Paolo Bonari
Di aria elettorale

Il voto è utile?

Sempre alla ricerca del meglio (quando non del "perfetto"), assai spesso dimentichiamo che la politica non garantisce la felicità. Ma solo una convivenza imperfetta

“No, stavolta no! Non mi farò buggerare di nuovo! Basta, non se ne può più!”: ecco, questo è il lamento dell’elettore esigente, ovvero di colui che, dopo essersi turato il naso per decenni, avrebbe finalmente deciso di non sottomettersi più agli appelli al “voto utile”, ai ricatti dei politici che invitano alla ragionevolezza, a “fare blocco” contro gli avversari, forti come non mai, e temibili, pericolosi per le sorti stesse della democrazia. Spesso, troppo spesso egli si è sentito obbligato a compiere una scelta elettorale che in cuor suo non riteneva degna e che, però, veniva presentata come funzionale agli equilibri complessivi, alle necessità sistemiche.

Insomma, sarà questa la volta, la buona volta che il vastissimo popolo dei delusi e dei riottosi si rifugerà nell’astensionismo? Piuttosto che doversi ancora sottomettere, piuttosto che avere difficoltà a guardarsi allo specchio al mattino, piuttosto che vergognarsi del proprio comportamento di fronte agli amici più scaltri, il nostro amico preferirà la defezione a la purezza della scheda bianca? I candidati sono mai sembrati tanto simili e tanto inaffidabili? Chiunque avrà buon gioco ad affermare che siamo caduti proprio in basso, che non si ricorda una competizione tanto scadente.

Ma se, per un attimo, provassimo a ribaltare la prospettiva consueta, se sospendessimo il tiro al piccione, cioè alla classe politica, avremmo delle sorprese un po’ scomode, per niente rassicuranti: dovremmo confessarci, infatti, che continuare a deprecare quelle che sono la piccolezza e la meschinità dell’offerta politica, rispetto alla nobiltà dei nostri ideali, alla vastità dei nostri animi, all’elevatezza delle nostre preoccupazioni, è un’attività ad alto tasso di conformismo. Forse, alla politica avanziamo delle richieste che sono diventate ridicolmente esose, dimenticandoci che non è essa che può in alcun modo darci la felicità – tenerlo a mente, ripeterlo, scolpirlo. Le democrazie sono quelle forme altamente imperfette della convivenza pacifica in cui la disaffezione, la stanchezza, l’insoddisfazione sono di casa, come ben sapevano i regimi che, nel secolo scorso, della polemica anti-democratica facevano o tentavano di fare la ragione della propria esistenza, e nessuno avrebbe potuto pensare di appoggiare Hitler, Mussolini o Stalin in quanto “i meno peggio”: i capi totalitari erano i perfettissimi rappresentanti dei voleri popolari, oltre che di quelli di Dio, della Natura o della Storia… Loro sì che erano “i più meglio”.

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