Giordana Marsilio
Cartolina da Monaco

Il trapano di Cechov

Nicolas Stemann, ex enfant terrible del teatro tedesco, lascia il Kammerspiele di Monaco con un "Giardino dei ciliegi“ aggiornato con rabbia, microfoni e distonie: il passato è (irrimediabilmente) passato

Nella tradizione orientale, il fiore di ciliegio simboleggia la pace interiore e il suo sbocciare la nascita. Proprio questo è uno dei temi cardine de Il giardino dei ciliegi di Anton Cechov. Il giardino dei ciliegi presto verrà distrutto, ormai rappresentante precario di tutto quello che è stato e che non tornerà: una distruzione metaforica dei tempi passati, dei ricordi che lasciano spazio alle labili esistenze dei personaggi i quali non riescono più a comunicare realmente tra di loro. Il teatro Kammerspiele di Monaco di Baviera, per la regia di Nicolas Stemann, mette in scena un classico del teatro ma lo spettatore capisce fin dai primi momenti che Il giardino dei ciliegi che ci verrà raccontato vuole illustrare più un presente in procinto di divenire futuro, piuttosto che un tempo passato della Russia imperiale.

Lujba (Ilse Ritter), trasferitasi a Parigi dopo la scomparsa del marito e la tragica morte del figlio, torna dopo molti anni d’assenza con sua figlia diciassettenne Anja (Julia Riedler), un servitore Jaša (Damian Rebgetz) e la governante tedesca (qui interpretata da un uomo, Thomas Hauser) nella sua casa di infanzia in una provincia russa, ormai gestita dalla figlia adottiva Varja (Annette Paulmann) e da alcuni servitori e conoscenti. Al suo arrivo Lubja, in grandi difficoltà economiche, viene informata che la casa sarà messa all’asta e da questo avvenimento si snoderanno tutte le vicende. Denaro, amore, drammi familiari, il tema della proprietà, lotta tra presente e passato, un passato forse idealizzato e al quale ci si aggrappa per non accettare la delusione del presente, tutto ciò tratta quest’opera. Questi temi, che sembrano appartenere a un mondo lontano, ci riguardano più di quanto si possa pensare, come dimostra l’abbattimento della quarta parete durante tutto lo spettacolo.

Il giardino dei ciliegi al Kammerspiele si apre con gli attori che a turno vanno davanti a un microfono e introducono lo spettacolo: «Cechov, Anton Il giardino dei ciliegi, Il giardino dei ciliegi Anton Cechov, buon divertimento» e all’improvviso un uomo vestito come un astronauta e con un trapano vero provoca un rumore assordante. Invece il sipario scorre per tutto il primo tempo, dividendo continuamente l’interprete che si ritrova a parlare quasi a contatto con il pubblico e il gruppo di personaggi dall’altro lato del palco. Ciò che ci racconta non è né un tempo lontano né un mondo distante da noi in fondo al palco, ma eventi che si trovano proprio qui, davanti a noi, davanti il sipario che scorre, poiché non si tratta solo di teatro ma di realtà. Un microfono è posizionato sul lato destro del palco quasi vicino al pubblico e viene utilizzato dai personaggi come luogo del racconto, una sorta di stream of consciousness. Così quel microfono diventa luogo del detto-non detto, della contraddizione, del reale-non reale: quando si parla al microfono, ci si vuole far sentire da tutti, invece qui gli interpreti lo usano per sfogarsi, per raccontare l’indicibile, come se si stessero confessando a loro stessi.

Un’interpretazione del classico cechoviano innovativa e pungente. D’altronde il Kammerspiele è noto per essere un teatro d’avanguardia che tende a realizzare spettacoli con forme ibride d’arte, alle volte più vicino alla performance. Anche Il giardino dei ciliegi, infatti, si dimostra un esperimento – riuscito: ovvero quello di prendere un testo classico e, pur mantenendone lo spirito e l’essenza, adattarlo a un pubblico moderno con la voglia di scoprire nuove forme di teatro. Però non tutti la pensano così, infatti dopo più di un anno di proteste e scompiglio nei mass media, Matthias Lilientahl, il direttore del teatro, lascerà la direzione nel 2020, a fine contratto, senza alcuna possibilità di prolungamento, criticato proprio per il suo modo di concepire e vedere il teatro. Molti attori di punta del Kammerspiele hanno abbandonato l’ensemble proprio per incongruenze artistiche. Così, alla fine de Il giardino dei ciliegi, tutti gli interpreti hanno letto una lettera di protesta contro la decisione di cacciare il loro direttore e hanno sottolineato che condividono la sua visione, la sua passione allo sperimentare e l’idea di proporre un teatro in continua trasformazione. Più volte alcuni personaggi come «l’eterno studente» Trofimov (Hassan Akkouch) dicono: «Nella speranza di un nuovo inizio» o la giovane Anja, «Ora comincia una nuova vita, tutto sarà nuovo» e conoscendo quanto sta accadendo dietro le quinte del Kammerspiele forse, in questo spettacolo in particolare, Il giardino dei ciliegi è proprio il simbolo del loro stesso teatro, di una speranza in un futuro migliore, in un nuovo inizio, nel quale tutti sperano ma al quale nessuno crede.

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Le fotografie sono di Thomas Aurin

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