Giordana Marsilio
Visto al Teatro Vascello di Roma

Giuramento teatrale

"Giuramenti", il nuovo spettacolo del Teatro della Valdoca, insegue il modello della tragedia greca alla ricerca di una ritualità tramite la quale il teatro possa tornare a svolgere il suo ruolo centrale nell'etica della società

Il filosofo Giorgio Agamben rifletteva ne Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento proprio sul concetto di giuramento e su ciò che rappresenta per l’uomo inteso come animale politico. Agamben, partendo dall’analisi della società antica romana e greca, riconosce nell’avvento dell’idea di giuramento il passaggio stesso dell’uomo, in quanto animale, in essere umano. Dunque il giuramento diventa un sacramento del linguaggio attraverso il quale l’uomo si definisce essere parlante in grado di legare alla parola dell’intenzione la realizzazione di quanto si è giurato. Anche Giuramenti il nuovo spettacolo del Teatro Valdoca (al Teatro Vascello di Roma fino a domenica 25 per la regia di Cesare Ronconi, scritto dalla poetessa Mariangela Gualtieri) è un giuramento, un giuramento verso il teatro che ruota intorno ad un Coro, composto da 12 interpreti giovanissimi (Arianna Aragno, Elena Bastogi, Silvia Curreli, Elena Griggio, Rossella Guidotti, Lucia Palladino, Alessandro Percuoco, Ondina Quadri, Piero Ramella, Marcus Richter, Gianfranco Scisci e Stefania Ventura) il quale rappresenta una comunità in cui emergono sfaccettature dell’essere umano differenti: la crudeltà dell’uomo, la sua fragilità, il dolore e l’amore. Il Coro intraprende così un viaggio comunitario all’interno di un rito, che segnerà proprio il passaggio di cui parlava Agamben da animale ad essere umano, anche se qui alle volte, questo processo sarà all’inverso, l’uomo dovrà tornare allo stato brado e compiere un sacrificio per portare avanti la comunità.

Il linguaggio ha perduto il significato vero delle parole perciò il Coro va alla ricerca di quel senso profondo, ormai perso, che ha connotato non solo la parola in quanto tale, ma l’uomo stesso. Infatti in una delle prime apparizioni gli interpreti diranno all’unisono: «Glielo diciamo? – Cosa? – Che abbiamo più di cent’anni che sappiamo volare – Non ci crederebbero – Ma se vedono? – Non credono neppure se vedono. Sono fatti così. – Allora diciamo da dove veniamo. – No. Non crederebbero mai che è lo stesso posto da cui vengono anche loro. – Cosa diciamo allora? – Parliamo del più e del meno. Solo così non hanno paura». Del senso perduto, del nulla, l’uomo non ha paura, ma proprio questo ha svuotato e prosciugato il senso vero dell’arte e del teatro, il cui significato della parola è stato profanato. In questo rituale, quasi sacrificale, si compie un giuramento al teatro e la compagnia del Teatro Valdoca guarda a un passato ancestrale, in cui l’uomo viveva nel mondo naturale e qui, prima ancora del linguaggio, il corpo non è un accessorio ma un protagonista assoluto. Il corpo spesso nudo degli interpreti si deve liberare dagli orpelli e smembrare, per tornare allo stato profondo delle cose, così il corpo diventa corpo dei corpi e il movimento un atto liberatorio che si esprime attraverso movenze di danze folkloristiche ed elementi circensi. La drammaturgia del corpo è stata affidata a Lucia Palladino e la guida al canto a Elena Griggio.

Il coro nella tragedia greca esprimeva punti di vista differenti su una determinata vicenda, sebbene composto da individualità distinte, al contempo però il coro esprime un senso di appartenenza ad una comunità e ad un gruppo come avviene in Giuramenti. A canti in italiano, si uniscono canti in inglese, in tedesco e in altre lingue, infatti l’importante non è la lingua parlata ma la riflessione sulle culture, su linguaggi diversi, per ritrovarne il senso più profondo e riscoprirne il ruolo a teatro così come nella società.

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Le fotografie sono di Maurizio Bertoni

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