Anna Camaiti Hostert
Cartolina dagli Usa

Il budino d’America

Sullo Shutdown i democratici se la prendono con Trump: «Trattare con lui è come negoziare con un Jell-O», il più celebre budino americano. Negli Usa lo scontro è tra chi fa politica e chi pensa solo ai propri interessi

«Se ogni foto racconta una storia, allora quella, certamente ritoccata, rilasciata ufficialmente dalla casa Bianca durante il fine settimana dello shutdown del governo federale ci dice molto sulla presidenza di Donald Trump. La foto ritrae il presidente seduto nell’Oval Office, dietro alla sua scrivania, che indossa il suo solito cappellino da baseball bianco con la scritta Make America Great Again con il telefono attaccato all’orecchio. Ha lo sguardo rivolto verso la camera come se dicesse: Vedete? Chi comanda davvero sono proprio io» scrive in un editoriale sul Chicago Tribune Clarence Page. Il giornalista, riferendosi al titolo di un articolo dello Washington Post, fa trapelare infatti che la strategia della Casa Bianca serva solo a contenere l’irruenza di Trump che proprio precedentemente aveva soffiato sul fuoco portando successivamente proprio allo shutdown governativo a causa dei suoi commenti volgari su alcuni paesi da cui provengono molti immigrati. E a riprova di ciò cita le parole del leader della maggioranza repubblicana Mitch McConnell che si era detto incerto, egli stesso, su quello che avrebbe fatto davvero il presidente.

La confusione era nata proprio dall’ambivalenza di Trump che aveva assicurato che era pronto a firmare qualsiasi cosa il Congresso gli avesse mandato, aggiungendo però che qualunque proposta avrebbe dovuto includere dei fondi per la costruzione del muro lungo il confine del Messico. Due settimane prima aveva dichiarato che se il Congresso avesse proposto un piano per proteggere i cosiddetti Dreamers, cioè gli immigrati illegali portati negli Stati Uniti da bambini e allo stesso tempo rinforzato la sicurezza dei confini l’avrebbe firmato. Due giorni dopo ha però respinto una proposta di un gruppo di senatori bipartisan parlando appunto in termini dispregiativi di “shitholes countries”. Venerdì tuttavia sembrava che il senatore democratico Chuck Schumer avesse trovato un accordo con Trump. Ma non ha fatto in tempo a tornare a Capitol Hill che Trump ha ritirato il consenso, cosa che aveva portato il senatore newyorkese a dire che lavorare con Trump è come «negoziare con un Jell-O», una sorta di budino gelatinoso molto popolare in America.

Alla capacità tutta politica di negoziazione dei democratici si oppone quella antipolitica di un presidente ondivago, sotto forte pressione del suo elettorato e dei falchi repubblicani nel Congresso. Sta di fatto che l’opposizione dei democratici che aveva portato allo shutdown governativo si è interrotta per la promessa di McConnell a Schumer di riprendere in mano la legislazione sul DACA (Deferred Action for Children Arrivals) ai primi di febbraio. Con lo scopo preciso di poter estendere il termine di marzo, che Trump aveva annunciato l’anno scorso, alla deportazione di circa 700.000 persone nei rispettivi paesi di origine.

I democratici hanno mostrato senso dello Stato e una capacità politica che sono mancate, negli anni della presidenza Obama, a quegli stessi repubblicani che oggi invocano senso di responsabilità, ossia ciò che essi per otto anni hanno sistematicamente negato al primo presidente nero del paese. Forse proprio perché era nero. Giacché, ovviamente, chiudere gli uffici governativi che sono un servizio alla comunità e che sono fatti funzionare da molti lavoratori o costringere ad andarsene centinaia di migliaia di giovani che non conoscono altro paese che gli Stati Uniti di cui parlano la lingua dove sono cresciuti e dove sono andati e vanno a scuola è politicamente da irresponsabili. E dunque i democratici hanno ceduto per il bene comune.

C’è tuttavia da chiedersi se i repubblicani che in questi anni hanno dimostrato molte divisioni e sempre meno capacita di mediazione politica manterranno la promessa che ha fatto McConnell, in quanto anch’essi al loro interno sono divisi. E sono proprio le questioni dell’immigrazione a dividerli. È proprio per questo che molti democratici, specialmente quelli più progressisti si sono sentiti traditi dal cedimento di Schumer e dal fatto che non si è lottato abbastanza per portare a casa risultati più certi. Le critiche vengono soprattutto dai rappresentanti degli immigrati ispanici, come il deputato Luis Gutierrez dell’Illinois che ha affermato: «Questo dimostra che quando si parla di immigrati ispanici e delle loro famiglie i democratici non sono davvero disposti a battersi fino in fondo». Tuttavia va detto a loro discolpa che i democratici si trovano politicamente in una posizione di grande debolezza, in quanto hanno non solo non hanno il controllo del Congresso, ma hanno perso quello della Casa Bianca. In più i repubblicani sono agguerriti e hanno già cominciato negli swing states, cioè quelli che oscillano tra democratici e repubblicani, come l’Ohio, ad esempio, a chiamare le famiglie, dicendo che a causa dei democratici non si sa se i loro figli potranno continuare ad avere l’assistenza medica proprio perché verrà estesa ai figli degli immigrati illegali. «È davvero una tragedia – conclude Page – che le vite dei giovani del DACA siano divenute semplici pedine nelle mani dei giochi politici di Washington, specialmente considerando il fatto che in difesa dei Dreamers ci sono molti sostenitori in ambedue i partiti. D’altra parte la realtà nella quale viviamo è quella che perfino nel partito che controlla tutto c’è difficoltà a stabilire cosa voglia il suo stesso presidente. Almeno fino alle prossime elezioni».

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