Alessandra Pratesi
Al Museo del Vittoriano di Roma

La luce di Monet

Con le opere del Marmottan si completa l'omaggio romano a Monet, uno dei padri dell'impressionismo. Dalle cromie acquatiche delle ninfee alle prime prove di astrattismo cromatico all'alba del Novecento

Il 15 aprile 1874 segna un grande passo per l’umanità: nello studio parigino del fotografo Nadar, in Boulevard des Capucines, si inaugurava la prima esposizione degli impressionisti. Da quel momento in poi la pittura non sarebbe più stata la stessa. Tra i pittori che hanno scritto questa pagina di storia dell’arte: Cézanne, Degas, Pissarro, Renoir, Sisley. E Claude Monet. Il Complesso del Vittoriano di Roma ospita fino al 3 giugno Monet. Capolavori del Musée Marmottan Monet, Parigi. Dopo I capolavori del Musée d’Orsay (2013-14) e Impressionisti. Tête-à-tête (2015-16), si prosegue in un trittico ideale il viaggio romano nella pittura francese del colore e della luce fin de siècle. Curata da Marianne Mathieu, vicedirettore del Musée Marmottan-Monet di Parigi, e promossa dal comune di Roma con il patrocinio del MiBACT e della Regione Lazio, la terza mostra della serie restringe il campo e concentra l’attenzione sul protagonista di quella stagione aurea dell’arte attraverso una selezione di 60 opere provenienti dal museo che da Monet prende il nome.

Al numero 2 di rue Louis-Boilly, tra fine Ottocento e Novecento la famiglia Marmottan, Jules e il figlio Paul, aveva raccolto una collezione d’arte; nel 1932 viene legata all’Institut de France che lo apre al pubblico, originando una virtuosa catena di donazioni. Tra queste si distingue Michel Monet, figlio di Claude, che nel 1966 consegna al Musée Marmottan la collezione di tele conservate nella proprietà di famiglia a Giverny. Per quasi 8 mesi il pubblico romano potrà esplorare ed apprezzare un morceau della collezione Marmottan-Monet a un passo dalla storia imperiale, papalina e risorgimentale.

Il percorso espositivo del Vittoriano inizia con un’immersione nelle cromie acquatiche e ondeggianti delle ninfee, grazie ad una videoinstallazione nel corridoio di ingresso che immette nella prima sala. Si prosegue attraverso uno schema cronologico con il quale al pubblico viene offerto un assaggio della produzione più intimista di Monet, dalle prime prove grafiche giovanili fino ai filamenti cromatici della maturità. Dai ritratti alle caricature, dai tramonti alle serie di ninfee, la missione euristica di Monet è fotografare l’impressione, ovvero l’armonia di luci e di colori che è propria di ogni oggetto pittorico. L’inclinazione di Monet troverà terreno fertile nei paesaggi della costa mediterranea (Il castello di Dolceacqua, 1884), negli scorci fluviali di Londra (Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi, 1905), Argenteuil, Vétheuil (Vétheuil nella nebbia, 1879) e, sommamente, nel giardino di Giverny (Il ponte giapponese, 1918-19). Con il suo sguardo e il suo segno pittorico così distintivi Monet apre la strada alla modernità. È capofila tra i padri fondatori dell’impressionismo quando, nel 1874, il critico Louis Leroy parla in senso dispregiativo di «exposition impressioniste». Mutuato proprio dal titolo di una tela di Monet, Impressione. Levar del sole, l’oltraggio si trasformerà presto in omaggio, diventando il nome di battaglia del gruppo di pittori indipendenti. L’oggetto del contendere è conservato proprio al Marmottan; in questa trasferta romana, invece, una tela affine per soggetto e stile: Barca a vela. Effetto sera (1885). Il tratto di Monet, frammentato e vorticoso, plastico e luminoso, dà il la all’astrattismo all’alba del nuovo secolo, con una riflessione artistica sempre più orientata sul rincorrersi del tempo e dello spazio, sulla variazione delle condizioni luministiche, sulla plasticità del gesto (come nelle Ninfee del biennio 1917-19).

A completare il quadro e a soddisfare la curiosità aneddotica, un totem di plexiglas in mostra conserva una tavolozza e un paio di occhiali appartenuti al pittore, simboliche estensioni di una pennellata e di uno sguardo che hanno fatto la storia. Non è il Monet della vulgata quello esposto dal Marmottan al Vittoriano, ma è un Monet autentico: un grande maestro visto sotto la luce più intimista delle produzioni della sua collezione di Giverny, per illuminare tutte le sfumature di un padre della modernità.

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