Mario Di Calo
Visto al Teatro Eliseo di Roma

Wesker nel sottoscala

Arriva a Roma "La Cucina" di Arnold Wesker nella versione aggiornata e rivista di Valerio Binasco. Un carosello di passioni e dolori nel retrobottega della vita patinata degli "altri”

La Cucina è un testo teatrale datato 1959, che Arnold Wesker scrisse a soli 27 anni, pubblicato da Einaudi nel 1965 grazie a Paolo Grassi e Gerardo Guerrieri: è stato ripreso da Valerio Binasco nel 2016 al Teatro Stabile di Genova (divenuto finalmente – e giustamente – Teatro Nazionale) per festeggiare i suoi 65 anni, in progetto che coinvolge la Scuola di quel teatro. Da quella fucina, del resto, sono usciti un gruppo di attori e registi che in questi anni hanno definito e alimentato nuove generazioni di teatranti attivi su tutto il territorio nazionale. Ora lo spettacolo è in scena fino al 20 maggio, e non ve lo perdete, al Teatro Eliseo di Roma. A tracciare la storia “italiana” di quel testo, si deve partire dal debutto italiano, con la regia di Lina Wertmuller nel lontano 1969, per poi giungere dopo molti anni a una versione realizzata da Armando Pugliese (che era lo Chef nella versione della Wertmuller) come saggio di diploma per gli allievi dell’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica nel 2007 (e ci sono anche una versione a firma di Massimo Chiesa nel 2008 e ed una di Marco Bernardi per il Teatro Stabile di Bolzano nel 2016): si giunge finalmente a questa edizione molto significativa, con nuova traduzione e adattamento – snellita e attualizzata – di Alessandra Serra.

Valerio Binasco mette insieme un gruppo di bravi attori, a cominciare da alcuni suoi interpreti storici come Nicola Pannelli, custode e anima di quella cucina-antro, spettro irreale di fantasmi e paure primigenie, un Firs di echi cechoviani, che si aggira per il palcoscenico ancor prima che le luci (intonatissime, di Pasquale Mari) diano vita ad un altro tragico giorno di una metafora antica. Accanto a lui, Aldo Ottobrino, vera anima dello spettacolo che con i suoi stati d’animo altalenanti, i suoi ritmi incalzanti è il cardiogramma dello spettacolo, tracciato di verità e adesione palpitante, Andrea Di Casa, Elena Gigliotti, Franco Ravera, Massimo Cagnina e un gruppo ben nutrito di giovanissimi ex-allievi che lasciano ben sperare in un futuro per il teatro italiano. Binasco come accadeva in Sarto per Signora, mette in campo una bagarre linguistica, a lui tanto cara, dialetti ed etnie che si amalgamano, dove capita che un tedesco – il protagonista Hans – sia un crucco con inflessioni genovesi e un ebreo parli con cadenza romagnola, in buona compagnia di calabresi e musulmani. Ma ci sono anche due anime napoletane, tragica e comica, selvaggia e poetica, violenta e opportunista, rappresentate e inquadrate nei diversi personaggi interpretati dai bravissimi Lucio De Francesco e Giulio Della Monica. Anche i bei costumi di Sandra Cardini virano in tal senso, si va dai pantaloni a zampa d’elefante degli Anni Settanta allo zebrato dei Novanta passando per tutta una variante di giacche di pelle in varie fogge e completi vintage Adidas. D’altronde, la scena di Giulio Fiorato è un sotterraneo/sottoscala cui si accede, restandone invischiati, da una scala gorgo che tutto amalgama e tutto livella.

La condizione della vita dell’uomo è questa: un tuffo in un misterico e approssimativo nulla, cui nulla può seguire se non disperazione e conflitto, fra consimili e cosmo. Un mondo come quello di un’immensa cucina di un ristorante da quasi mille coperti al giorno, dove l’umanità non può che scontrarsi, amarsi, innamorarsi, compatirsi per poi ricominciare daccapo ogni volta, a pranzo e a cena, quelle pause che accadono fra un tempo e l’altro della vita proseguono anche nell’intervallo, accade che gli interpreti servano i convenuti anche al bar del teatro, o un chitarrista accorda la sua chitarra a cielo aperto, senza soluzione di continuità siano il trapasso fra finzione e realtà. E quel bellissimo passaggio poetico delle luci finali in cui dal palcoscenico illuminato, si congiungono lentamente anche verso la sala, sta a significare che nessuno è esonerato da quella tragedia che è la vita. E della vita e delle disgrazie umane si può anche ridere: e nello spettacolo di Valerio Binasco si ride anche, per fortuna!

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