Nicola Bottiglieri
Viaggio in Patagonia/3

Ai piedi del mondo

Il nostro viaggio sulle tracce di Magellano si conclude a Punta Arenas, lì dove il navigatore trovò il passaggio tra Ovest e Est. Che cosa avrà pensato il suo scrivano, Antonio Pigafetta, nel compiere questo prodigio della storia?

Quando il 21 ottobre le quattro navi della flotta diretta alle isole delle spezie entrano nello stretto, non sapevano che la loro ricerca era finita. Ci vollero cinque settimane, fino al 28 novembre 1520, per capire che quel braccio di mare non era la foce di un fiume ma il punto d’incontro fra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico. Magellano poteva dirsi soddisfatto, anche se alla gioia della scoperta si unì l’amarezza del tradimento. La nave San Antonio aveva abbandonato la flotta ed era ritornata indietro: il suo equipaggio voleva essere il primo a dare la notizia a Carlo V; ma poi in realtà tutti avevano capito che navigare verso le Molucche sarebbe stata una esperienza ancor più drammatica di quelle fatte fino ad ora. Se nessuno sapeva dove si trovava lo Stretto, allo stesso modo nessuno sapeva quanto fosse grande l’Oceano Pacifico. Sempre che fossero riusciti a sfuggire alle navi dei portoghesi, le quali da tempo davano loro la caccia, perché volevano mantenere il monopolio del commercio con l’Oriente.

È d’obbligo andare nella piazza principale della città di Punta Arenas dove vi è il monumento a Magellano eretto nel 1920 per commemorare il Quarto Centenario dell’attraversamento dello Stretto. Tutto di bronzo, il navigatore in alto, una sirena a due code sotto, poi il globo terrestre, il libro, il cannone e due indios, uno dei quali ha il piede sporgente. Questo è più lucido dell’altro, perché se lo accarezzi ritornerai alla fine del mondo. Incurante di un piccolo scroscio di pioggia uscito chissà da dove, al quale segue un leggero arcobaleno, vado al botteghino delle informazioni turistiche e chiedo alla ragazza di chiara origine croata, cosa rappresenti la sirena vicino al Polo Sud: perché qui c’è una sirena a due code?

La ragazza risponde: «È una sirena bifida!».
Lo vedo!Ma non capisco!
«È la divinità del mare profondo, da un seno sgorga latte e dall’altro sangue, che mediante il fuoco alchemico si trasformano in argento e oro».
Resto sbalordito dalla risposta, mentre la ragazza continua:
«La forma della coda ricorda le lettere “alpha” e “omega” dell’alfabeto greco: il principio e la fine. Fine dell’Occidente e inizio dell’Oriente».
E la statua dell’indio?
«Somiglia alla statua romana del Gallo morente».
La ragazza mi guarda incuriosita dalle smorfie di stupore che fa il mio viso, senza che io me ne renda conto. Ma questa mitologia chi la ha portata?, dico io.
«Noi l’abbiamo portata».
Ma voi non siete europei.
«Di nascita no, ma di cultura sì.
Davvero?
«Parliamo una lingua europea. Abbiamo una religione europea. Siamo discendenti di croati, spagnoli, italiani, tedeschi… Che altro siamo?».
Ma state ai piedi del mondo…
La ragazza sembra spazientita: «E i piedi non fanno parte del corpo?».
Certo. Certo.
«Lei sa qual è lo slogan della Telefonica?», incalza. In verità non so cosa sia la Telefonica né cosa c’entrano i telefoni con le sirene. «C’è una pubblicità alle sue spalle», dice indicando un cartello enorme che sovrasta l’albergo Capo de Hornos. Mi giro e leggo: «Non c’è montagna, mare o distanza, capace di separare il Cile dal resto del mondo». «Anche se stiamo alla fine del mondo – fa lei – non ci separano i mari, le montagne o la distanza, si figuri se può farlo lei».
Mi sono ritirato in silenzio con una sirena fra le gambe!

Vado sulla riva dello stretto, saltando un rigagnolo d’acqua, calpestando valve di cozze grandi come un cucchiaio, conchiglie aperte, ricci giganti, chele di granchi, ossa di gabbiano con le penne attaccate. Il vento ossessivo mi fa ondeggiare, dandomi poderose pedate alla schiena mentre immagino le tre navi di Magellano che cercano l’apertura dello stretto. Pigafetta racconta che le navi tessero per molti giorni i fili di diverse rotte, per trovare l’uscita in quel vero e proprio labirinto di canali. Avevano trovato il passaggio che univa Occidente con Oriente, la chiave di volta che risolveva il viaggio, ora bisognava attraversare un oceano sconosciuto. Così scrive Pigafetta: «Mercore a 28 de novembre 1520 ne disbucassemo da questo stretto s’ingolfandone mar Pacifico. Stessemo tre mesi e venti giorni senza pigliare refrigerio di sorta alcuna. Mangiavamo biscotto, non più biscotto, ma polvere de quello con vermi a pugnate, perché essi avevano mangiato il buono: puzzava grandemente de orina de sorci, e bevevamo acqua gialla già putrefatta per molti giorni, e mangiavamo certe pelle de bove, che erano sopra l’antenna maggiore, acciò che l’antenna non rompesse la sartia, durissime per il sole, pioggia e vento. Le lasciavamo per quattro o cinque giorni nel mare, e poi se metteva uno poco sopra le brace e così le mangiavamo, e ancora assai volte segatura de asse. Li sorci se vendevano mezzo ducato lo uno e se pur ne avessemo potuto avere. Ma sovra tutte le altre sciagure questa era la peggiore: crescevano le gengive ad alcuni sopra li denti così de sotto come de sovra, che per modo alcuno non potevano mangiare, e così morivano per questa infermità. Morirono 19 uomini e il gigante con uno Indio de la terra del Verzin. Venticinque o trenta uomini se infirmarono, chi ne le braccia, ne le gambe o in altro loco, sicchè pochi restarono sani. Per la grazia de Dio, io non ebbi alcuna infermitade».

Avevano fatto esperienza dello scorbuto, la malattia che prende i marinai quando fanno lunghi viaggi, una infermità sconosciuta nel Mediterraneo, ma ora che si trovarono davanti il più grande oceano della terra dovettero sperimentare i disagi di una «longa e perigliosa navigazione».

Alla fine della traversata, Magellano trova la morte (27 Aprile 1521) nell’isola di Mactan nelle Filippine e con lui altri venti marinai in una imboscata, tanto che devono bruciare una nave per mancanza di braccia. Restano due imbarcazioni, ma una è così rovinata che presto sarà catturata dai portoghesi. La nave Victoria, al comando di Sebastiano Elcano, riesce a tornare dal porto dal quale era partita e con essa si conclude il primo giro intorno al mondo. Una impresa che lo storico spagnolo Gomara dichiara essere, «dopo la creazione del mondo, dopo la nascita di Gesù, il viaggio degli spagnoli è l’impresa più importante della storia moderna». In questo modo viene sancita la terza “rinascita” del mondo, questa volta non opera divina ma concreta azione umana.

I risultati di questo viaggio sono scritti nelle stelle. Non solo perché furono scoperte le nubi di Magellano ma perché gli uomini dopo aver conosciuto «tutta la balla del mondo» punteranno gli occhi verso il cielo ed sarà il cannocchiale di Galileo a sostituire la prua della nave di Magellano. Dopo gli oceani della terra, si guarderà agli abissi del cielo.

Davanti alla tomba di Monsignor Fagnano, morto nel 1916, che giace nella cattedrale che si apre sulla piazza dove troneggia il monumento a Magellano, penso al coraggio dimostrato dal portoghese ed alla determinazione dei salesiani nel costruire scuole, collegi, oratori, missioni in questa landa desolata dove finisce il continente americano. Insomma per trasformare gli antipodi, in una contrada del mondo civile. Per creare una continuità fra l’Europa e il sud del mondo.

Ora Punta Arenas fa parte del “mondo occidentale” in tutti i sensi, legami intrecciati dai voli degli aerei, da Internet, dal turismo sempre più fitto che imperversa a queste latitudini, dalla globalizzazione dell’economia e della conoscenza. Però, ora che ci avviciniamo ai festeggiamenti che ricordano i 500 anni dell’attraversamento dello Stretto, non posso fare a meno di chiedermi cosa abbia fatto Pigafetta, quando ritornò nella sua città di Vicenza. Le notizie storiche si perdono e di lui dopo il 1525 non si hanno più notizie. Stringendo con forza il piedone di bronzo dell’indio ritratto al di sotto del navigatore (quindi augurandomi un sollecito ritorno a sud del sud) mi chiedo cosa abbia potuto fare quel giovane di poco più di 30 anni, appena ritornato a casa. Cosa può fare un uomo dopo aver compiuto la più grande impresa dell’epoca moderna?

Marco Polo dopo il viaggio in Cina finì in prigione a Genova, Cristoforo Colombo dopo il terzo viaggio fu chiuso e incatenato nella stiva della nave, Magellano si butta contro i nemici in un gesto suicida e viene trafitto dalle lance di canna, Elcano muore in mare nel secondo viaggio verso lo stretto, di fronte a tutti questi esempi, che cosa ha pensato il giovane scrivano di bordo? La risposta al mistero è scritta nel mare.

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3. Fine. Clicca qui per leggere la prima e la seconda puntata del viaggio.

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