Mario Di Calo
Al teatro Mercadante di Napoli

Canto a una donna

Armando Pugliese porta in scena un inedito di Elvio Porta, "Teresa Sorrentino", storia di un'anima in pena sospesa tra canto, violenze e amore, interpretata da Lalla Esposito

Il primo incontro di Lalla Esposito con Elvio Porta e Armando Pugliese avvenne nel lontano 1997 per il ri-allestimento dello storico Masaniello, testo dell’autore napoletano e regìa del maestro napoletano, uno di maggiori esperti in spettacoli “itineranti”: l’evento/spettacolo mitico – interagito su carrelli mobili – voluto espressamente dall’allora amministrazione napoletana presieduta da Antonio Bassolino, da realizzarsi nei luoghi dove avvennero i fatti relativi ai moti rivoluzionari napoletani cui il testo si riferiva, e cioè a Piazza Mercato. In quell’occasione Lalla Esposito interpretava egregiamente il ruolo di Bernardina con grande spessore e passionalità. Ora con la complicità del Teatro Stabile di Napoli e di Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro il terzetto si riunisce sotto un titolo – Teresa Sorrentino – opera inedita per la scena di Elvio Porta purtroppo scomparso nel 2016; a dirigerlo è ancora Armando Pugliese nell’insolita veste di orchestratore di un one-woman-show. La protagonista e mattatrice della serata è, dunque, Lalla Esposito, che da qualche tempo sta conducendo un percorso da solista che la vede in un momento di grande maturità e pienezza artistica.

La storia che il terzetto ci racconta, collocata in un set di uno stand Ikea in allestimento (scena adeguatissima di Roberto Crea), è quella di una giovane donna, Teresa, anima in pena perenne poiché passa dalle violenze subite dal padre e dalla madre, costretta fin da piccola a darsi da fare nell’aiuto e sostentamento per la famiglia, a quelle del marito Raffaele Sorrentino, non solo violento anch’esso ma anche geloso. La donna sfoga la sua frustrazione e il suo dolore nel canto, vissuto ovviamente in segreto dai familiari. Giunge addirittura a ricevere un premio nella città di Sorrento, e lì conobbe colui sarebbe diventato suo marito reclamando la sua mano con una minaccia a mano armata a suo padre. Ora ritroviamo la donna in un immenso ambiente, fra il realistico e l’immaginario, appena uscita da una clinica per l’ennesimo aborto provocato dalle percosse del marito, alla vigilia di Natale per la preparazione del famoso cenone.

E, dunque, una donna con codeste problematiche che fa? Si rifugia nel sogno, nell’immaginazione, ed ecco che la casa si popola di figure immaginarie, umani e non (c’è anche un gatto inesistente, Pasquale, che si aggira per casa). Tutto ha principio da una canzone – ed è da specificare che le canzoni, bellissime e appassionate, composte da Sergio Esposito assumono una funzione assolutamente epica nello spettacolo quasi un significato brechtiano, laddove la musica crea un cortocircuito fra soggetto che canta, destinatario ed ascoltatore – strimpellata a una chitarra alla finestra, che la donna dedica all’amore della sua vita, suo marito, le cui note poi si librano in una eco irreale, immaginaria. Tutto è sospeso in quei minuti che precedono l’arrivo di tutti i familiari per festeggiare la nascita del sacro bambinello. Telefoni che non squillano ma cui si risponde rigorosamente, con rispetto ed educazione. Il compianto psicologo Saverio Savastano, morto in un incidente autostradale con la moglie Carlotta, due anni prima chiamato d’urgenza per sincerarsi che quelle voci di dentro che la donna avverte sono qualcosa per cui allarmarsi, e ancora la madre Titina, suo padre, tutte presenze che si moltiplicano nell’immaginazione della donna mentre dà gli ultimi ritocchi al cenone natalizio.

In un’ora e venti Lalla Esposito, palpita, soffre, emoziona con la storia della vita di questa Barbie di periferia, piccola, minuta, vitale ma gigantesca presenza scenica. E la regia gioca di rimando in questa preziosa occasione con una continua sospensione fra il concreto e l’inesistente, molto efficace la soluzione della porta di sicurezza a vista, parte integrante della scena, usata a mo’ di porta d’ingresso con quel suo richiudersi automaticamente, è qualcosa di sinistro e inquietante. Il testo è una piccola gemma di drammaturgia che risente nella memoria di echi fra l’eduardiano e il ruccelliano. Da non perdere!

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