Beppe Navello
In memoria di una donna speciale

L’italiana di Parigi

Ricordo di Myriam Tanant, grande italianista, storica del teatro, traduttrice di Pirandello e Goldoni. Una vita spesa inseguendo due passioni: la scena e il nostro Paese

Di Myriam Tanant, morta a Parigi nella notte tra domenica e lunedì scorsi dopo una lunghissima lotta contro il male, stanno uscendo in Francia dei volumi di ricordi e testimonianze. Wikipedia riassume, con la consueta efficacia di sintesi, di chi stiamo parlando: «une dramaturge, traductrice, metteuse en scène française de théâtre et d’opéra, professeur à l’Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3 au sein de l’Institut d’études théâtrales et du Departement d’Italien et roumain; elle enseigne le théâtre, la littérature italienne ainsi que le cinéma italien. En 2016 elle a eu la Légion d’Honneur». Potrei aggiungere molte cose ma non è di queste che voglio parlare a proposito di Myriam, altri lo faranno con più autorevolezza di me; il Piccolo Teatro di Milano, ad esempio, col quale lei ha conservato negli anni, dopo il lavoro con Strehler, amicizia e consuetudine collaborativa: io sento il bisogno adesso di rompere il silenzio degli organi di informazione italiani che, nonostante la sua passione per l’Italia e la nostra cultura, nonostante il suo perenne desiderio di venire tra noi, di respirare la nostra aria peraltro sempre meno salubre, di bearsi di un piatto di pasta, di bere un bicchiere di Ghemme o di Gattinara, erano troppo impegnati a parlare di Sanremo in tutte le pagine di spettacolo per trovare spazi anche piccoli alla notizia della sua scomparsa.

Eppure lei, quando mi accadeva di parlar male del mio paese, mi opponeva sempre giustificazioni dicendo che la Francia non era affatto migliore; e ancora una settimana fa, all’ospedale Necker di Parigi, raccontandole che la nostra campagna elettorale non sembrava di grandissima qualità, mi ha replicato che noi Italiani abbiamo gli anticorpi per affrontare qualsiasi difficoltà. È andata a finire che Gabriella le ha portato un piatto di penne al pomodoro che l’ha fatta felice, ma l’ha confermata nelle sue convinzioni.

Perché era questo che si sentiva in Myriam e che sconcertava: l’amore sconfinato e cieco per tutto quello che era italiano. Era una studiosa e una critica sorvegliatissima di testi e storia del nostro palcoscenico e della nostra cultura: parliamo di colei che ha tradotto per la mitica collana della Pléiade Pirandello e Goldoni, oltre che per la Comédie Française e il Théâtre du Campagnol; e che ancora una quindicina di giorni fa si è alzata del letto per andare a leggere, sempre alla Comédie, la traduzione de La locandiera, ultima sua fatica di italianista; parliamo di colei che ha dato contributi altissimi alla diffusione di nostri autori oltralpe (un paio di settimane fa mi sono stupito di un articolo sulla fortuna francese di Curzio Malaparte apparso su una rivista specializzata, sono andato a vedere chi era l’autore e naturalmente si trattava di Myriam Tanant); era severissima nel giudicare la deriva contemporanea di tante regie preoccupate soltanto di suscitare meraviglia, stupore e scandalo; spiritosissima nel mettere alla berlina la superficialità delle analisi critiche sulle novità teatrali. Ma quando si parlava dell’Italia per lei c’era qualcosa di più personale che si aggiungeva alla sapienza di studiosa aggiornatissima: qualcosa di ancestrale e intimissimo che affondava le radici nella sua vicenda familiare, quella di antenati emigrati in Francia dal Novarese all’inizio del secolo scorso e che avevano conservato con la terra d’origine un legame intenso e struggente; Myriam parlava dei campi di granturco di casa dei suoi, del cibo, del dialetto, della musica con una felicità contagiosa. E ne parlava con un italiano perfetto, senza inflessioni, che rivelava l’azione di quell’amore speciale ad arricchire di grazia lo studio filologico.

È stato inevitabile che le chiedessi di scrivere un testo su quella saga familiare ed è nato Bar Franco Italien, pensato per Jean Claude Penchenat (altro grande artista francese figlio e nipote di italiani) e una giovane attrice; è stato inevitabile accogliere la proposta di un altro racconto sul suo lavoro al fianco di Strehler ne La Tempesta di Shakespeare, all’Odéon di Parigi, per Giulia Lazzarini e la giovane attrice (che poi era Maria Alberta, mia figlia, perché quando sceglieva i giovani che le piacevano non li lasciava più: come accaduto con Emiliano Bronzino, altro artista del Piccolo, approdato da noi in quell’occasione); e ancora è stato inevitabile e bellissimo chiederle di creare la quarta puntata de I Tre Moschettieri sempre a Torino, in quell’immenso cantiere di quattro mesi, con una cinquantina di giovani e un’altra ventina di collaboratori, in sinergia creativa con un pubblico adorante ed entusiasta: era la puntata del viaggio in Inghilterra per recuperare i diamanti, delle imboscate, della traversata della Manica, del ritorno al grande ballo di corte dove la Regina trionfa sulla perfidia del Cardinale. Un’avventurosa favola sulla forza dell’amicizia e del teatro che si attagliava perfettamente all’anima di Myriam. Quella compagnia di giovani attori l’ha seguita con un’adesione totale, con una condivisione filiale: perché anche questa era una sua qualità, all’università e in teatro, essere maestra di indiscutibile prestigio e di fascino irresistibile, convinta che nei giovani ci fosse la disponibilità intellettuale e morale per accogliere. Quella disponibilità che i sistemi organizzati dei mestieri artistici non avevano più da tempo.

Che la terra ti sia lieve, Myriam. Sicuramente qui, nel paese che hai amato, saremo in tanti a ricordarci per sempre di te e della bella amicizia che ci hai regalato: «Tutti per uno, uno per tutti!».

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