Velia Majo
Al Triennale Design Museum di Milano

Icona Italia

La mostra «Storie: il design italiano» passa in rassegna tutte quelle immagini e quegli oggetti che hanno incarnato la nostra identità. Diluita nelle piccole e grandi cose quotidiane

Una grande parete specchiante duplica lo scalone della Triennale di Milano e, dopo un lungo ponte-corridoio, ecco delinearsi una sorta di strada commerciale dove in alcune vetrine sono rappresentate le diverse forme di distribuzione del design. Poi, sul lato curvo dell’edificio, ha inizio l’ordinata esposizione delle “icone -oggetto” che compongono Storie: il design italiano la mostra della Triennale Design Museum (primo Museo di Design italiano) giunta all’undicesima edizione, che racconta la storia del design italiano attraverso una pluralità di storie che concorrono a definirne la complessa natura. Sono 180 opere selezionate per la maggior parte provenienti dalla collezione permanente del Triennale Design Museum realizzate tra il 1902 e il 1998 e individuate come le più rappresentative del design italiano per l’innovazione tecnico-formale, per l’estetica, per la sperimentazione, per il successo di pubblico.

Gli oggetti esposti sono suddivisi in cinque periodi: dal 1902, anno dell’Esposizione Internazionale di arte decorativa di Torino, che fu invasa da culture universali al 1998. Nel segmento 1902 al 1945 s’incontrano tra gli altri Il Bacio Perugina, la bottiglietta del Campari firmata da Fortunato Depero, la scarpa di tela Superga, il cappello Borsalino. In quello 1946-1963: la macchina del caffe di Gio’ Ponti, la Vespa, la Lambretta, la celeberrima macchina per scrivere lettera 22 e la sigla della Radiotelevisione italiana. Nel periodo 1964-1972: il motorino “Ciao”, la bicicletta pieghevole “Graziella”, la lampada Eclisse di Magistretti. E ancora 1973-1983: l’ovetto Kinder, il tratto-pen, la poltrona Proust di Mendini, la Panda e la Coppa del Nonno (sì, la coppetta gelato). A seguire nel periodo 1984-1998: la poltrona Feltri di Gaetano Pesce, lo spremiagrumi Juicy Salif di Philippe Starck, la lampada Tolomeo di Michele De Lucchi.

Nel lungo percorso espositivo si incontrano oggetti quotidiani quelli che abbiamo visto a casa (la bottiglietta del Bialcol, il disinfettante con il suo tappo triangolare) quelle che abbiamo visto a casa dei nonni, e quelli che ancora usiamo, su cui ci sediamo, che abbiamo avuto tra le mani, a volte odiato a volte amato a seconda degli eventi ad essi connessi.

Oggetti esposti in sequenza, ma l’itinerario si apre anche su cinque approfodimenti tematici, tanti quanti i curatori, che permettono di leggere il design attraverso altre discipline: Politica, Geografia, Economia, Tecnologia, Comunicazione. Per la sezione Politica, è stata creata una sorta di “tribuna politica” che si concentra su alcuni momenti fondamentali per il design italiano, dalla V Triennale del 1933 al boom economico, dal controdesign degli Anni Sessanta e Settanta fino alla globalizzazione. La sezione Geografia, invece, mette in scena i distretti produttivi del paese con grandi atlanti. Economia analizza il design italiano attraverso i numeri: vendite, royalties, flop commerciali. Su un video scorrono le valutazioni di alcuni designer: nel 1955 la Triennale pagava Ettore Sottsass 20 mila lire al mese, circa 300 euro di oggi. Tecnologia si concentra sulla capacità di imprese e designer italiani di interpretare le innovazioni dell’elettronica e la sperimentazione sui materiali. Comunicazione, con i suoi archivi fotografici e riviste, illustra come la storia del design italiano sia anche la storia della costruzione e della divulgazione attraverso i media.

Insomma, nella mostra Storie. Design Italiano – che rimarrà aperta fino al gennaio 2019 ed è dedicata quest’anno a Gillo Dorfles, critico d’arte scomparso nel marzo scorso – il visitatore interagisce con essa e ne diventa parte quando ci si ritrova in una piazza fatta di neon e vetrine e negozi brulicanti. Ed è qui che gli stessi visitatori ne diventano parte e si ritrovano a sperimentare dal vivo l’open source, il custom made, il crowdfunding e l’e-commerce; ma anche a partecipare ad un’asta o fare lo shopping con il grande distributore automatizzato di sei metri che dispensa oggetti di design creati ad hoc per l’occasione. Con 30 euro e con un click si porta a casa il kit Nasa di Achille Castiglioni.

La scelta di lasciare scoperto l’ultimo ventennio, dal 1998 ad oggi, permette agli storici di analizzare la disciplina con la giusta distanza critica e temporale, ma intende anche sottolineare il grande cambiamento di parametri in corso. Prima di uscire e lasciarsi alle spalle un po’ di storia italiana con i suoi simboli del passato che mutano nel tempo, seguendo l’inarrestabile evoluzione del design, c’è un invito rivolto al visitatore: «Disegna la tua icona!».

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