Giuseppe Grattacaso
Contro kebab e money transfert

Pistoia, Italia

La giunta di Pistoia vieta le insegne arabe, cinesi o russe in centro città. «Non vogliamo negozi stranieri. Il nostro intento è salvaguardare le tradizioni italiane», dice il sindaco. E che ne sarà, adesso, dei numeri arabi?

Il Consiglio comunale di Pistoia, a stragrande maggioranza (voti favorevoli anche dal centrosinistra), ha approvato il nuovo regolamento «per la valorizzazione e la tutela delle aree urbane meritevoli di particolare attenzione», che sono poi quelle del centro cittadino. Secondo le nuove norme, non si potranno aprire in centro internet point e money tranfer, oltre a night club e sexy shop, comunque finora nemmeno lontanamente presenti nella zona interessata. Il regolamento fa esplicito riferimento anche alle insegne dei negozi, che dovranno essere «composte con caratteri propri dell’alfabeto latino», come si legge sul sito del Comune, salvo, si specifica nella stessa nota ufficiale, «la presenza di testi tradotti a fronte per le esigenze di comunicazione turistica» (la leggera scivolata sintattica è da attribuire all’estensore della nota).

La scelta dell’amministrazione pistoiese, dalla scorsa estate a guida centrodestra, si presta a qualche fraintendimento. Sappiamo che l’alfabeto latino (come lo consideriamo oggi almeno, perché i Romani facevano a meno di U, J e W) consta di 26 segni grafici, che sono utilizzati in molte lingue in uso, tra cui molte di quelle europee, il turco e il vietnamita. Sembra perciò che il regolamento voglia andare a colpire soprattutto l’arabo, il cinese, ma anche evidentemente il russo, il coreano, il greco. Ma, in questo caso, perché parlare della possibilità di tradurre (“a fronte”, poi) per i turisti? L’inglese, di cui si potrebbe sentire il bisogno, fa uso dell’alfabeto latino, come il tedesco e il francese. In quante lingue, gli amministratori di Pistoia pensano si debba tradurre il testo presente su una vetrina?

In ogni caso, dalla questione sembrano essere fuori barber shop (che hanno sostituito i coiffeur di un tempo), restaurant, bar, coffee e pub. Anche gli amici della libreria Les Bouquinistes possono dormire sonni tranquilli: non dovranno diventare I Bancarellai, come suggerisce via Facebook il poeta Matteo Pelliti. Ma allora, a che serve tutto questo?

Lo spiega il sindaco Alessandro Tomasi, provenienza Fratelli d’Italia: «Non vogliamo negozi stranieri. Il nostro intento è salvaguardare le tradizioni italiane, la specificità del centro storico, il suo decoro, perché siamo convinti che il turista che viene in visita a Pistoia non venga per pranzare in un kebab, non venga per vedere i money transfer, ma crediamo che sia attratto dai nostri locali tipici, e che voglia vedere ben conservata l’architettura dei nostri palazzi storici. Il turista che viene da noi cerca un centro storico ben conservato e autentico e non un luogo trasformato interamente a vantaggio delle mode passeggere».

Sta di fatto che un turista non viene nemmeno per vedere uno sportello bancario, tantomeno se di banca estera, ma succede che questo sia utile, anche a chi a Pistoia ci abita tutto l’anno. E che dire degli innumerevoli bar, ristoranti, tavole calde, birrerie: siamo sicuri che questi locali, che prima non c’erano, così come era assente la movida notturna, garantiscano l’autenticità del luogo? E se un ristorante dovesse servire un couscous, come bisognerebbe comportarsi?

Il male maggiore sembra siano i kebab, del resto presenti nel centro storico cittadino. Ma kebab è parola turca, quindi scritta anche in origine impiegando l’alfabeto latino. A stretta logica di regolamento, si potrebbe utilizzare il nome nell’insegna, purché non luminosa, e poi vendere hamburger (parola di origine tedesca, ma poi diventata di uso mondiale grazie all’inglese, sponda nordamericana) come la vicina birreria.

Il regolamento pare non dica nulla sulle insegne in dialetto. Per esempio, una pizzeria Paisa’ rientrerebbe forse nella salvaguardia delle tradizioni italiane (leghisti permettendo, in forza alla giunta pistoiese), non certo nella difesa dell’autenticità del centro cittadino.

E poi, siamo sicuri si possano utilizzare nelle insegne le cifre arabe, o non sarebbe più appropriato, come già avvenuto nel Ventennio, ripiegare sui numeri Romani?

La scelta dell’amministrazione pistoiese somiglia a quelle battaglie di presunti o reali accademici della Crusca, che vorrebbero cancellare le parole straniere dal nostro vocabolario. Come se fosse possibile fermare la lingua, che va avanti invece per i fatti suoi, come sapevano benissimo gli autori dell’alfabeto latino, che fagocitavano parole da ogni dove e che d’altra parte quei segni grafici non li avevano nemmeno inventati, ma ricavati dal greco e forse dall’etrusco.

I dubbi insomma non sono pochi. Bisognerà chiedere qualcosa al sindaco. Il quale del resto nel suo discorso nel giorno della Liberazione (4 minuti e 37 secondi: cronometraggio a cura del quotidiano online ReportPistoia) non ha mai pronunciato le italianissime parole Fascismo e Resistenza.

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