minimalismo commerciale made in Usa per inseguire un’idea interiore della forma e dello spazio più in linea con la cultura e la sensibilità europea. «Caratteristica controcorrente – spiega Appella – evidenziata da un maestro e arbitro d’eccezione come il grande scultore Fausto Melotti- che li aveva selezionati tra i migliori talenti italiani non allineati ,chiamandoli in passerella in una mostra del 1982 nella storica galleria «Il Segno» , cui ho rubato il titolo di questa rivisitazione».

Fin qui il prologo, che probabilmente è giusto lasciarsi alle spalle, per gustare il piacere che, aldilà di questi filtri critici, le due mostre, allestite in due spazi diversi della Galleria, riservano al visitatore. Più forte e aggressivo l’impatto con quella di Carlo Lorenzetti (qui e accanto al titolo), che inchioda subito lo sguardo con una serie di grandi sculture che calano dalle pareti nei due saloni d’ingresso. A colpire in particolare il contrasto tra le superfici rigide e taglienti delle lamine metalliche su cui lavora con sapere e modestia artigiana e la leggerezza con cui le appendici aggettate che si protendono dal corpo centrale si impadroniscono dello spazio, lo arricchiscono, lo deviano, lo curvano in altre direzioni. «A guidarmi oltre la apparente rigidità a due dimensioni della materia è l’immaginazione. Intuire il vuoto, e lasciar filtrare il vento che lo attraversa, fare in modo che questa forza impalpabile orienti e traduca in segno lo sbalzare le superfici e le masse», spiega Carlo Lorenzetti, 84 anni, un fisico minuto, segnato da usura ed acciacchi, ma una voglia di vivere e di creare che gli brucia negli occhi.

A questi traguardi di assoluta lievità Lorenzetti è arrivato a poco a poco, lasciandosi alle spalle le ricerche degli esordi ancora intrise di remoti echi figurativi che pure lo avevano portato al successo, proprio qui in questo museo, dove alla fine degli anni cinquanta vinse un premio per la scultura assegnato da una commissione presieduta da Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan. E poi una prolungata fascinazione per geometrie più squadrate e intensi di colore che la mostra documenta con un ricco campionario di opere esposte al piano superiore.

Il punto di partenza di Bruno Conte, 79 anni, è invece la pittura, tecnica con cui negli anni Cinquanta esordisce alla Biennale di Venezia e che traduce in una serie di tele di forte impatto surreale, coperte da segni minuti, spirali, e da colori pastosi e gessosi che si fanno sempre più materici trascinandolo inevitabilmente verso la scultura. O meglio verso un modo davvero originale di assemblare e sovrapporre con minimi scarti di profondità superfici a rilievo mantenendo alla sua opere la visione frontale e una scala ridotta di quadri da appendere alla parete. Per arrivare poi a produrre un fascinoso campionario di scatole magiche e bacheche all’interno delle quali immagini aggettate o sbalzate nel legno si alternano a un cifrario di segni, chiaroscuri appena accennati. In una sorta di scrittura poetica evidenziata da titoli enigmatici che sfruttano la forza comunicativa del linguaggio parlato ma ne distorcono e dirottano il senso il senso: entrocontro, stridentro, egocielo, scatenangolo, e così via.

Come spiega lui stesso, Bruno Conte (accanto) insegue «una misteriosa, eppure coinvolgente materia della realtà: oltre il macrocosmo, il cosmo assunto della stanza in cui si opera. Certo, le varie correnti d’avanguardia che si sono succedute non hanno mancato di lasciare un suggerimento. Tuttavia questi suggerimenti sono stati appresi nel mio modo di sentire, pagando il fondo con un’autonomia la possibilità di un utile rispondenza ai modi del momento. Le mie opere sono concettuali, ma nella loro forma, ancora meditata, tra equilibrio e squilibrio…. contengono sensazioni di messaggi, che non essendo espliciti agiscono sottili nelle pieghe del pensiero».

Bruno Conte e Carlo Lorenzetti sono artisti ancora in attività che, come hanno fatto per sessant’anni, continuano a produrre, sperimentare, cercare nuove forme. Nonostante l’età avanzata e i tagliafuori di un sistema superficiale e drogato che nega loro la patente di autori contemporanei.

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