Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

Terrorismo futuro

Mentre Trump fa il pupazzo cattivo in giro per il mondo, il terrorismo islamico prepara la sua controffensiva in Occidente. È la tesi di Ali Soufan, l'uomo cui fu impedito di evitare l'11 settembre

In questi giorni incerti in cui la diplomazia internazionale viene destabilizzata da eventi inaspettati e pericolosi, il guastafeste è sempre lo stesso: il presidente degli Stati Uniti. Dal suo rifiuto di firmare un joint statement in Canada all’incontro tra i G7 alle oscillazioni e alle tuonanti dichiarazioni a poche ore del suo incontro con il coreano Kim Jong Un per gli accordi sul nucleare, Trump sembra non rendersi conto che nella politica internazionale esistono forme di mediazione le quali, se non esercitate con prudenza, rischiano di far saltare i già precari equilibri su cui si regge la convivenza politica mondiale.

A questa già debole alchimia si aggiunge un pericolo allarmante e di grande impatto politico per la sicurezza degli stati: la minaccia del terrorismo islamico il quale è tutt’altro che scomparso. Anzi adesso si sta riorganizzando alla grande, pronto a destabilizzare di nuovo l’assetto internazionale. È proprio questo il tema di un libro appena uscito negli Stati Uniti. Scritto dall’ex-agente FBI Ali Soufan è intitolato Anatomy of Terror. From the Death of Bin Laden to the Rise of the Islamic State ed è stato pubblicato dalla casa editrice W.W. Norton & Company Ltd.

Ali Soufan è noto ai più perché è stato colui che ha permesso di scoprire quasi immediatamente chi fossero e da dove venissero i terroristi dell’11 settembre. La sua storia e quella di John O’Neil, allora uno degli agenti di più alto grado dell’FBI, deceduto successivamente durante l’attacco alle Twin Towers, è stata raccontata da Lawrence Wright nel libro storico The Looming Tower: Al Qaeda and the Road to 9/11 pubblicato nel 2006 per il quale l’autore nel 2007 ha vinto anche il premio Pulitzer. È la storia della mancanza di comunicazione tra CIA e FBI che, se ci fosse stata, avrebbe potuto evitare gli eventi dell’11 settembre. Trasformata in miniserie televisiva e trasmessa da Hulu con lo stesso titolo, a cominciare dai primi mesi del 2018 e conclusasi proprio poche settimane fa, The Looming Tower, fa vedere tutte le tappe, di cui Ali Soufan fu un primo attore – anche per il suo essere islamico e parlare correntemente, tra molte altre lingue, l’arabo – delle indagini che portarono all’immane tragedia dell11 settembre. Soufan riuscì poi ad ottenere informazioni cruciali da quegli stessi terroristi catturati dopo gli attentati, attraverso non solo una discussione sulle interpretazioni del Corano, ma anche usando interrogazioni che non facevano assolutamente uso di violenza piscologica e tantomeno fisica. Soufan si dimise infatti dall’ FBI nel 2005, dopo che ebbe criticato aspramente il presidente Bush per le torture che venivano praticate sui prigionieri, quelle che vennero chiamate le E.I.T. (enhanced interrogation techniques) affermando che non solo erano moralmente e umanamente sbagliate, ma anche pericolose, in quanto potevano portare a indizi estorti con la forza assolutamente privi di fondamento. Inoltre servivano soprattutto a reclutare, fra i terroristi, nuovi adepti.

Adesso in questo nuovo libro Soufan ci parla ancora di Al Qaeda e di come il suo spin off, lo Stato Islamico, sia risorto come un’Idra dalle tante teste. «Più di dieci anni dopo l’11 settembre – scrive Soufan – il cancro del binladenismo si è metastatizzato attraverso tutto il Medio oriente e il nord Africa e anche oltre, diffuso da portatori ancora più virulenti». E continua affermando che «mentre poco prima dell’11 settembre i suoi adepti erano circa 400, oggi ne ha migliaia e migliaia sparsi tra le rive del Pacifico e le coste africane». Il poco più che ventenne figlio di Bin Laden, Hamza, inoltre – che è cresciuto con un fervore fanatico per la jihad e con gli insegnamenti del padre – «è stato destinato ad assumere la leadership del movimento, accompagnato in questo cammino dai più fidati luogotenenti del padre». A partire dalle primavere arabe del 2011 quando i governi di Tunisia ed Egitto caddero, seguiti poco dopo da quelli della Libia e dello Yemen, Bin Laden in Pakistan vide un’opportunità storica per far rinascere il dominio del califfato. Dopo poche settimane era morto, ucciso dai soldati del corpo speciale dei Navy Seals e si pensò che l’organizzazione fosse stata decapitata. Ma proprio come I’idra di Lerna si è invece moltiplicata e diversificata in tante correnti e formazioni diverse.

In Anatomy of Terror Ali Soufan seziona al microscopio il terrorismo della jihad e delle sue propaggini, rivelando come si sono formate, come funzionano, la loro forza e le loro debolezze. È la loro ideologia che resiste, ha dichiarato Soufan in un’intervista a Christiane Amanpour trasmessa dalla CNN domenica 10 giugno. Una delle sue affermazioni più significative riguarda la capacità di individuare il nemico e quali siano le sue motivazioni essenziali proprio al fine di poterlo fermare. Soufan parla inoltre del ruolo che la disastrosa invasione dell’Iraq ha giocato nell’alimentare e far crescere il terrorismo, creando caos e un vuoto di potere che risulta essere un incubatore perfetto per sviluppare germi di violenza e spargimenti di sangue. Due sono state, secondo Soufan, le decisioni disastrose della politica americana in Iraq che hanno determinato la destabilizzazione di quell’area: dissolvere l’esercito iracheno e bandire i membri del partito di Saddam Hussein da posizioni di potere. Questi due elementi sono divenuti infatti la spina dorsale dell’Isis in Iraq, allargandosi poi anche alla Siria nel 2013 usando tattiche di reclutamento e di soggiogamento delle popolazioni locali una volta conquistati nuovi territori. Soufan parla anche dell’organizzazione burocratica dell’Isis e dei materiali di propaganda di cui si servono. Infine citando Sun Tzu, Soufan afferma che è necessario che si «conosca il proprio nemico», esplicitamente facendo appello all’empatia come strumento principale per vincere questa guerra. «Ovviamente non nel senso di condividere la sua prospettiva – spiega – ma nel senso clinico della parola, cioè in quanto si deve essere capaci di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona. Capire Al Qaeda e lo stato Islamico, ci permette di combattere l’ideologia distruttiva che essi rappresentano». Anche se questa raffinatezza non sembra, a dire il vero, parte dell’outillage di Donald Trump o del suo staff, i quali continuano a passare da una gaffe all’altra.

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